La Bce di Draghi
tra Edoardo De Filippo e gli gnomi di Zurigo
20 - 01 - 2015Giuseppe Pennisi
Cronaca, storia e finanza in un pezzo dell'economista
Giuseppe Pennisi nell'imminenza delle operazioni monetarie dell'Istituto di
Francoforte
In queste ore, le banche centrali e i ministeri
economici e finanziari degli Stati aderenti all’Eurozona stanno negoziando i
dettagli di quello che dovrebbe essere l’accordo per il varo di misure “non
convenzionali” di politica monetaria da parte della Banca centrale europea
(Bce).
Si tratta di quel Quantitative Easing (QE) ormai nel
lessico anche delle massaie di Bresso, ridente sobborgo di Milano. E’ una
trattativa i cui aspetti di fondo (e anche i dettagli) sarebbero dovuti restare
riservatissimi, o ancor meglio segreti. Invece, è tutto in piazza, pure sulle
prime pagine dei giornali locali (accanto alla cronaca nera e bianca della
località).
Il management della Bce ha adottato una tattica
(sarebbe eccessivo parlare di strategia) analoga a quella utilizzata ai tempi
del negoziato del trattato di Maastricht, prima, e del faticoso percorso perché
l’Italia entrasse nel gruppo di testa dell’unione monetaria europea, poi.
In breve, la tattica consiste nel suscitare da un lato
grandi aspettative (di crescita o almeno di uscita dalla deflazione) tramite un
accorto uso dei media, specialmente degli utili idioti sempre
in servizio permanente effettivo, e di innescare, da un altro, grandi paure in
caso di fallimento.
Al punto in cui siamo arrivati, c’è davvero il
pericolo che, da un canto, le tensioni all’interno della Bce o un’intesa basata
su una forte assunzione di rischio da parte delle banche centrali nazionali
porti alla frammentazione del mercato finanziario europeo. Da un altro canto,
lo spettro delle elezioni in Grecia e il rafforzamento delle forze politiche
euro perplesse, ove non proprio euroscettiche, in tutta l’unione monetaria,
potrebbero portare all’uscita (o alla cacciata) dell’Ellade dall’area
dell’euro, e a un rallentamento dell’eurozona stimato da JPMorganChase (una
banca d’affari), di un punto percentuale e mezzo nei successivi 18 mesi ossia
in un aggravamento della deflazione.
I “costi del non accordo” sono su tutti i giornali.
Nessuno si chiede, però, quali sarebbero i costi di un accordo, di cui si conoscono
parte delle possibili caratteristiche, ma si vantano già i benefici. Lo
facciamo noi, che non abbiamo fatto parte di cori a cappella.
Nella storia degli ultimi due secoli, i mercati non
hanno mai esultato ad accordi monetari redatti solo da tecnici e politici,
tranne che dopo una guerra mondiale quando si doveva ricostruire il sistema
dalle fondamenta, e quindi la politica, aiutata da grande tecnica (Keynes,
White), doveva scendere in campo.
Vi ricordate l’intesa delle Smithsonian Institutions
del dicembre 1971, chiamata dal Presidente degli Stati Uniti “il più grande
accordo monetario della storia dell’umanità” e lodato con pari enfasi dalla
Commissione Europea? Ebbe vita breve (tre mesi) e contrastata, arricchendo la
speculazione sui cambi. Anche il Trattato di Maastricht venne esaltato come
veicolo di crescita nella stabilità per gli Stati dell’unione monetaria. E’ una
promessa ancora non mantenuta,
Soprattutto, sei mesi dopo la firma del Trattato, Gran
Bretagna, Danimarca e Italia ne chiesero la sospensione (dopo che molti, anche
loro cittadini, si erano gonfiati i portafogli alle spalle di governi e banche
centrali). Londra e Copenhagen restarono i fuori. Roma prese la via del
rientro, un percorso come quello per andare al Santuario di Compostela. Lo
guidava Carlo Azeglio Ciampi che fece pagare ai concittadini un dazio di
un aumento di sette punti percentuali della pressione fiscale sul Pil. Da
allora siamo a sviluppo rasoterra.
Oggi nessuno sa come i mercati reagiranno a un accordo
contro il quale forze politiche dello stesso azionista di maggioranza (la
Repubblica Federale Tedesca, unitamente a Austria, Finlandia, Estonia,
Lettonia) hanno espresso tale opposizione che un gruppo di distinti
cattedratici del diritto e dell’economia ha fatto ricorso alla Corte Suprema
(che attende pazientemente sulla riva del Reno superiore, a Karlsrue,
l’evolversi degli eventi).
Tra gli azionisti di minoranza, la piccola Grecia
minaccia di imitare Edoardo De Filippo con un sonoro Non ti
pago!. E gli altri, pur avendo tutte le buone intenzioni, non possono
aumentare la pressione fiscale se non vogliono essere defenestrati dal popolo
elettore.
Nel contempo, gli “gnomi di Zurigo” (di nixoniana
memoria) se la godono intascando utili consistenti
Nessun commento:
Posta un commento