TEATRO
DELL'OPERA/ Roma rinasce grazie alle quindici repliche de Lo Schiaccianoci
Pubblicazione:
mercoledì 7 gennaio 2015
Schiaccianoci,
foto di Yasuko Kageyama
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NEWS Musica
Finalmente
una buona notizia da Roma. Il Teatro dell’Opera sembrava sull’orlo della
liquidazione coatta e anche della vendita degli arredi. Apre, invece, l’anno in
piena ripresa. Dopo il successo della Rusalla di Dvorak a basso costo
con cui è stata inaugurata la stagione (ne ha parlato anche la stampa
internazionale) è stato segnato un record storico di presenze con Lo
Schiaccianoci che ha chiuso il 4 gennaio le repliche, con un “tutto
esaurito”: 21 mila spettatori hanno assistito – dal 18 dicembre - al balletto
natalizio di Pëtr Il’ic Cajkovskij con la coreografia di Amedeo Amodio e le
scene e i costumi di Lele Luzzati.
E’
un dato che balza in testa alle classifiche del Teatro dell’Opera, che sino ad
oggi vedeva in vetta la Traviata del 2009 con 17.200 presenze. Un
record, questo dello “Schiaccianoci”, toccato con la proposta di 15
repliche, che è la dimostrazione concreta dei risultati dell’aumento della
produttività voluto dal sovrintendente Carlo Fuortes: "È il dato
concreto di un nuovo rapporto con il pubblico romano, con la città di Roma, che
affolla, dopo il successo della ‘Rusalka’, il Teatro Costanzi. Ed è ancora il
segno del ruolo che il Teatro dell'Opera può e deve svolgere nell'offerta
culturale della città".
Per
Schiaccianoci si può ben dire di spettatori di tutte le età. Accanto al
pubblico del Lazio è stata molto alta anche la presenza dei turisti che nelle
vacanze romane, da questa stagione, includono nella loro agenda, grazie a una
rinnovata campagna di comunicazione, una serata al Teatro dell’Opera.
Il
prossimo appuntamento è Werther di Jules Massenet in collaborazione con
l’Opea di Francoforte. La prima è il 18 gennaio. “I dolori del giovane
Werther” di Goethe è un romanzo epistolare imperniato esclusivamente sui
sentimenti. La sua pubblicazione, alla fine del Settecento, provocò un vero e
proprio uragano in Europa perché interpretava lo spirito del tempo meglio di
quanto scritto sino ad allora. Innescò anche numerose imitazioni come “Le
ultime lettere di Jacopo Ortis” di Ugo Foscolo.
Lo
sviluppo drammatico è quasi esclusivamente nelle crescente solitudine ed “ennui
de vivre” del protagonista giovane aristocratico 23enne della Westfalia,
innamorato della ventenne Charlotte, promessa sposa al suo migliore amico
Albert (25 anni) poiché ciò è stato richiesto alla giovane dalla madre morente.
Sempre più solo, Werther giunge al gesto estremo: suicidarsi con le pistole
dategli dallo stesso Albert, consapevole della situazione. Goethe sviluppò in
modo magistrale la dissonanza crescente tra la prestanza fisica, l’amore per la
natura e i momenti di gioia del protagonista, da un lato, e la sua sempre più
straziante disperazione. Nel romanzo, Charlotte non ha un vero e proprio
sviluppo drammatico-psicologico: ama Werther ma deve sposare un altro perché
così dicono le consuetudini del tempo e la parola data alla madre.
