mercoledì 31 ottobre 2012

QUESTA SERA ABBIAMO IL MET (ANCHE IN ITALIA) in Il Velino 31 Ottobre

QUESTA SERA ABBIAMO IL MET (ANCHE IN ITALIA)

anteprima
Edizione completa Edizione completa
Roma - Questa sera andiamo al Metropolitan Opera House, come fa la buona borghesia di New York. È iniziata la seconda stagione del Metropolitan anche in Italia. Da alcune settimana, si può assistere, in diretta ed in alta definizione, ad una scelta di rappresentazioni del “Met”. Il programma è in funzione con successo già da quattro anni in 54 paesi (e in 1.600 sale) tra cui Russia, Israele, Cina, Cipro, Repubblica Domenicana, Marocco, Slovenia e S. Thomas nelle Isole Vergini. Con l’Italia si sono aggiunti 40 grandi schermi, diventati 60 nell’arco di un mese a ragione del successo dell’iniziativa (nonostante non ci sia quasi stata pubblicità). Per i dettagli, si vada a www.nexodigital.it; si possono prenotare i posti, il prezzo è contenuto (15 euro a poltrona) e c’è il bello della diretta. Quest’anno l’operazione è gestita dal circuito ‘microcinema’ ( www.microcinema.eu/stagione-live) che già di diversi anni offre dirette in alta definizione dall’Opéra de Paris, dalla Royal Opera House, dal Bolshoi e via discorrendo. Il 7 dicembre si potrà assistere anche alla prima della Scala. Dal sito si ricavano programmi e sale per queste uniche esperienze. Nel caso specifico le esperienze del Met digitale negli altri paesi mostrano che lo strumento non fa perdere pubblico all’opera dal vivo, anzi ne porta di nuovo, giovane. In Italia i primi due spettacoli hanno raccolto circa cinquemila spettatori. Soprattutto, l’esperienza del micro-cinema è segno di un’improcrastinabile riassetto del settore che il ministro Ornaghi ha annunciato di voler completare entro il 31 dicembre. Dal 2001 al 2009 i teatri lirici italiani hanno accumulato perdite per oltre 216 milioni di euro; i debiti hanno raggiunto i 282 milioni di euro. Nello stesso periodo il totale dei contributi pubblici (Fus più enti territoriali) è passato da 332 a 344,7 milioni di euro; i privati hanno contribuito con una media di 42,5 milioni di euro l'anno; gli incassi da botteghino hanno raggiunto gli 84,5 milioni di euro (rispetto ai 72,2 milioni di euro nel 2001).

I costi totali di produzione sono arrivati a 528,4 milioni di euro; quelli per il personale sono passati da 280,5 a 316,6 milioni di euro. Una rappresentazione lirica in Italia costa il 140% della media dell'eurozona, il 250% della media dell'Unione Europeo. Nel 2009 i nostri teatri hanno messo in scena in media settantasette recite d'opera ciascuno (dalle centoventicinque della Scala alle venticinque del San Carlo) contro le duecentoventisei recite della Staatsoper di Vienna, le duecentotre dell'Opernhaus di Zurigo, le centottantaquattro dell'Opéra di Parigi, le centosettantasette della Bayerische Staatsoper di Monaco o le centosessantuno della Royal Opera House di Londra. Per poter continuare ad andare all'opera, occorre che non sia un lusso: ossia che si riducano i costi e si aumenti la produttività. Lo si può fare, dando una prospettiva ai giovani delle numerose scuole create in questi ultimi anni, formando compagnie stabili con contratti triennali o quinquennali e riservando le scritture ad artisti ospiti (italiani e stranieri) di prestigio internazionale. In secondo luogo, ridurre il personale in eccesso. In terzo luogo, chiedere che almeno il settanta percento degli spettacoli sia in co-produzione (creando un cartellone nazionale e andando verso il teatro di repertorio), che i teatri virtuosi vengano premiati con stanziamenti aggiuntivi nell'esercizio successivo, e che gli amministratori di quelli che chiudano il bilancio in rosso cambino mestiere (e siano passibili di azione di responsabilità).

