“Un ballo”
cinematografico apre la stagione al Comunale
GIUSEPPE PENNISI
BOLOGNA
Non è stato
Damiano Michieletto il primo a spostare l’azione di Un ballo in maschera
di più di un secolo ed a portarla negli Stati Uniti. L’idea fu di Giuseppe
Gioacchino Belli nella sua veste non di poeta, ma di presidente della
commissione di censura dello Stato Pontificio nel 1858. Secondo Ricordi, Belli
era molto sensibile «all’idea di quel metallo» (un verso notissimo del
rossiniano Barbiere di Siviglia) che lo stimolava a dare il suggerimento
che fece debuttare l’opera al Teatro Apollo di Roma il 17 febbraio 1859. La
vicenda, ispirata alla congiura contro Gustavo III di Svezia, venne portata in
un’improbabile Boston. In Italia, prima di Michieletto, Pier Lugi Pizzi – in
una versione presentata a Piacenza, Madrid, Palermo e Macerata – ha situato
Un ballo nella Dallas nei giorni dell’assassinio di Kennedy (22 novembre 1963).
Negli Stati Uniti, per ragioni di economia, si è spesso alternata l’opera
Willie Stark del 1981 di Carlisle Floyd (ispirata al governatore della
Louisiana del romanzo e film di successo Tutti gli uomini del re) con
Un ballo al fine di utilizzare gli stessi costumi e le stesse scene: quindi
inserendo la vicenda in una campagna elettorale senza esclusione di colpi – da
House of cards.
A due anni circa
dal contrastato debutto alla Scala, Michieletto ha rivisto la regia,
smussandone gli angoli più discutibili, ma la vera differenza è Michele
Mariotti sul podio invece di Daniele Rustioni. Mentre nel 2013 il secondo ha
concertato Un ballo secondo canoni tradizionali di un lavoro con
richiami pure al melodramma donizettiano (per creare il clima decadente della
corte), per Mariotti Un ballo è un’opera violenta, che parla di rapporti
interpersonali, ma soprattutto di valori traditi, di amori mai consumati, di
passione o il di senso di colpa. La politica (ossia una rovente campagna
elettorale) è poco più di una cornice. La concertazione scolpisce il carattere
dei personaggi e fa un uso quasi cinematografico dell’orchestra, a volte
protagonista nel dramma, a volte chiamata a commentarlo. I complessi del
Comunale di Bologna danno una prova di grande livello. Tra i protagonisti,
spiccano Luca Salsi (un Renato a tutto tondo) e Maria José Siri (un’Amelia
tormentata) . Di livello la Elena Manistina (un’Urlica più televenditrice che
fattucchiera) e Beatriz Díaz (un Oscar dalla coloratura amabilissima). Il
protagonista (Riccardo) è Gregory Kunde, che ha il grande merito di avere
gestito la propria voce, con il passare degli anni, da ruoli rossiniani alla
più difficile vocalità verdiana (ad esempio, Otello). È autorevole e
possente ed ha un volume generoso ma soprattutto nei primi due atti avrei
preferito un tenore meno brunito, con maggiore agilità e con un più fluido si
naturale.
Il pubblico ha
applaudito Mariotti, i cantanti, l’orchestra ed il coro. Ha espresso riserve
nei confronti di Paolo Fantin (scene), Carla Teti (costumi) e Alessandro
Carletti (luci) – ossia i collaboratori di Michie-letto, trattenuto a Amsterdam
da un altro impegno.
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