giovedì 8 gennaio 2015

I TEATRI ‘DI TRADIZIONE’ SI INTERNAZIONALIZZANO IN FORMICHE GENNAIO



I TEATRI ‘DI TRADIZIONE’ SI INTERNAZIONALIZZANO
Beckmesser
‘I teatri di tradizione’? Chi sono? Alcuni critici, con la puzza sotto il naso, li chiamano, in tono leggermente sprezzante, ‘teatri di provincia’. In effetti, sono teatri, spesso molto belli sono il profilo architettonico e dove hanno debuttato nel settecento e nell’ottocento lavori ancora oggi in cartellone. Sono sovente in città d’arte , un tempo fiorenti comuni, signorie, ducati, granducati e piccoli regni. Dotati comunque di una notevole autonomia. Sono una trentina; l’elenco completo aggiornato è sul sito del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Non vengono finanziati , come le fondazioni liriche, con un sussidio annuale in base ad una vasta gamma di parametri, ma ‘a produzione’, ossia con sovvenzioni correlate con le recite effettivamente realizzate. Il contributo dello Stato è di solito integrato da apporti locali (Regione, Comune), tra cui di molte aziende del luogo. Quasi sempre chiudono i bilanci in pareggio: unica eccezione è il Teatro Regio di Parma, da alcuni anni in situazione di dissesto, essenzialmente perché è venuto a mancare il riconoscimento di ‘rilievo internazionale’ (con relativo finanziamento) al festiva verdiano.
Dai teatri ‘di tradizione’ è venuta molta innovazione artistica in questo ultimo lustro, specialmente da quando la crisi economica e finanziaria, ha cominciato a mordere. Giovani registi hanno sperimentato con allestimenti poveri ed efficaci. Sono stati scoperti giovani direttore d’orchestra e cantanti che hanno preso il balzo verso grandi teatri europei (come l’Opera di Vienna) senza mettere piede nelle fondazioni liriche italiane. Soprattutto, come abbiamo già notato su Formiche, si sono formate alleanze e circuiti al fine di effettuare sinergie, aumentando la produttività e suddividendo i costi.
Si sta entrando in una fase: l’internazionalizzazione. La prova più evidente si ha in queste settimane : tra dicembre e gennaio si confrontano nei ‘teatri di tradizione’ di mezza Italia due grandi coproduzioni internazionali de Les Contes de Hoffmann, opera a lungo ignorata o quasi in Italia ma vista negli ultimi anni a Roma, Milano, Torino, Macerata , Lucca, Pisa , Livorno e Novara. Questa stagione, una coproduzione con l’Opéra de Rouen circuita nei teatri lombardi (Pavia, Brescia, Cremona, Como, Cremona) ed a Jesi, non che nel delizioso teatro della Reggia di Versailles. Un’altra prende il via da l’Opéra de Toulon ed in Italia si vedrà a Modena, Piacenza e Reggio Emilia. Nella prima produzione, ci sono in calendario circa 20 repliche. Una quindicina nella seconda. Nella prima , il regista, lo scenografo ed il costumista sono francesi ed il direttore d’orchestra franco italiano; un apporto essenziale è portato nei ruoli delle tre protagoniste femminili da giovani cantati (di vari Paesi) usciti dai corsi di formazione della As.Li.Co che ha la propria base a Como. Nella seconda, il direttore d’orchestre è francese, ma regia scene e costumi sono italiani ed il cast (in gran parte giovane) internazionale. Delle due produzioni, la prima ha debuttato in Francia, le seconda debutta in gennaio in Italia ed arriva a Tolone in marzo.
Ci sono stati, in passato, noleggi di allestimenti stranieri da parte di ‘teatri di tradizione’; ad esempio, una decina d’anni fa oltre 10 teatri della categoria portarono in Italia un Ritorno di Ulisse in Patria , nato a Aix-en-Provence, e che cosa rara in un festival venne replicato a grande richiesta l’anno seguente ed ebbe tournée anche negli Stati Uniti.
La differenza (profonda) è che si tratta di progetti concepiti ed approntati insieme. Un’effettiva internazionalizzazione a cui il Ministero dei Beni Culturali e del Turismo e il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale dovrebbero prestare maggiore attenzione.
  




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