I TEATRI ‘DI
TRADIZIONE’ SI INTERNAZIONALIZZANO
Beckmesser
‘I teatri di tradizione’? Chi sono?
Alcuni critici, con la puzza sotto il naso, li chiamano, in tono leggermente
sprezzante, ‘teatri di provincia’. In effetti, sono teatri, spesso molto belli
sono il profilo architettonico e dove hanno debuttato nel settecento e
nell’ottocento lavori ancora oggi in cartellone. Sono sovente in città d’arte ,
un tempo fiorenti comuni, signorie, ducati, granducati e piccoli regni. Dotati
comunque di una notevole autonomia. Sono una trentina; l’elenco completo
aggiornato è sul sito del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del
Turismo. Non vengono finanziati , come le fondazioni liriche, con un sussidio
annuale in base ad una vasta gamma di parametri, ma ‘a produzione’, ossia con
sovvenzioni correlate con le recite effettivamente realizzate. Il contributo
dello Stato è di solito integrato da apporti locali (Regione, Comune), tra cui
di molte aziende del luogo. Quasi sempre chiudono i bilanci in pareggio: unica eccezione
è il Teatro Regio di Parma, da alcuni anni in situazione di dissesto,
essenzialmente perché è venuto a mancare il riconoscimento di ‘rilievo
internazionale’ (con relativo finanziamento) al festiva verdiano.
Dai teatri ‘di tradizione’ è venuta molta
innovazione artistica in questo ultimo lustro, specialmente da quando la crisi
economica e finanziaria, ha cominciato a mordere. Giovani registi hanno
sperimentato con allestimenti poveri ed efficaci. Sono stati scoperti giovani
direttore d’orchestra e cantanti che hanno preso il balzo verso grandi teatri
europei (come l’Opera di Vienna) senza mettere piede nelle fondazioni liriche
italiane. Soprattutto, come abbiamo già notato su Formiche, si sono formate alleanze e circuiti al fine di effettuare
sinergie, aumentando la produttività e suddividendo i costi.
Si sta entrando in una fase:
l’internazionalizzazione. La prova più evidente si ha in queste settimane : tra
dicembre e gennaio si confrontano nei ‘teatri di tradizione’ di mezza Italia
due grandi coproduzioni internazionali de Les
Contes de Hoffmann, opera a lungo ignorata o quasi in Italia ma vista negli
ultimi anni a Roma, Milano, Torino, Macerata , Lucca, Pisa , Livorno e Novara.
Questa stagione, una coproduzione con l’Opéra de Rouen circuita nei teatri
lombardi (Pavia, Brescia, Cremona, Como, Cremona) ed a Jesi, non che nel
delizioso teatro della Reggia di Versailles. Un’altra prende il via da l’Opéra
de Toulon ed in Italia si vedrà a Modena, Piacenza e Reggio Emilia. Nella prima
produzione, ci sono in calendario circa 20 repliche. Una quindicina nella
seconda. Nella prima , il regista, lo scenografo ed il costumista sono francesi
ed il direttore d’orchestra franco italiano; un apporto essenziale è portato
nei ruoli delle tre protagoniste femminili da giovani cantati (di vari Paesi)
usciti dai corsi di formazione della As.Li.Co che ha la propria base a Como.
Nella seconda, il direttore d’orchestre è francese, ma regia scene e costumi
sono italiani ed il cast (in gran parte giovane) internazionale. Delle due
produzioni, la prima ha debuttato in Francia, le seconda debutta in gennaio in
Italia ed arriva a Tolone in marzo.
Ci sono stati, in passato, noleggi di
allestimenti stranieri da parte di ‘teatri di tradizione’; ad esempio, una
decina d’anni fa oltre 10 teatri della categoria portarono in Italia un Ritorno di Ulisse in Patria , nato a
Aix-en-Provence, e che cosa rara in un festival venne replicato a grande
richiesta l’anno seguente ed ebbe tournée anche negli Stati Uniti.
La differenza (profonda) è che si tratta
di progetti concepiti ed approntati insieme. Un’effettiva
internazionalizzazione a cui il Ministero dei Beni Culturali e del Turismo e il
Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale dovrebbero
prestare maggiore attenzione.
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