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I tempi lunghi mettono a rischio
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Giuseppe Pennisi
Oggi 11 giugno, la Carta Costituzionale tedesca inizia il dibattimento
sugli Outright Monetary Transactions (OMTs), presentati un anno fa dal
Presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, come strumento essenziale
per consentire di alleviare , ove non risolvere, i nodi dell’eurozona nel
quadro di quell’unione bancaria europea a cui le diplomazie finanziarie
dell’eurozona stanno lavorando da diversi. Un lavoro che avrebbe dovuto
mostrare i suoi primi risultati al Consiglio Europeo in programma a fine
mese. Sul ‘Corriere della Sera’ del 10 giugno, un editoriale di Francesco
Daveri ricorda, correttamente, che senza un’unione bancaria per
l’eurozona sarà difficile arrestare il declino del tasso di risparmio delle
famiglie -in Italia è passato dal 16% al 9% del reddito disponibile negli
ultimi dieci anni- e quindi la principale fonte di finanziamento per la
crescita. Cerchiamo di fare il punto.
Secondo le proposte iniziali, l’unione bancaria avrebbe avuto tre pilastri:
Un’autorità di vigilanza unica
Il meccanismo, che vigilerebbe sulle banche della zona euro, dovrebbe applicarsi a tutti gli Stati membri. Al meccanismo di vigilanza unico parteciperebbero la Banca centrale europea e le autorità nazionali competenti. L’Autorità bancaria europea continuerebbe ad avere una definire una funzione regolatoria- definire norme e a garantirne la coerenza. Una volta istituito un meccanismo di vigilanza unico efficace, il meccanismo europeo di stabilità avrebbe facoltà di ricapitalizzare direttamente gli istituti bancari. Il meccanismo di vigilanza unico entrerebbe in funzione a marzo 2014 oppure 12 mesi dopo l’entrata in vigore della pertinente regolamento.
Il meccanismo, che vigilerebbe sulle banche della zona euro, dovrebbe applicarsi a tutti gli Stati membri. Al meccanismo di vigilanza unico parteciperebbero la Banca centrale europea e le autorità nazionali competenti. L’Autorità bancaria europea continuerebbe ad avere una definire una funzione regolatoria- definire norme e a garantirne la coerenza. Una volta istituito un meccanismo di vigilanza unico efficace, il meccanismo europeo di stabilità avrebbe facoltà di ricapitalizzare direttamente gli istituti bancari. Il meccanismo di vigilanza unico entrerebbe in funzione a marzo 2014 oppure 12 mesi dopo l’entrata in vigore della pertinente regolamento.
Risoluzione delle crisi bancarie
Entro giugno 2013 si sarebbe dovuto adottare le proposte legislative su quadri nazionali più armonizzati per la risoluzione delle crisi bancarie e la garanzia dei depositi. Ma il lavoro non è ancora iniziato.
Entro giugno 2013 si sarebbe dovuto adottare le proposte legislative su quadri nazionali più armonizzati per la risoluzione delle crisi bancarie e la garanzia dei depositi. Ma il lavoro non è ancora iniziato.
Un meccanismo unico di risoluzione
La Commissione europea proporrebbe nel 2013 un meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie per gli Stati membri che partecipano al meccanismo di vigilanza unico. Il meccanismo unico di risoluzione, che prevede modalità comuni di sostegno adeguate ed efficaci, permetterebbe di preservare la stabilità finanziaria in caso di fallimento delle banche e di proteggere al tempo stesso i contribuenti, dal momento che verrà finanziato con contributi del settore finanziario. L’intento è raggiungere un accordo entro l’estate 2014.
La Commissione europea proporrebbe nel 2013 un meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie per gli Stati membri che partecipano al meccanismo di vigilanza unico. Il meccanismo unico di risoluzione, che prevede modalità comuni di sostegno adeguate ed efficaci, permetterebbe di preservare la stabilità finanziaria in caso di fallimento delle banche e di proteggere al tempo stesso i contribuenti, dal momento che verrà finanziato con contributi del settore finanziario. L’intento è raggiungere un accordo entro l’estate 2014.
