RIMANDATI A
MARZO
Giuseppe Pennisi
Il 2015 appena iniziato sarà l’anno
della svolta? Non necessariamente quello di una crescita vigorosa quale segnata
dagli Stati Uniti negli ultimi mesi (un
tasso di aumento del Pil del 4% su base annua) ma almeno un segno positivo tale
da uscire da sette anni di recessione che hanno riportato il Pil al livello del
2000 ed aumentato le differenze tra fasce sociali di reddito e consumo?
E’ un interrogativo a cui vorremo essere
in grado di dare una risposta. Da un lato, il Centro Studi Confindustria (CSC)
nel suo ultimo Flash congiunturale
intravede barlumi di una ripresa. Non si tratta, però, ancora di una luce alla
fine del tunnel. Tanto più che i 20 maggiori istituto di analisi previsionale
econometrica vedono, mediamente, un’Italia a crescita zero. Ossia si uscirebbe
dalla recessione ma si resterebbe piatti e senza quelle energie che porterebbero
ad una ripresa della crescita, unico rimedio alla disoccupazione dilagante ed al
fardello del debito. Non facciamoci in ogni caso illusioni: prima della crisi
del 2008, le maggiori istituzioni internazionali ed europee stimavano all’1,3%
l’anno il potenziale di crescita dell’economia italiana (principalmente a causa
dell’invecchiamento) ed ora un documento della Banca centrale europea (Bce) lo
pone allo 0% (segnatamente a ragione dei danni causati dalla crisi come la
riduzione dell’apparato manifatturiero)-
In effetti, alcune determinanti di fondo
non dipendono da noi . Ma dall’andamento dell’economia internazionale. In
particolare, se – come auspica Anatole Kaletsky- dopo le elezioni in Giappone,
il bacino del Pacifico riprende un tasso d’espansione sostenuto, l’Asia potrà
trainare, tramite l’export, la Germania con benefici per il resto
dell’’eurozona’. Comunque, dipende solamente da noi ciò che faremo con i tempi
supplementari concessici dall’Unione Europa.
Sembriamo dimenticare che siamo stati ,
con la Francia e con il Belgio, ‘rimandati’ (non a settembre, come si faceva
una volta con gli studenti che si applicavano poco), ma a marzo quando le
autorità europee faranno un nuovo esame non solo dei conti pubblici ma anche
delle riforme annunciate e dei progressi effettivamente realizzati.
A riguardo, temo
ci sia un grave equivoco. Italia, Francia e Belgio intendono che l’oggetto del
test saranno principalmente le riforme ai meccanismi di finanza pubblica per
giungere a quel ‘pareggio di bilancio ’ a cui , secondo il Fiscal Compact si sarebbe
dovuto già tutti arrivare. Tuttavia, altri Stati aderenti all’intesa, non solo
la Germania ed il piccolo gruppo di nordici più vicini alla Repubblica
Federale, hanno una lettura differente: intendono ‘riforme’ per aumentare la
produttività in quanto le difficoltà di finanza pubblica e l’elevato debito non
sarebbero che ‘epifenomeni’, conseguenze, in parole povere, di produttività che
non cresce ed economia al passo del gambero. A torto od a ragione, gli ‘altri’
per ‘riforme’ intendono non solo misure di finanza pubblica e riassetto dei
mercati di un fattore (come il Jobs Act), ma liberalizzazioni e privatizzazioni
per incoraggiare la concorrenza (e cominciare a ridurre il peso del debito).
Con equivoci di questa portata, la diatriba può durare a lungo. Occorre
spiegarsi al più presto. E nel modo più completo.
Alberto Quadro
Curzio ha ricordato che l’essere rimandati rappresenta ed un ‘bonus’ da non
sprecare. Quadro Curzio fornice indicazioni dettagliate su come allestire un
efficace piano di investimenti. A mio avviso, il rilancio dell’investimento è
essenziale ma non sufficiente. Non avrà effetti che limitati se non
accompagnato da quelle liberalizzazioni e privatizzazioni così difficili da
realizzare. Specialmente se toccano il capitalismo’ o ‘il socialismo’
municipale e regionale.
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