UNA PRIMAVERA
CHE RISCHIA DI ASSOMIGLIARE ALL’AUTUNNO
Giuseppe Pennisi
Questa nota viene scritta prima che
inizino le votazioni per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, un
processo che potrebbe sparigliare le forze politiche. Non cambia, però, sostanzialmente
il quadro economico. L’economia mondiale va bene con un Pil che, secondo le
maggiori organizzazioni internazionali, dovrebbe crescere sul 2,5% l’anno nei
prossimi due anni, nonostante il rallentamento dell’espansione economica della
Cina (che tuttavia avanza ad un ritmo attorno al 7,5% l’anno). Il Nord America
va benissimo trainato dall’avanzata a passo rapido dell’economia americana a
ragione di una politica economica temeraria e di una demografia giovane.
L’eurozona va sostanzialmente male , nonostante le aspettative lanciata a
Lisbona nel 2000 che ora sarebbe dovuta essere l’area più dinamica
dell’economia mondiale. In seno all’eurozona, l’economia italiana va malissimo:
nelle previsioni più ottimiste nel 2015 si uscirebbe dalla recessione (ma si
resterebbe prossimi a crescita zero); in quelle più probabili si subirebbe un
nuovo (l’ottavo) anno di recessione.
Quindi, la primavera che si sta
avvicinando rischia di assomigliare ad una ripresa dell’autunno. Si sentono
voci che attribuiscono la responsabilità all’instabilità in Grecia od alla
stabilità tedesca ( e dei Paesi che circondano la Repubblica Federale).
Dimentichiamo l’appello di Cassio a Bruto nel Julius Caesar di William Shakespeare: Bruto, Bruto il futuro non è nelle nostre stelle ma in noi stessi.
Indubbiamente, l’Italia ha nodi
strutturali (quali la demografia e la dimensione delle imprese) che non è
facile superare. Tuttavia, occorre chiedersi se è stato saggio anteporre le
riforme istituzionali (che richiedendo di apprendere nuovi metodi e procedure
comportano costi per la società e di sola rallentano l’andamento dell’economia)
alle riforme strutturali del sistema economico. Ad esempio, è stata posposta a
data definirsi la ‘legge annuale sulla concorrenza’, non certo una panacea, ma
pur sempre uno strumento per stimolare maggiore competitività in comparti,
specialmente nel settore dei servizi, notoriamente protetti. Si parla di
privatizzazioni , ed è stato nominato un apposito comitato, ma l’ultima Relazione annuale sulle Privatizzazioni disponibile
sul sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze risale al 2011 e la più
recente privatizzazione effettivamente realizzata è quella dell’ente per gli
ufficiali in congedo (in essenza un circolo ricreativo) iniziata dal Governo
Monti e completata dal Governo Letta. Naturalmente, non si tenta neanche di
disboscare il capitalismo (o socialismo) municipale di cui il Rapporto Cottarelli (peraltro mai
pubblicato) ha delineato i rami tentacolari. O di prendere misure atte a
ridurre il peso del debito sull’economia italiana; recenti studi della Banca
d’Italia confermano che l’incidenza del debito sul Pil limita l’output
potenziale di beni e servizi e, dunque, anche l’impiego.
Senza dubbio, Governo e Parlamento sono stati
molto impegnati nella riforma del mercato del lavoro – il Jobs Act ed i suoi decreti attuativi. Tema importante, anche a
ragione dell’uso disinvolto e distorto di alcune tipologie contrattuali. Si è,
però, certi che questo è il nodo strutturale principale dell’economia dell’Italia?
Il mercato delle merci e dei servizi presenta distorsioni almeno analoghe a
quelle del mercato dei fattori di produzioni. E nel mercato dei fattori, non è
detto che le distorsioni attinenti a quello dei capitali non incidano su
produttività, competitiva ed occupazione meno di quelle relative al lavoro.
Cosa fare? Una volta esaurita la
complessa fase istituzionale dell’elezione del Capo dello Stato pare essenziale
ripensare le priorità della politica economica.
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