In questo quadro, il Met ed il micro cinema preparano il pubblico del futuro. Di grande livello sia il nuovo allestimento de L’Elisir d’Amore di Donizetti (Direttore: Maurizio Benini; Regia: Bartlett Sher. Cast: Mariusz Kwiecien, Ambrogio Maestri, Anna Netrebko, Matteo Polenzani) con cui è stata inaugurata la stagione il 16 Ottobre che Otello di Verdi – ripresa di un allestimento di grande successo di Elijah Moshinsky al Met ben dal 1994- presentato il 30 ottobre. Dirigeva Semyon Bychkov. Protagonisti. Johan Botha, Michael Fabiano, Renée Fleming, Falk Struckmann. La stagione del Met in Hd si estende sino a fine aprile. Microcinema porta l’opera anche in molte cittadine, dove c’è un pubblico di appassionati che non hanno però l’opportunità di andare all’opera. Nelle grandi città, è importante che gli spettacoli vengono presentati in sale del centro storico anche per attivare una salutare competizione con i teatri d’opera dal vivo.   (ilVelino/AGV)
(Hans Sachs) 31 Ottobre 2012 19:49
facebook_icon twitter_icon okno_icon segnalo_icon digg_icon

Dago incontra Verdi in Quotidiano Arte del 31 ottobre

stampa
Lo scrittore/sceneggiatore Robin Wood e il disegnatore Carlos Gomez sono in Italia fino al 4 novembre
Dago incontra Verdi
Giuseppe Pennisi
Dopo aver incontrato numerose figure storiche - da Michelangelo a Cellini, dai re di Francia e Spagna a Cortes e Pizarro – e dopo aver partecipato alla difesa di Roma durante il Sacco e alle rivolte contadine del Trentino, Dago, personaggio principale di un fumetto seriale di successo nato nel 1981 in Argentina, è entrato nella vita di Giuseppe Verdi.
L’idea è partita l’anno scorso da Giancarlo Liuzzi, allora direttore della comunicazione del Teatro Regio di Parma e del "Festival Verdi", sempre alla ricerca di nuovi punti di incrocio tra linguaggi diversi nel nome del grande compositore; tramite la casa editrice Editoriale Aurea di Roma, che pubblica le avventure di Dago in Italia dal 1983.
La sfida di mettere in contatto due personaggi lontani 300 anni è stata accettata dallo scrittore/sceneggiatore Robin Wood e dal disegnatore Carlos Gomez e fino ad oggi sono state realizzate quattro saghe di otto episodi ciascuna, pubblicate dal novembre scorso su “LancioStory”.
Il progetto di Liuzzi che prevedeva, in collaborazione con L’Aurea, la pubblicazione delle prime due saghe, “Nabucco” e “I Lombardi”, in un volume di pregio da presentare in occasione delle Celebrazioni Verdiane al Regio di Parma, all’inizio di quest’anno ha incontrato il progetto del Museo Italiano del Fumetto di Lucca, in cui era prevista la pubblicazione della terza saga “Segreti Lucchesi” e rapidamente sono diventati un progetto comune che si è arricchito poi di nuove collaborazioni.
Roberto Leoni, collaboratore del Museo Italiano del Fumetto di Lucca al progetto del direttore Angelo Nencetti “Lucca History & Noir & Mystery & Comics” (in cui vengono celebrati i 30 anni di Dago e Martin Mystere e i 50 di Diabolik), coordina gli appuntamenti di Lucca e di Parma, che prevedono la presenza in Italia dei due autori sudamericani dal 25 ottobre al 4 novembre.
Il cofanetto, a tiratura limitata, contiene 2 volumi dal titolo “Segreti Lucchesi” e “Mysteri Diabolikamente Lucchesi”. Il primo presenta la terza saga verdiana di Dago - in cui compare anche Giacomo Puccini -, inizio di una recherche inedita che vede coinvolti Diabolik e Martin Mystère nelle pagine del secondo volume. Il plot della recherche è stata suggerita agli autori appositamente per l’occasione da Angelo Nencetti, direttore del MuF.

