Michele Mariotti salva “Un
ballo in maschera” a Bologna
13 - 01 - 2015Giuseppe Pennisi
Un’autorevole collega ha scritto un paio di volte che Michele
Mariotti (classe 1979), nuovo astro italiano della bacchetta (ormai
dirige in tutti i maggiori teatri), dovrebbe restringere il proprio repertorio
a quello belcantistico che lo ha lanciato. Ho pieno titolo per dissentire
perché credo di essere stato l’unico critico musicale italiano a esprimere
riserve sul suo debutto, all’inaugurazione della stagione del Teatro Comunale
di Bologna nel 2007 con Simon Boccanegra. E’ un’opera che richiede
grande maturità di vita e di esperienze esistenziali per poterne comprendere il
significato e, quindi, concertarla e dirigerne la complessa orchestrazione (lo
stesso Verdi lavorò alla composizione del lavoro dal 1857 al 1881,
producendone almeno tre versioni).
Foto Casaluci
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Chi ritiene che Mariotti debba frequentare
solamente il “belcanto” e dintorni debba ricredersi. Non solamente il suo
Rigoletto al Metropolitan è stato visto (ed applaudito) da circa un milione di
spettatori in una “diretta” in 3000 sale cinematografiche in tutto il mondo, ma
a dieci anni circa da quel Simon, Mariotti ha letteralmente salvato
l’inaugurazione della stagione 2015 del Teatro Comunale di Bologna, affrontando
una partitura complessa come quella di “Un ballo in maschera”. La regia dello
spettacolo era affidata ad un altro astro nel firmamento del teatro d’opera
italiano: Damiano Michieletto. La messa in scena era stata fischiata
alla Scala nel 2013.
Michieletto
ne ha modificato gli aspetti più controversi (ad esempio, l’inizio del secondo
atto) ma l’impianto è rimasto essenzialmente vecchio e poco elegante (ne tratto
in dettaglio altrove). Il regista non si è presentato sul boccascena al termine
dello spettacolo in quanto impegnato nella prima de Il Viaggio a Reims di Rossini
a Amsterdam ma il pubblico lo ha fischiato per procura, prendendosela con i
suoi collaboratori – Paolo Fantin (scene), Carla Teti (costumi) e
Alessandro Carletti (luci)- quando sono apparsi sul palcoscenico.
Invece, Mariotti, i cantanti, l’orchestra ed il
coro hanno avuto applausi a scena aperta durante lo spettacolo ed ovazioni alla
fine, nonostante il macchinoso impianto scenico abbia imposto una
ristrutturazione della divisione in tempi e quadri dell’opera. Tale
ristrutturazione poco ha a che fare con le intenzioni di Antonio Somma
(librettista) e di Giuseppe Verdi, nonché con la logica drammaturgica e
musicale. Alla Scala nel 2013 il dissenso nei confronti di Michieletto –
che qualcuno ha definito il “Graham Vick dei poveri”- ha in parte contagiato
anche le reazioni agli aspetti musicali.
La sera dell’11 gennaio, a Bologna, ciò non è avvenuto
- Michele Mariotti era sul podio, invece di Daniele Rustioni.
Mentre nel 2013 il secondo ha concertato “Un ballo in maschera” secondo canoni
tradizionali di un lavoro con richiami pure al melodramma donizettiano (per
creare il clima decadente della Corte), per Mariotti ”Un ballo in
maschera” è un’opera violenta, che parla di rapporti interpersonali, ma
soprattutto di valori traditi, di amori mai consumati, di passione o il di
senso di colpa. La politica (ossia una rovente campagna elettorale) è poco più
di una cornice. La concertazione scolpisce il carattere dei personaggi e fa un
uso quasi cinematografico dell’orchestra, a volte protagonista nel dramma; a
volte, chiamata a commentarlo. I complessi del Comunale di Bologna danno una
prova di grande livello. Attenzione, ciò non vuole dire che Mariotti non
abbia messo in rilievo l’ambiguità musicale di “Un ballo in maschera”. Ad
esempio, nell’introduzione ha dato spazio allo stile brillante, leggero,
contrappuntistico, che Johann Strauss avrebbe, più tardi, preso come
modello per le sua quadrighe operettistiche. E soprattutto nel secondo atto (e
nei richiami che si hanno nel terzo) ha estratto la sensualità più carnale (di
un eros non consumato e proprio per questo così forte) mai composta da Verdi, e
nel melodramma italiano, nel lungo periodo dalle ultime opere di Rossini
a Manon Lescaut di Puccini (ossia circa del 1820 al 1890) in cui
l’espressione erotica (fortissima nel teatro in musica francese e tedesco)
veniva di fatto evitata nei palcoscenici italiani.
Mariotti disponeva, per salvare Un Ballo, di un buon
cast: Gregory Kunde un Riccardo più stentoreo che delicato, Luca Salsi un
Renato complesso e Maria José Siri un’Amelia tormentata . Di livello la Elena
Manistina (un’Urlica resa televenditrice da Michieletto) e Beatriz Diaz (un
Oscar dalla dolce coloratura e dcon una sessualità ambigua, a volte vestito da
ragazzo a volte da fanciulla). Forse un riferimento di Michieletto al fatto che
Gustavo III di Svezia (al cui assassinio durante un ballo a Palazzo si ispira
l’opera) avesse la fama di essere bisessuale.
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