lunedì 19 gennaio 2015

I Soldati e le donne in Formiche 19 gennaio



I Soldati e le donne
19 - 01 - 2015Giuseppe Pennisi I Soldati e le donne
Molti critici sono rimasti un po’ delusi dall’inauguraleFidelio alla Scala . Pochi lo sono stati dalla seconda opera in programma: Die Soldaten (I Soldati) di Bernd Alois Zimmermann in scena dal 17 gennaio al 3 febbraio in un allestimento coprodotto con il Festival di Salisburgo nel 2012. La coproduzione ha comportato un sostanziale ripensamento dello spettacolo (che pur aveva trionfato al festival austriaco) anche mantenendo la stessa squadra (regia, scenografia, costumi, concertazione e direzione d’orchestra, interpreti dei ruoli principali).
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A Salisburgo, lo spettacolo era stato concepito per la Felsereitschule, l’antica cavallerizza del Principe-Arcivescovo scavata nella montagna. Quindi un boccascena enorme dove si potevano rappresentare contemporaneamente quadri che si svolgevano a Lille e scene nelle Fiandre; inoltre dietro il boccascena: 12 destrieri ed amazzoni facevano esercizi da concorso ippico. Alla Scala Alvis Hermanis ha ristrutturato l’impianto scenico a due livelli: in quello inferiore si svolge l’azione “principale”, a quello superiori i ‘soldati’ si ubriacano, gozzovigliano con donne di malaffare.
L’azione è spostata da fine Settecento (come nella pièce in 34 quadri di Jacob Lenz) a “ieri, oggi, domani”, come indicato da Zimmermann a cui si deve il libretto che rielabora profondamente Lenz, riducendolo a 15 quadri e cambiandone anche il finale. I costumi di Eva Dessecker sono, per lo più, in stile prima guerra mondiale, ma non mancano abiti settecenteschi e raffigurazioni avveniristiche. A Salisburgo Ingo Metzamacher, dirigeva tre grandi orchestre (una in buca e due ai lati) , alla Scala lo stesso Metzamacher concerta un’orchestra nel golfo mistico e cinque gruppi strumentali in varie posizioni di palchi e gallerie ottiene interessanti effetti stereofonici. E’ una concezione molto più prossima a quella di Zimmermann.
Die Soldaten è un lavoro della seconda metà degli Anni Sessanta, di un autore tedesco che si teneva in disparte dalle mura che allora dominavo la scena musicale europea in generale e quella del mondo di cultura germanica in particolare. Al debutto a Colonia nel 1965 Die Soldaten venne acclamato come una delle più importanti opere del Novecento. Nonostante Bernd Alois Zimmermann fosse titolare della cattedra di composizione di una prestigiosa università, restò isolato nel mondo musicale tedesco in quanto distinto e distante dalla cultura costruttivistica – marxista dominante a Darmstadt, per anni il principale centro di cultura e formazione musicale in Germania -. “Arrotondava” lo stipendio universitario componendo musica da film. Pare che, al fronte avesse perso la fede, ma nel 1957 compose Omnia Tempus Habet, un grandioso oratorio, tratto dall’Ecclesiaste. Composto interamente a Roma all’Accademia Tedesca di Villa Massimo, esprime a pieno il tormento interiore di una intera generazione.
E’ un lavoro profondamente antimilitaristico. Per molti aspetti, ricorda un romanzo di successo From Here to Eternity (Da qui all’Eternità) di James Jones del 1951 da cui venne tratto nel 1952 un film di ancora maggiore successo, di Fred Zinnerann, che torna ancora spesso alla televisione: con il titolo basato su una poesia di Kipling (Da qui all’eternità sei condannato, o soldato) è un crudele squarcio di vita militare in una caserma di Honolulu alla vigilia dell’attacco a Pearl Harbour.
Die Soldaten mostra la dissoluzione di una famiglia borghese a Lille, città di confine tra fiamminghi e francesi in lotta perenne. Siamo in una fase di armistizio in uno dei tanti conflitti dell’epoca, ma per i “soldati” se non c’è un nemico da combattere, ci sono le donne da umiliare. In un mondo senza Dio, e caratterizzato da mura ideologiche prima ancora che militari (le secondo sono un effetto collaterale delle prime) si è sempre in guerra. Zimmermann (nato nel 1918) ha passato parte della seconda guerra mondiale al fronte orientale (Polonia, Russia), un’esperienza lo ha traumatizzato sino a portarlo al suicidio nel 1970 (quando era all’apice del successo).
L’opera dipinge la tragedia di Maria, brava figliola di un commerciante, fidanzata ad un sarto, ma attratta da un ufficiale aristocratico, ceduta da costui ad altri (sia aristocratici sia stallieri sia soprattutto truppe affamate di donne) e portata alla prostituzione ed alle peggiori malattie, nonostante gli sforzi del cappellano dell’esercito e della madre di uno dei suoi amanti passeggeri di evitarle tale destino. Nel quadro finale, dopo una guerra nucleare, sono morti tutti i protagonisti tranne Marie e suo padre, che non la riconosce ma le da un’elemosina, mentre una voce dall’alto intona il “Pater Noster”.
Sotto il profilo musicale, in “Die Soldaten”, a cui Bernd Alois Zimmermann lavorò dieci anni segue una forma rigorosa (strofa, ciaccona, toccata, ecc.) – come in Alban Berg- ma utilizza vari stili (da Bach, a canzoni popolari, a jazz, a sequenze da un Requiem gregoriano) che si fondono in una partitura di base dodecafonica. Il canto è portato agli estremi delle possibilità umane pur facendo comprendere ciascuna parola (in tedesco) in quanto note, vocali e consonanti sono plasmate in modo di essere un tutt’uno.
Impossibile citare anche solo i dodici protagonisti tra i numerosi solisti. Tra tutti ha spiccato, a Salisburgo ed alla Scala, l’ormai milanese Laura Aikin, un soprano americano che come poche ha saputo gestire bene la propria voce: iniziando da parti di coloratura ed approdando alla scrittura più impervia dove si declina il “do” in tutte le sue accezioni. Ha meritato ovazioni . Lunghi applausi a tutta la compagnia.
Triste però notare che alla prima del 17 gennaio, c’erano alcune file semivuote e che il 15 gennaio ad una generale aperta agli studenti pochi hanno risposto all’appello.
Vale la pena ricordare che, nonostante i mezzi richiesti, dopo la prima a Colonia è stata ripresa a Monaco, Amburgo, Stoccarda, Düsserdorf, Dresda, nonché nel teatro scavato nelle miniere di carbone della Ruhr. E’ stata messa in scena al Festival di Edimburgo, alla Opera Company di Boston, alla New York City Opera ed al New National Theatre di Tokio. Di recente, due teatri di piccole dimensioni, l’Opera di Zurigo (1100 posti) e la Komische Oper di Berlino (circa mille posti) mostrano come il lavoro, concepito per un grande palcoscenico ed una grande sala, possa essere allestito pure in teatri di taglia media ove non modesta e possa entrare “in repertorio”, Segno che il pubblico italiano è ancora molto conservatore?

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