info:
Busseto e Parma: dagoincontraverdi@gmail.com
Lucca History & Noir & Mystery: segreteria@museonazionaledelfumetto.it

martedì 30 ottobre 2012

Obama vs. Romney: chi conviene all’Italia? in Il Sussidiario del 30 ottobre



Inizio modulo

FINANZA/ Obama vs. Romney: chi conviene all’Italia?
martedì 30 ottobre 2012
Mitt Romney e Barack Obama (Infophoto)
Tra poco più di una settimana, gli americani andranno alle urne per eleggere, in un unico giorno, l’inquilino della Casa Bianca per i prossimi quattro anni, un terzo della Camera dei Rappresentanti, il Senato, e una miriade di Governatori, Parlamenti di numerosi Stati dell’Unione e via via sino agli School Boards che gestiscono la politica dell’istruzione a livello delle singole Contee (equivalente delle nostre Regioni all’interno dei singoli Stati dell’Unione). Il sistema è complesso; non è questa la sede per riassumerlo. Meglio concentrarsi sugli esiti probabili delle elezioni per noi, ossia per l’Europa.
Gran parte della stampa italiana considera Obama il favorito. Ho vissuto circa vent’anni a Washington e vi ritorno periodicamente. Posso assicurare i lettori che la stampa italiana non ha effetti sull’eleggibilità attiva o passiva negli Stati Uniti. La stessa stampa americana morde un po’ a livello locale (principalmente delle Contee), ma non a quello federale. In una campagna in cui il voto popolare pare un testa a testa, ma dove il Presidente viene eletto da “grandi elettori” definiti per ciascuno degli Stati dell’Unione, ciò che conta è il risultato negli “swing States”, quelli che per il loro peso (in termini di “grandi elettori”) determinano il risultato della competizione per la Casa Bianca.
Nel lontano 1978, Ray Fair dell’Università di Yale ha dimostrato che il ciclo economico incide molto di più dei dibattiti televisivi, della propaganda e degli stessi finanziamenti a supporto di questo o quel candidato: ciò è avvenuto in 21 delle ultime 24 presidenziali. Il Bureau of Labor Statistics pubblica dati sull’andamento dell’occupazione (non del Pil) dei singoli  Stati. In 14 dei 18 “swing States” il tasso di disoccupazione è aumentato in misura significativa - specialmente nel Michigan e nel Wisconsin, roccaforti dell’elettorato di Obama nel 2008. La disoccupazione è anche cresciuta in due Stati (South Carolina e Oregon) tradizionalmente repubblicani (ma titolari di pochi “voti elettorali” - 16 rispetto ai 26 di Michigan e Wisconsin).
Ci sono, però, segni di ripresa (nell’ultimo trimestre il Pil nazionale ha riportato un tasso di aumento su base annua del 2%), come sottolineato al seminario dell’Aspen Italia, tenuto il 27 ottobre all’Isola San Marcello nella laguna di Venezia. Saranno più visibili e palpabili dopo il 6 novembre. A vantaggio di chi avrà la responsabilità di guidare gli Usa nei prossimi quattro anni.
Insomma,  al momento in cui scriviamo, la partita è ancora tutta da giocare. I sondaggi danno un lieve vantaggio all’incumbent, Obama, ma analisi più approfondite mostrano che bastano i risultati di pochi Stati dell’Unione per rovesciare l’esito della corsa alla Casa Bianca. Più difficile entrare nel resto della competizione, anche a ragione di differenze dei sistemi elettorali.
Inizio modulo

Alcuni fatti, però, parlano chiaro: nei loro programmi elettorali, nei discorsi e nei dibattiti televisivi, tanto Obama quanto Romney hanno mostrato di curarsi piuttosto poco dell’Europa: a minor nuisance (una piccola seccatura a ragione di una crisi del debito sovrano che i 17 dell’eurozona non sembrano in grado di saper pilotare), ma non molto di più. Tanto l’uno quanto l’altro guardano con maggiore attenzione all’Asia e all’America Latina.
Sottolineata questa disattenzione (“benevola” o “malevola” che sia), occorre chiedersi quali saranno le policies effettive che verranno poste sul tappeto. Il quadriennio di Obama (lo abbiamo sottolineato con grande ricchezza di dati) è stato un periodo piuttosto negativo per l’economia americana: oggi gli Usa hanno un tasso di disoccupazione dell’8% della forza lavoro, un disavanzo delle partite correnti di 500 miliardi di dollari l’anno (pari a oltre il 3% del Pil), un saldo negativo dei conti federali d’esercizio attorno al 7% del Pil e uno stock di debito (in rapporto al Pil) in rapida crescita. Obama è riuscito a far approvare il quadro di una legge sanitaria per estendere a tutti una copertura assicurativa. Ma le sue promesse in materia di politica estera non sono state mantenute: c’è ancora guerra in Iraq, Afghanistan e altre regioni, il carcere di Guantamano è sempre là. In materia di politica economica internazionale non ha mosso un dito per la liberalizzazione multilaterale degli scambi; ha, anzi, promosso accordi per la frammentazione del commercio mondiale.
Romney propone una politica economica non molto differente da quella della Prima Amministrazione Reagan: un drastico taglio della pressione fiscale - oggi negli Usa sfiora il 30% del Pil, mentre in Italia è attorno al 50% - e una strategia di rilancio dell’offerta. Negli anni Ottanta, tutto sommato, funzionò anche se non fu Reagan a coglierne i frutti ma i suoi successori, che godettero di vari anni di “vacche grasse”. Allora, però, gli Usa non dovevano fare i conti con un disavanzo strutturale dei conti con l’estero vasto come l’attuale, potevano contare su un’Europa (allora il 25% del Pil mondiale) e un Giappone che tiravano e non erano alla mercé della Cina per il finanziamento dei loro titoli di Stato. Con Romney è possibile che la politica economica internazionale Usa sia rivolta all’Asia (il grande creditore degli Usa) e all’America Latina (lo scalpitante vicino meridionale) ancora più che con Obama.
Inizio modulo

