A qualcuno
piace Fatca: la libera circolazione dei capitali è finita—di Giuseppe Pennisi
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Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Giuseppe
Pennisi.
Negli Stati Uniti, dove ho vissuto più di tre lustri
quando lavoravo in Banca Mondiale, è noto che il Partito Democratico ha
tendenzialmente sempre albergato sentimenti protezionisti, mentre il Partito
Repubblicano è sempre stato relativamente liberista. All’inizio degli anni
Sessanta, il Presidente John F. Kennedy (che aveva consiglieri liberisti come
W.W. Rostow) dovette penare non poco per fare approvare dal Congresso quel Trade
Expansion Act che fu la base del maggior negoziato multilaterale sugli
scambi – quello in effetti che portò alla più ampia liberalizzazione dei
commerci in prodotti manufatti. Le radici del protezionismo del Partito
Democratico stanno nello stretto legame , anche finanziario, che i maggiori
sindacati, principalmente dei metalmeccanici, dei chimici e dei tessili. Sono
stati, ad esempio, i maggiori ‘contributori’ alle campagne elettorali che hanno
portato Barack Obama alla Casa Bianca.
Pochi, però, potevano pensare che, zitti zitti, piano
piano, senza fare alcun rumore, il Partito Democratico, alleandosi non solo con
i sindacati ma anche con i mutual funds made in Usa, potesse assestare
un brutto colpo a quella libera circolazione dei capitali che è una delle
maggiori conquiste dell’economia internazionale dal dopoguerra ad oggi. E che
trovasse il pieno supporto del Governo italiano: il protezionismo – lo sappia
Matteo Renzi – è il peggior nemico della crescita.
Lo strumento è il FATCA (Foreign Account Tax
Compliance Act), una norma tributaria americana recepita dall’Italia
l’estate scorsa sugli intermediari finanziari, sulle famiglie e sugli
individui.
Due importanti columnist del ‘Project syndacate’,
appena effettuati i loro adempimenti con il FATCA, sono andati ai più vicini
consolati americani a rinunciare alla loro nazionalità americana (diventando
uno tedesco e uno francese, le nazionalità dei coniugi). I consolati americani
hanno aumentato da 400 a 3250 euro la fee (onere amministrativo) per
rinunciare alla cittadinanza. Alle loro porte si fanno le file per rinunciare
alla cittadinanza Usa. Tra i primi a fare la ‘grande rinunzia’, i fratelli
Elkann – naturalmente ben informati e meglio consigliati,
In Canada, dove la doppia cittadinanza è
frequentissima, si è addirittura costituito un partito con il programma di
forzare il Governo di uscire dall’Intergovernmental Agreement con cui è stato
recepito il FATCA. Gli americani residenti nei Paesi OCSE hanno dato vita ad
un’associazione perché siano gli organi dell’organizzazione a far sì che gli
Stati Uniti applichino, come tutti, il principio dell’imposizione tributaria
sulla base delle ‘residenza’ non della ‘cittadinanza’.
Non solo: oggi se ci si rivolge a qualsiasi
istituzione finanziaria italiana per acquistare quote di un fondo comune
d’investimento, si deve compilare un complesso modulo per certificare che non
si è, e non si è mai stati, cittadini americani, e – ove lo si sia stati –
occorre esibire copia autenticata dell’atto di rinuncia quale accettato
dall’Amministrazione Usa. Chi ha ricevuto un mail con il modulo, non lo ho
compilato pensando che si trattasse di pubblicità, si è visto bloccare il conto
o il web banking.
Infine, alcuni correntisti italiani stanno ricevendo
lettere di disdetta dei loro conto correnti da banche, di cui sono stati
clienti per decenni, perché ci sono ‘forti indizi’ di cittadinanza americana.
Si tratta spesso di figli di italiani che, dopo un periodo di espatrio, sono
rientrati in Patria, di vedovi o vedovi di americani, di persone nate quasi
“per caso” negli Usa in quanto figli di diplomatici, funzionari internazionali,
italiani che hanno lavorato per periodi più o meno lunghi all’estero. Il FACTA,
infine , non riguarda unicamente i ‘cittadini’ Usa ma tutte le ‘US persons’,
chiunque abbia interessi finanziari di un certo rilievo negli Stati Uniti.
