Cina e Italia fra
capre, caproni e volatilità
13 - 01 - 2015Giuseppe Pennisi
Da due settimane è iniziato il 2015 in quasi tutto il
mondo. Un’eccezione importante è la Cina, quando l’anno nuovo comincerà il 19
febbraio; sarà, secondo il calendario del Celeste Impero, l’’anno della capra’.
Per evitare di essere “caproni” sui mercati finanziari, è utile esaminare
alcune caratteristiche, peraltro già evidenziate dagli altri e bassi dei titoli
di Borsa (specialmente sulle piazze europee) in queste prime due settimane.
In una lunga intervista apparsa sul New
York Times del 10 gennaio, William Miller, amministratore
delegato del Legg Mason Opportunity Fund, ha detto senza mezzi termini che il
2015 è l’anno della volatilità. Gli fa eco Duncan Wilkinson dell’AlhaSimplex
Group di Cambridge, Massachusetts. Wilkinson ha sviluppato l’’ipotesi di
mercati adattivi’, secondo cui i mercati non sono interamente “razionali” ma si
“adattano” più o meno rapidamente al mutare delle circostanze, e alle
informazioni che ricevono sui differenti andamenti. I fondi comuni che
utilizzano il metodo di AlphaSimplex, sono riusciti, nel 2014, ad andare
leggermente meglio dell’indice Standard and Poor 500 (S&P500), mentre l’80%
dei fondi basati negli Usa sono andati peggio dello S&P500. Vuol dire che
“ci azzeccheranno” anche nel 2015. Lo stesso Wilkinson è dubbioso: i loro
modelli riescono a “catturare” il rischio (ossia a tenerne conto) ma non
l’incertezza. E i mercati sono sempre più caratterizzati da una forte dose di
incertezza, sia economica (ad esempio, l’andamento dei prezzi del petrolio; la
faticosa ripresa nell’eurozona, se mai avrà corpo) sia politica (il pullulare
di guerre grandi e piccole, il terrorismo anche in Europa, la complessa successione
in Arabia Saudita – dove non è in via diretta ossia da padre e figlio ma tra
fratelli, ed una generazione si sta esaurendo cedendo il passa ad un vasto
numero di ambiziosi cugini)-
C’è qualcosa che i governi, le politiche pubbliche
possono fare? Probabilmente sì, se nell’anno della capra non vogliono essere
loro a comportarsi non da gufi ma da caproni. All’inizio di gennaio, una delle
maggiori società internazionali di consulenza economica, BCA Research, ha
pubblicato un rapporto in cui ha analizzato quello che chiama il “superciclo de
debito”; nel mondo occidentale il debito è cresciuto complessivamente dal 160%
al 220% del Pil. Ora, secondo BCA Research, il “superciclo” è arrivato al
capolinea. E i governi che non sanno gestire questa fase devono, come i
conducenti al capolinea, scendere dall’autobus e lasciare la guida ad altri.
Prima di esserne travolti (come avviene ai caproni).
Il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, si dice che
segua con attenzione il serial televisivo House of
Cards. Farebbe bene a leggere House of Debt di Atif
Mian e Amir Sufi, due economisti distinti e distanti dalle beghe del Partito
Democratico (PD) in cui si mostra come l’esigenza di rifinanziare ogni anno un
debito in continua crescita può indurre ad una crisi di fiducia. Una parte del
lavoro esamina la crisi debitoria subprime negli Usa e
dimostra come le aree più colpite sono state quelle in cui sull’edilizia
gravavano i mutui più pesanti. Analogamente, le aree più a rischio, e con
maggiore incertezza, sono quelle con il maggior rapporto tra debito e Pil. In
Europa, il rapporto è mediamente cresciuto dal 60% all’inizio del secolo
all’85% ma si avvia ad una costante crescita, di cui Grecia, Italia, Spagna,
Belgio e Portogallo sono unicamente le prime avvisaglie. La situazione europea
è ben peggiore di quella americana a ragione principalmente della demografia.
Cosa fare in questo contesto? Per i risparmiatori,
occorre guardare non tanto a mercati geograficamente nuovi quanto a
investimenti che tengono conto delle tendenze demografiche, in primo luogo le
polizze vita e le obbligazioni associate a programmi a lungo termine in settori
come l’energia e le infrastrutture. Per i Governi, affrontare, meglio se sulla
base di un’intesa, il nodo del debito pubblico.
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