C’è, però, una speranza che nessuno in Italia (e a Bruxelles) pare notare: i repubblicani sono tradizionalmente liberisti in materia di commercio internazionale e il programma approvato dalla Convezione del GOP (Great Old Party, così amano definirsi) prevede la costituzione di una vasta zona di libero scambio atlantica (Usa-Ue) e di una analoga con l’America Latina, nonché di operare di concerto con l’Asean verso qualcosa di analogo nel Bacino del Pacifico. Ciò bloccherebbe la dannosa frammentazione del commercio mondiale e potrebbe essere la base per un negoziato multilaterale tra grandi aree commerciali. La “piattaforma” di Obama è invece densa di impegni protezionistici specialmente per la metalmeccanica e l’agricoltura. Lascio ai lettori di tirarne le conseguenze.


© Riproduzione Riservata.

Wagner a strisce in QuotidianoArte 30 ottobre

martedì 30 ottobre 2012
stampa
Al WOW Spazio Fumetto – Museo del Fumetto di Milano, il 7 dicembre
Wagner a strisce
Giuseppe Pennisi
In occasione delle celebrazioni per il 200° anniversario della nascita di Richard Wagner, e la messa in scena di "Lohengrin" per la prima del Teatro alla Scala il 7 dicembre, WOW Spazio Fumetto – Museo del Fumetto di Milano ospita l’evento “Wagner a strisce”, una mostra decisamente originale dedicata all’immaginario wagneriano così come lo hanno raccontato, parodiato, reinventato e celebrato i fumetti e il cinema d’animazione.
Un viaggio lungo più di un secolo: si parte dalle mitiche figurine Liebig che hanno portato i personaggi wagneriani nelle case di tutta Italia tra fine Ottocento e inizio Novecento fino ad arrivare alla presentazione in anteprima di alcuni estratti del film d’animazione "Siegfried", realizzato da Alex Alice e ancora in preparazione in Francia. Non mancheranno ovviamente le riduzioni a fumetti delle opere wagneriane comparse sulle più importanti testate per ragazzi, come L’Avventuroso del 1942, le simpaticissime parodie Disney con Paperino nei panni di Paperin Sigfritto e Paperone in quelli di Paperwotan, la strepitosa riduzione a cartoni animati de La Valchiria con Bugs Bunny protagonista, fino all’anime giapponese con Capitan Harlock immerso nelle atmosfere, e nelle musiche, del "Ring" wagneriano.
Due gli autori a confronto con l’esposizione di opere originali: il grande Carlo Jacono, storico autore delle copertine dei Gialli Mondadori che ha illustrato la vita di Wagner per un volume edito in Cina, e lo statunitense Philip Craig Russell, autore Marvel e DC, con originali dei suoi stupendi “L’Anello del Nibelungo” e “Parsifal”. La mostra, a cura di Enrico Ercole, è realizzata da WOW Spazio Fumetto in collaborazione con il Comune di Milano e il Consiglio di Zona4, con il patrocinio dell’Associazione Wagneriana di Milano e con il sostegno di UNIQA Assicurazioni.
Ovviamente l’anno prossimo, in omaggio al bicentenario verdiano, sarà “Verdi a strisce”!

