giovedì 8 gennaio 2015

RIMANDATI A MARZO in Formiche gennaio



RIMANDATI A MARZO
Giuseppe Pennisi
Il 2015 appena iniziato sarà l’anno della svolta? Non necessariamente quello di una crescita vigorosa quale segnata dagli Stati Uniti  negli ultimi mesi (un tasso di aumento del Pil del 4% su base annua) ma almeno un segno positivo tale da uscire da sette anni di recessione che hanno riportato il Pil al livello del 2000 ed aumentato le differenze tra fasce sociali di reddito e consumo?
E’ un interrogativo a cui vorremo essere in grado di dare una risposta. Da un lato, il Centro Studi Confindustria (CSC) nel suo ultimo Flash congiunturale intravede barlumi di una ripresa. Non si tratta, però, ancora di una luce alla fine del tunnel. Tanto più che i 20 maggiori istituto di analisi previsionale econometrica vedono, mediamente, un’Italia a crescita zero. Ossia si uscirebbe dalla recessione ma si resterebbe piatti e senza quelle energie che porterebbero ad una ripresa della crescita, unico rimedio alla disoccupazione dilagante ed al fardello del debito. Non facciamoci in ogni caso illusioni: prima della crisi del 2008, le maggiori istituzioni internazionali ed europee stimavano all’1,3% l’anno il potenziale di crescita dell’economia italiana (principalmente a causa dell’invecchiamento) ed ora un documento della Banca centrale europea (Bce) lo pone allo 0% (segnatamente a ragione dei danni causati dalla crisi come la riduzione dell’apparato manifatturiero)-
In effetti, alcune determinanti di fondo non dipendono da noi . Ma dall’andamento dell’economia internazionale. In particolare, se – come auspica Anatole Kaletsky- dopo le elezioni in Giappone, il bacino del Pacifico riprende un tasso d’espansione sostenuto, l’Asia potrà trainare, tramite l’export, la Germania con benefici per il resto dell’’eurozona’. Comunque, dipende solamente da noi ciò che faremo con i tempi supplementari concessici dall’Unione Europa.
Sembriamo dimenticare che siamo stati , con la Francia e con il Belgio, ‘rimandati’ (non a settembre, come si faceva una volta con gli studenti che si applicavano poco), ma a marzo quando le autorità europee faranno un nuovo esame non solo dei conti pubblici ma anche delle riforme annunciate e dei progressi effettivamente realizzati.
A riguardo, temo ci sia un grave equivoco. Italia, Francia e Belgio intendono che l’oggetto del test saranno principalmente le riforme ai meccanismi di finanza pubblica per giungere a quel ‘pareggio di bilancio ’ a cui , secondo il Fiscal Compact  si sarebbe dovuto già tutti arrivare. Tuttavia, altri Stati aderenti all’intesa, non solo la Germania ed il piccolo gruppo di nordici più vicini alla Repubblica Federale, hanno una lettura differente: intendono ‘riforme’ per aumentare la produttività in quanto le difficoltà di finanza pubblica e l’elevato debito non sarebbero che ‘epifenomeni’, conseguenze, in parole povere, di produttività che non cresce ed economia al passo del gambero. A torto od a ragione, gli ‘altri’ per ‘riforme’ intendono non solo misure di finanza pubblica e riassetto dei mercati di un fattore (come il Jobs Act), ma liberalizzazioni e privatizzazioni per incoraggiare la concorrenza (e cominciare a ridurre il peso del debito). Con equivoci di questa portata, la diatriba può durare a lungo. Occorre spiegarsi al più presto. E nel modo più completo.
Alberto Quadro Curzio ha ricordato che l’essere rimandati rappresenta ed un ‘bonus’ da non sprecare. Quadro Curzio fornice indicazioni dettagliate su come allestire un efficace piano di investimenti. A mio avviso, il rilancio dell’investimento è essenziale ma non sufficiente. Non avrà effetti che limitati se non accompagnato da quelle liberalizzazioni e privatizzazioni così difficili da realizzare. Specialmente se toccano il capitalismo’ o ‘il socialismo’ municipale e regionale.

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