ALLA FENICE LA TRAVIATA RINGIOVANISCE
Giuseppe Pennisi
La Fenice propone circa 40 repliche di Traviata
nell’allestimento di Robert Carsen (con scene e costumi di Patrick Kinmoth) con
il quale il teatro venne riaperto nel 2004, dopo l’incendio. Fu un enorme
successo, nonostante le polemiche di qualche critico ultra-tradizionalista. L’esito
è dimostrato dal fatto che da allora la
produzione viene replicata dieci volte l’anno . Nel 2015, sono programmate
cinque repliche al mese fino al 4 ottobre. L’allestimento regge bene e promette
di restare in scena per almeno un altro lustro. L’alto numero delle recite
comporta la messinscena di allestimenti che possono durare diversi anni e che
possono essere alternati con altre opere (che non richiedono complesse
attrezzature scenografiche) in modo da offrire una scelta costante ai 27
milioni di turisti l’anno. In buca, Diego Matheuz (classe 1984) concerta con
calore ponendo l’accento sulle tinte melanconiche; la protagonista, Francesca
Dotto (classe 1987), è alle prese con un ruolo impervio che richiederebbe, a
rigor di logica, due soprani: uno lirico di coloratura fino a metà dell’opera,
rappresentata da Amami Alfredo (nel secondo atto) e uno
drammatico, con vocalità di maggior spessore. Alfredo era Leonardo Cortellazzi,
un giovane tenore lirico promettente, Già di grande spessore, invece, il
baritono Marco Caria nel ruolo di Giorgio Germont.
Lo spettacolo di Carsen (e Kinmoth) si basa su un’idea
semplice ma suggestiva: il contrasto tra il denaro del mondo in cui vive
Violetta e l’aspirazione della giovane alla purezza della natura (il bosco del
primo quadro del secondo atto, che riappare nel terzo atto quando la
protagonista muore).
(riproduzione riservata)
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