OPERA/ Don
Pasquale torna a Roma: guida all'ascolto
martedì 18 giugno 2013
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NEWS Musica
Dopo dieci anni torna a Roma, una delle opere più famose del repertorio
popolare, il Don Pasquale di Gaetano Donizetti. Il nuovo
allestimento vede, sul podio e alla regia una coppia artistica che ha incassato
nelle ultime due stagioni una serie di successi con L’elisir d’amore
(2011) e con Il barbiere di Siviglia (2012): Bruno Campanella e Ruggero
Cappuccio. Una squadra vincente che si arricchisce delle scene di Carlo Savi e
dei costumi di Carlo Poggioli – maestro del Coro Roberto Gabbiani – che vede
nelle voci in scena la sua punta di diamante. Un doppio cast di giovani talenti
già amati dal pubblico internazionale che elenca la voce e il fisico possente
di Nicola Alaimo nel ruolo di Don Pasquale (si alternerà con Andrea Concetti il
19, 21 e 23 giugno), la grazia di Eleonora Buratto e di Rosa Feola (19, 21, 23
giugno) che si avvicenderanno nel ruolo di Norina, la freschezza di Joel Prieto
(Edgardo Rocha canterà il 19, 21, 23 giugno) nei panni di Ernesto e la verve
ironica di Mario Cassi e Alessandro Luongo (19, 21, 23 e 25 giugno) in quelli
del Dottor Malatesta.La strepitosa facilità creativa di Gaetano Donizetti trova
in quest’opera, nell’equilibrio perfetto tra gli elementi comici, melodici e la
leggerezza dei personaggi, la sua forma più compiuta e originale che ha reso Don
Pasquale l’opera maggiormente rappresentata all’estero, ancor più che in
Italia, di Donizetti.
Occorre ricordare che al "Théâtre des Italiens” parigino, il 3
gennaio 1843, (“prima” mondiale del lavoro) il ruolo di “Don Pasquale” era interpretato
da Luigi Lablache, che maturo ma prestante, con altri due interpreti della
serata- Giulia Grisi e Antonio Tamburini- aveva portato al trionfo “I
Puritani di Scozia” di Vincenzo Bellini. Il libretto firmato da Giovanni
Accursi (ma in realtà di Giovanni Ruffini) , inoltre, è chiaro: Don Pasquale,
zitello sulla quarantina, è ancora “ardito” (sessualmente, parlando), sente “un
foco insolito”, si “strugge d’impazienza” al pensiero di “prender moglie”. In
effetti, l’età dei quattro personaggi del capolavoro di Donizetti è più o meno
la seguente: Don Pasquale è sulla quarantina, il mefistofelico Dottor
Malatesta sulla trentina, il “nipotino” Ernesto (cresciuto dal Don come se
fosse un figlio) ha sì e no 25 anni e Norina tra i 18 ed 20. Sono passati poco
più di due lustri dal rossiniano “Le compte Ory”, ultima opera
sfacciatamente erotica (dalla prima all’ultima nota) di compositori italiani
prima che il capitolo venga riaperto (ma dopo oltre 70 anni) dalla pucciniana “Manon
Lescaut”: nel 1843, nel teatro lirico italiano sta per iniziare la notte
dell’eros del melodramma verdiano. Già malandato e precocemente invecchiato,
Donizzetti, che aveva scavato nell’eros con le tre opere dedicate alle tre
regine Tudor e nel 1840 aveva composto la carnalissima “La Favorite”,
guarda in “Don Pasquale” con ironia al mondo, inebriando di champagne un
canovaccio vetusto. L’ironia non ha nulla di farsesco – come ci dice una delle
partiture più raffinate e, quindi, più difficili di Donizetti ed una vocalità
che, nel 1843, aveva richiesto gli interpreti dell’apoteosi del “bel canto”. E’
intrisa di leggera malinconia; il terzo atto pare preconizza lo sveviano
“Senilità”.
Perché questa premessa? L’iconografia tradizionale (formatasi nella seconda
metà del XIX secolo) mostra un Don Pasquale vecchio e brutto, un Ernesto
malandrino, una Dorina tutto pepe (ma poco eros) ed un Malatesta furbrasto. Il
Teatro dell’Opera di Roma hale carte per regalarci un “Don Pasquale”
all’insegna del “fuoco insolito” del quarantenne alla ricerca di una moglie
giovane, bella, sexy e sottomessa.
È un’opera scintillante, di eleganza raffinata, scritta per Parigi dove
Donizetti è un compositore affermato. L’archetipo comico del vecchio amoroso e
della vedovella scaltra gli viene dalla memoria, dalSer Marcantonio di
Anelli, musica di Pavesi, del 1810, semplificato e personalizzato. C’è la Roma
che il giovane Donizetti ha frequentato, nella casa borghese di Don Pasquale.
Protagonista è un buffo, tipologia di cantante caratterista di cui Donizetti ha
appreso a Napoli la tecnica di recitazione ammiccante, dizione scandita,
eleganza, canto sillabato vorticoso; il compositore si immedesima nel buffo Don
Pasquale e lo trasforma in personaggio, un po’ autobiografico nella malinconia;
proietta caratteri comici anche sul baritono, che per finzione condivide le
reazioni di Don Pasquale ma è anche artefice del suo matrimonio per burla a
favore della brillante vedovella e di Ernesto, il nipote a cui lo zio non vuol
concederla. È magnetica la scena del Dottore che insegna alla ragazza a
presentarsi da semplicetta e la prontezza di lei, decisa a tutto. Successo
immancabile, con l’imprevisto di Ernesto, non avvertito, che viene a congedarsi
dopo una stupenda aria con tromba e diventa testimone sbalordito, e poi
divertito alla fulminea metamorfosi della sposina sottomessa in capricciosa
provocatrice. Irrefrenabili le conseguenze, fra andirivieni di fornitori
dispendiosi e commentare spumeggiante, a valzer, del Coro di servi; si
fronteggiano la “civettella” che corre a teatro e il “marito”, e lei gli dà uno
schiaffo. La commedia precipita in verità. Il vecchio, offeso, piomba nella
desolazione, le parole gli escono frantumate (È finita, Don Pasquale) e
orchestra, pubblico sono dalla sua parte, perfino Norina che, sulla stessa
melodia delLarghetto, commenta “È duretta la lezione”. Elegiaca,
ma infida, lascia cadere un biglietto di convegno amoroso. Ma quando la
Serenata avvolge il giardino, su un sussurrare di chitarre e tamburelli come
nelle trattorie romane, e il duetto avvince i due giovani innamorati, siamo
tutti con loro, per la loro giusta felicità da cui il vecchio è escluso. Pur di
liberarsi dalla moglie, più rassegnato e saggio, li perdona.
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