info: WOW Spazio Fumetto – Museo del Fumetto di Milano Viale Campania, 12 – Milano Tel. 02 49524744 - www.museowow.it
Ingresso libero.
Orario mostra: da martedì a venerdì, ore 15.00-19.00; sabato e domenica, ore 15.00-20.00.

lunedì 29 ottobre 2012

SIEGFRIED NELLA FORESTA ARGENTATA in Il Velino 29 ottobre



SIEGFRIED NELLA FORESTA ARGENTATA

anteprima
Edizione completa Edizione completa
Roma - Siegfried, terza giornata de L’Anello del Nibelungo, in gergo il Ring (che verrà presentato integralmente in giugno), è in scena alla Scala sino al 18 novembre. Siegfried è la più breve delle tre “giornate”. Comporta un complicato allestimento con draghi, nani e, come protagonista, un fanciullo quasi imberbe, coperto solo di pelli (nonché in una lunga scena, quella del bagno nel sangue del drago, totalmente ignudo) ma con la voce da heldentenor (tenore eroico): questa produzione, in collaborazione con la Staatstsoper di Berlino ha una carta vincente nell’ancor giovane ed attraente Lance Ryan, ma solo nell’allestimento del Metropolitan si è trovato (per caso: sostituzione del titolare ammalato) il cantante con la voce ed il fisico perfetti per il ruolo: il texano Jay Hunter Morris in grado di cantare, saltando da una parte all’altra del palcoscenico, con il minimo degli indumenti (quelli che pure un atleta deve avere per esercizi ginnici arditi). Con voci quasi interamente maschili nei primi due atti, poi, è opera densa di descrizioni (la foresta e i suoi misteri- rese mirabilmente va von Karajan) ma con forti pulsioni eroiche (si riascolti Furtwangler o Kemp) pur nei toni talvolta di un idillio quasi intimista (nelle letture di Solti, Boulez e Boehm). Inoltre, c’è uno stacco netto tra i primi due atti e gran parte del terzo dove domina l’incredibilmente libidinosa (per metà Ottocento) scena finale.


Trascorsero 12 anni prima che, completato il resto, Wagner compose questa parte conclusiva. L’analisi della struttura del terzo atto e in particolare dell’ultima scena mostra, che per trovare note e accordi, Wagner sarebbe dovuto scendere nell’eros di Tristan und Isold, caratterizzato da una scrittura quasi interamente cromatica con accenti tali da anticipare la dodecafonia. E risalire nell’esplosione di gioia di vita tutta diatonica dei Meistersinger. Ucciso il drago, bagnatosi nel sangue della bestia, conquistato l’anello che dona l’onnipotenza, spezzata la lancia allo stesso re degli dei, attraversato un muro di fiamme, il giovane Siegfried si trova davanti a qualcosa che non ha visto prima: una donna addormentata (Brunhilde). Si accorge della differenza quando le apre la corazza. Ha, per la prima volta nella sua vita, paura. Al ragazzo in procinto di diventare uomo, Brunhilde spiega la differenza tra generi e gli insegna cosa è l’amore e come lo si fa.


Per quei 45 minuti ci voleva una musica ardita e innovativa che sarebbe riapparsa solo nel secondo atto del Parsifal. Davvero strabiliante l’orchestra della Scala e l’intesa con Barenboim, ne risulta un Wagner trasparente, cesellato in ogni dettaglio che non copre mai i cantanti. I tempi scelti sono lenti – sotto il profilo strettamente musicale l’opera dura circa 25 minuti di più delle letture di Karajan, Boulez e Mehta - e quando è richiesto grande volume di suono la trasparenza e l’equilibrio non vengono mai meno. Da brivido l’attacco del secondo atto, la fermezza degli ottoni è magistrale. Le arpe ed i fagotti sono da virtuosismo. È raro poter ascoltare dal vivo un’esecuzione di Wagner a tale livello e di tale precisione. Ottima la prova di Lance Ryan nel ruolo del protagonista, prestante di fisico e chiaro di timbro, selvatico al punto giusto nei modi con un acuto squillante ed un legato tenerissimo. Eccezionale Nina Stimme (Brunilde) al suo fianco nel finale. Di altissimo livello Mime (Peter Brunder, anche caratterista d’eccezione dalla tonante voce chioccia) e Alberich (Johannes Martin Kranzle) dagli accenti drammatici. Come pure la Erda della avvenente Anna Larsson. Buono il Wanderer di Terje Stenvold.