Pochi ricordano che il romanzo attirò quasi da subito autori di teatro
in musica: già nel 1792 andava in scena un’opera di Kreutzer. Furono molto i
musicisti italiani che trassero opere dal lavoro: Vincenza Pucitta (Venezia,
1802), Niccolò Benvenuti (Pisa, 1811), Roberto Gentili (Roma 1862). Non
mancarono gli spagnoli , Eduardo Ximenes (Velancia, 1879). E naturalmente i
tedeschi. Pochi di questi lavori sono oggi ricordati. L’unico sempre sulle
scene è quello di Massenet. Ci volle una cooperativa di librettisti (Eduard
Blau, Paul Millier, Geroges Hartmann) per permettere a Jules Massenet di farne
un “dramme lyrique”, inizialmente rifiutato dai teatri francese,
ma di successo in tutto il mondo dopo il trionfo a Vienna nel 1892. Più
importante del libretto, peraltro fedele alla vicenda, è la scrittura
orchestrale e vocale di Massenet specialmente nelle due arie di Werther sul
tema del nesso tra l’uomo e la natura: in ambedue i casi, la natura è qualcosa
di oggettivo (e di oggettivamente bello ed attraente) in cui il giovane
proietta la propria tormentata vita interiore. Werther
ha ancora grande successo in Italia. Nel 2007, ci furono ben tre differenti
allestimenti. Uno a Roma (regia di Alberto Fassini ripresa da Joseph Francioni
Lee), molto oleografico in cui si giustapponeva la solitudine di Werther (sino
al passo estremo) a un ambiente bigotto descritto nei minimi particolari con
scene grandiose e tradizionali. La direzione di Alain Lombard era lirica.
Giuseppe Filianoti era un Werther fervido ed ardente. Accanto a lui Beatrice
Uria Manzon , bella e passionale. Un secondo a Napoli, offriva un Werther
stilizzato e sensuale, in cui i due protagonisti erano in scena già nella
sinfonia. L’accento poggiava sugli stati d’animo.
A differenza di Filianoti (un bari-tenore dal repertorio già
vastissimo), José Bros è specializzato nei ruoli “belcantistici”: il suo era un
Werther struggente e dalla vocalità spericolata ma mai volgare. Non fu facile
essere sexy per Sonia Ganassi, la cui Charlotte giocava interamente
sull’abilità vocale. Un terzo allestimento, innovativo e inconsueto, ci fu a
Savona e Rovigo e giunse a Parma nel 2010. Nel 2009, un “Werther”
all’acquerello (con Filianoti nel ruolo del protagonista) si è visto al teatro
Cilea di Reggio Calabria.
Nell’allestimento a Savona, Rovigo e Parma, il regista Marco
Carniti (le scene sono di Alessandro Chi) trasferisce la vicenda dalla Weimar
dell’inizio del XIX secolo a un’Europa vagamente nordica dell’inizio del XX. I
bambini vestono alla marinara. Gli abiti delle signore riflettono la moda
dell’epoca. Soprattutto si sente odore di Ibsen e di Strinberg o di quel
Giacosa che, allora, era la versione nostrana dell’accostarsi del teatro alla
psicoanalisi (si pensi a “Tristi Amori”). Sin dal corteo funebre che
accompagna l’ouverture, si avverte una forte impronta psicoanalitica più che
romantica: Charlotte acquista un ruolo centrale.
La promessa alla madre morente (il cui carro funebre attraversa il
palcoscenico durante l’ouverture e il cui scialle è sempre in scena)
gradualmente sconvolge la sua mente e non solo quella di Werther. Lo dimostra
il disordine crescente nella sua stanza. Nonché nello studio del protagonista
che si spara tra cataste di libri. Sonia Ganassi, veterana del ruolo, dà bene
questo taglio psicoanalitico al personaggio..Francesco Meli, dal canto suo,
regge una parte molto ancorata al registro di centro, ma non priva di impervi
acuti. Sfoggia un fraseggio elegante e un “legato” delicato e , soprattutto,
affronta con disinvolture le “mezze-voci” richieste dalla partitura spesso
subito dopo momenti “spinti” .
A Roma viene proposto l’allestimento di Willy Decker con le scene
di Wolfgang Gussman, un Werther stilizzato e sensuale, in
cui i due protagonisti erano in scena già nella sinfonia. La regia di Decker e
le scene di Gussman non sono descrittive ma allusive. L’accento poggiava sugli
stati d’animo. Francesco Meli è il protagonista, Veronica Simeoni (giovane
mezzosoprano che ha già cantato il ruolo in Italia ed all’estero) Charlotte.
Dirige Jesus Lopez Cobos.
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