Cosa è il FATCA? Non è questa la sede per entrare nei dettagli
tecnico-tributari. Come scrisse mirabilmente l’economista Paul Streeten in un
saggio nel lontano 1986 è il frutto della ‘legge del racket’ in base alla quale
una buona idea finisce nelle mani delle persone sbagliate e ne creano un incubo
burocratico per i propri fini particolaristici,
FATCA nasce da una buona idea: tentare di limitare il
riciclaggio e far sì contemporaneamente che i milioni di cittadini americani
(spesso inconsapevoli di esserlo) adempiano ai loro obblighi tributari nei
confronti degli Usa. Si tenga presente che al mondo unicamente gli Stati Uniti
e l’Eritrea tassano sulla base della cittadinanza, piuttosto che della
residenza. Su questa idea, si sono inserite due componenti: la lobby dei ‘mutual
funds’ americani per impedire che i cittadini americani investano in ‘fondi
comuni’ esteri, od in mutual funds Usa che operano anche con titoli
stranieri, e il desiderio dell’Internal Revenue Service (IRS), l’Agenzia delle
Entrate americana di espandere il proprio tentacolare organico. Il tutto è
stato condito di una buona dose di populismo. Attenzione, secondo una recente
spending review del Governo americano l’organico dell’IRS avrebbe dovuto
essere dimezzato: con il FATCA , Obama crea tanti jobs for the boys.
In estrema sintesi, tutti gli intermediari finanziari
devono consegnare all’IRS, tramite le agenzie tributarie nazionali, tutti i
dati sui conti di deposito di cittadini americani e di’ US persons’, anche
quelli cointestati con non americani. Un costo enorme per gli intermediari. Ancora
maggiore, però, quello che pesa sugli intermediari finanziari (e sui singoli
sia individui sia famiglie sia imprese) se gli americani residenti all’estero
vogliono mettersi in regola tramite un percorso speciale definito nel FATCA;
occorre infatti presentare, per gli ultimi sei anni, i movimenti di ciascun di
ciascun comparto di mutual fund americano o straniare al fine di determinare
capitale, dividendo o interesse. Un lavoro mostruoso. Tale da scoraggiare gli
intermediari finanziari ad avere a che fare con soggetti FATCA:
Teoricamente, dovrebbe servire all’IRS a determinare
se l’imposta sull’aumento di capitale (che negli Usa aveva, sino ad un anno fa,
aliquote più alte che in numerosi Paesi OCSE) deve essere conguagliata. Per
l’imposta sui redditi,i trattati sulla doppia tassazione fanno sì che
unicamente in rarissimi casi ci saranno compensazioni da fare.
Quindi molto lavoro per un piccolo gruppo di
fiscalisti specializzati in questa materia (una quarantina in tutta Italia), i
quali hanno subito aggiornato i loro onorari. Un costo pesantissimo per le
istituzioni finanziarie, per gli individui e per le famiglie. Ci sono
alternative migliori e più semplici (nonché meno onerose) per raggiungere i
medesimi obiettivi tanto che negli Usa il Partito Repubblicano sta lavorando
alla sostituzione del FATCA; con un altro strumento legislativo.
Il punto di fondo è perché in Italia non c’è stato il débat
publique prima di recepire l’accordo e perché oggi non se parla e non si
mettono le strutture pubbliche in condizioni di aiutare individui, famiglie ed
imprese? Tanto più che c’è un aspetto molto grave: una legge straniera cambia
regole italiane per cittadini italiani e discrimina nei confronti di cittadini
italiani come in altri tempi venne fatto nei confronti degli italiani. Due noti
economisti indiani hanno affermato che siamo ormai una ‘colonia’; perché
strepitiamo per i marò.
Matteo Renzi e Federica Mogherini sono giovani:
qualcuno, però, a Palazzo Chigi o alla Farnesina avrebbe dovuto raccontare loro
cosa avvenne circa trent’anni fa in una località siciliana che si chiama
Signonella.
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