Sulla messa in scena valgono le considerazioni fatte per i due spettacoli precedenti di questo ciclo visti alla Scala. Cassiers inventa scenografie con proiezioni caleidoscopiche sul fondale (alla lunga distraenti), ma la sua regia lascia molto a desiderare. Non a caso alla fine dello spettacolo Cassiers è stato accolto da sentiti buu. Ancora ha inserito delle coreografie come nell’”Oro del Reno” ballerini e mimi che agitano il telo con le scaglie del drago, poi però non lasciano più il campo, giocano con delle spade incrociandole a formare figure diverse, si trasformano in scranno dove va a sedere Siegfried, si raccolgono in gruppi agitando le braccia. Nel primo atto il pavimento coperto di cubi e gabbie di ferro s’inclina fino a diventare verticale, costringendo il povero Wanderer a equilibrismi complicati per non cadere di sotto. Brutti i tubi al neon che si accendono a un tratto, con uno usato come mantice della fucina. Mentre nel secondo atto il flauto costruito da Siegfried pare proprio una serpe che lui tenta di strozzare. Appiattito poi l’incanto dell’uccellino della foresta qui visibile nelle vesti di una fanciulla in lungo. Nonostante le cinque ore e mezzo di spettacolo (due lunghi intervalli compresi). ottima l’accoglienza al cast nel finale, raddoppiata per l’orchestra e Barenboim. (ilVelino/AGV)
(Hans Sachs) 29 Ottobre 2012 18:08
.

venerdì 26 ottobre 2012

A Roma La Gioconda emerge dalle nebbie in Milano finanza 27 ottobre



InScena
A Roma La Gioconda emerge dalle nebbie
di Giuseppe Pennisi

La Gioconda di Amilcare Ponchielli (su libretto di Arrigo Boito) è l'unico esempio di grand opèra padano ancora sulle scene. Il genere a fine Ottocento ambiva a superare il melodramma verdiano con elementi sia dell'opera francese sia dell'esperienza wagneriana, ma così non è stato.
http://www.milanofinanza.it/artimg/2012/212/1795953/1-img494534.jpgQuesta edizione, curata da Pierluigi Pizzi, è a Roma fino al 31 ottobre e viaggia dal 2005, quando debuttò all'Arena di Verona, senza convincere del tutto. Al teatro dell'opera della capitale l'opera è ambientata in una Venezia nebbiosa, stilizzata, dove dominano varie tonalità di bianco e grigio e alcuni elementi di rosso. L'impianto siffatto rende credibile il truculento intreccio. L'aspetto più significativo è, comunque, rappresentato dalla direzione musicale di Roberto Abbado. La Gioconda è erroneamente ritenuta un'opera di voci (meglio se fanno tremare i lampadari) mentre il suo apporto migliore è la complessa e delicata orchestrazione, come per esempio gli accompagnamenti per arpa e fiati, nonché il gioco astuto degli archi. Tra le voci spicca il gruppo femminile, composto da Elisabete Matos, Ekaterina Semenchuck ed Elisabetta Fiorillo, che supera per qualità quello maschile di Aquiles Machado, Carlo Cigni e Claudio Sgura. Tra essi emerge quest'ultimo, sia per vocalità sia per abilità nella recitazione. Il cantante si pone dunque (anche grazie alla regia) come vero protagonista dell'opera. Efficace la coreografia di Georghe Iancu nei ballabili del primo e terzo atto. (riproduzione riservata)

Il viaggio de "La Gioconda" passa anche per Roma in Il Sussidiario 27 ottobre



Inizio modulo

OPERA/ Il viaggio de "La Gioconda" passa anche per Roma
sabato 27 ottobre 2012
OPERA/ Il viaggio de La Gioconda passa anche per RomaUn momento dello spettacolo
Approfondisci
Viaggiare fa bene agli allestimenti. Quando vidi questa edizione di La Gioconda di Amilcare Ponchielli (su libretto di Arrigo Boito) nell’estate 2005 all’Arena di Verona restai perplesso: il teatro era mezzo vuoto, le voci si sentivano appena e soprattutto le scene e la regia di Pierluigi Pizzi sembravano schiacciate del monumento. La produzione è ora arrivata a Roma (dove si replica sino al 31 ottobre). Viaggia dal 2005 e, dopo il debutto a Verona  ha avuto  tappe a Barcellona, Madrid, Bilbao, e Monte Carlo, se ne prevedono altre. A Roma il truculento intreccio è  reso credibile da una recitazione sobria e una Venezia nebbiosa , macera e decadente, senza Piazze San Marco e Cà d’Oro in cartapesta, stilizzata da essere quasi atemporale, dove dominano varie tonalità di bianco e grigio ed alcuni elementi di rosso. La Gioconda non ha nulla a che vedere con il sorriso ambiguo del ritratto di Leonardo. E’ un grand-guignol tratto da un drammone di Victor Hugo, nella Venezia di fine ‘500 (da cui, peraltro, già Mercadante aveva tratto un’opera- addirittura con lieto fine). La Gioconda è una cantante con mamma cieca a carico: si innamora del proscritto Ezio Grimaldo, a sua volta spasimante (corrisposto) di Laura sposa del Capo dell’Inquisizione, Alvise. La spia Barnaba desidera fare sesso con la cantante e a tal fine esercita ogni pressione (accusando la cieca di stregoneria). Al termine di una complicata vicenda dove vediamo il carnevale di Venezia, una festa (con cadavere) nella Ca’ d’Oro, l’incendio di un brigantino, una morte apparente, un tentativo di avvelenamento, un annegamento ed un suicidio, Laura ed Ezio fuggono verso la libertà mentre tutti gli altri vengono sconfitti dal Fato o dalla cattiveria umana. Per oltre un secolo, l’opera ha mandato il pubblico in visibilio; è il miglior esempio di ‘grand-opéra” padano ossia dei tentativi a fine ottocento di fondere il melodramma verdiano con il ‘grand-opéra’ francese e con un pizzico di sinfonismo e leit-motiv wagneriani; ne furono esponenti Rossi, Marchetti, Gobatti, Gomes, solo Ponchielli è rimasto in repertorio . Ciò è merito di Ponchielli, non di Boito che, sotto falso nome (si vergognava lui raffinatissimo di essere alle prese con un romanzaccio popolare) ne scrisse il libretto. Il maestro cremonese era un fine orchestratore, culturalmente vicino a quella “scapigliatura” milanese che voleva innovare rispetto al melodramma verdiano. Il suo flusso orchestrale continuo risente anche di wagnerismo cromatico ed intriso di leit-motif (alla polenta padana). La scrittura vocale richiede sei grandi voci con registri in grado di spaziare dalle romanze”e “concertati” tradizionali al declamato para-wagneriano.

 Negli ultimi venti anni, se ne ricordano due buone edizioni a La Scala al Teatro dell’Opera di Roma; non hanno entusiasmato platee, palchi e loggioni. Nel 2004 un allestimento del circuito toscano (peraltro in economia e con una discutibile regia di Micha van Hoecke) è stato poco apprezzato dagli spettatori.  
L’aspetto più significativo dell’edizione che si può vedere ed ascoltare a Roma è la direzione musicale di Roberto Abbado. La Gioconda è erroneamente ritenuta un’opera di “voci” (meglio se con volumi da fare tremare i lampadari) mentre il suo apporto migliore è la complessa e delicata orchestrazione (ad esempio, gli accompagnamenti per arpa e fiati, il gioco astuto degli archi), Abbado e l’orchestra sono stati di grande livello. Di solito, per avere “voci”, i direttori artistici risparmiano sui maestri concertatori e ingaggiano mestieranti a poco prezzo: occorre dare atto ad direttore artistico dell’Opera di Roma, Alessio Vlad, di non essere caduto in tale trappola.
Tra le “voci” il gruppo femminile (Elisabete Matos, Ekaterina Semenchuck, Elisabetta Fiorillo) ha vinto ai punti su quello maschile (Aquiles Machado, Carlo Cigni, Claudio Sgura). Tra le protagoniste femminili, la sera della prima  ha spiccato Ekaterina Semenchuck , mentre Elisabete Matos ha conservato tutte le forze per Suicidio! al quarto atto. Tra i protagonisti maschili, il giovane Claudio Sgura ha spiccato sugli altri per vocalità e recitazione ponendosi (anche grazie alla regia) come vero protagonista dell’opera. Efficace la coreografia di Georghe Iancu nei ballabili del primo e terzo atto.


© Riproduzione Riservata.