In effetti sono stati effettuati progressi , peraltro parziali, solamente
in materia di vigilanza (limitandola agli istituti di maggiori dimensioni). Al
recente incontro bilaterale tra Francia e Germania, pare che si sia convenuto
che, per il momento (ed il prevedibile futuro) la trattativa verrà limitata
alla vigilanza. In effetti, la risoluzione delle crisi bancarie comporta serie
difficoltà: Chi finanzierà cosa ed entro quali limiti? Come verranno definiti i
criteri per l’istituzione di bad banks da mettere in liquidazione? I creditori
saranno trattati allo stesso mondo od alcuni saranno privilegiati rispetto ad
altri? Si dovrà cambiare drasticamente il diritto fallimentare degli Stati
dell’’eurozona’? Si dovranno modificare i trattati di Maastricht ed il Fiscal
Compact? Problemi analoghi (ma meno gravi) comporta l’armonizzazione delle
assicurazioni sui depositi.
Una ‘prova generale’ di come sia impantanata
l’unione bancaria europea (ben al di là della vertenza in esame alla Corte
Costituzionale Tedesca) si è avuto in occasione della recente crisi
finanziaria che ha travolto Cipro.
In primo luogo, l’imposta sui saldi di conto corrente prevista nel
programma di aiuti a Cipro ha minacciato di fare saltare ogni possibile
‘armonizzazione’ delle assicurazioni sui depositi . Cipro -occorre ricordarlo-
ha un meccanismo ‘assicurativo’ identico a quello in vigore in Italia: sono
‘garantiti’ (tramite un’assicurazione ed un fondo comune interbancario)
depositi sino a 100.000 euro. L’assicurazione/garanzia, però, non scatta se
viene introdotta un’imposta.
Il ragionamento dell’eurocrazia è semplice. Cipro è stata per anni un ‘paradiso bancario’ dove affluiscono capitali a breve termine (molti dalla Federazione Russia e dalla Repubblica Ucraina stimati per 68 miliardi di euro) attirati da regolamentazione lasca, alti tassi d’interesse e facilità di ingresso e di uscita. Con l’imposta, da un lato, si colpisce la speculazione e, da un altro, il risanamento viene ‘condiviso’ dalla popolazione (spesso collegata con interessi stranieri opachi) e non pesa unicamente sul fragile sistema bancario cipriota. Ragioni valide, anche se il moralismo non rende necessariamente saggia la politica economica. . Cipro necessita 17 miliardi di euro di aiuti (il 100% del Pil). L’Ue ed il Fondo monetario riescono a metterne insieme 10. Ne restano 7, di cui l’imposta sui depositi ne fornirebbe 5,8 ; il resto verrebbe da tagli alle spese e dalla consueta medicina ‘troika’. Senza i 5,8 miliardi – si dice a Bruxelles – crolla il piano e Cipro va a fondo Tuttavia, così come l’imposta era strutturata (un’aliquota del 6,75% sui primi 100.000 euro di un conto ed una di 9,9% sul resto) si finisce, come ‘La Peste’ di Camus, con il colpire a destra e a manca (pensando molto sui piccoli risparmiatori) e con appena scalfire gli speculatori, sia cittadini ciprioti sia stranieri. Non solo, si chiude per sempre il discorso sull’‘armonizzazione’ della garanzie sui depositi, mandando all’aria le flebili speranza di un’unione bancaria. Il gettito di 5,8 miliardi si potrebbe avere concentrando l’imposizione sui saldi dei depositi che superano 100.000 euro. L’aliquota dovrebbe essere del 15%. Si ferirebbero gli speculatori, irritando – è vero – russi ed ucraini – ma salvando le premesse di giungere un giorno ad un’unione bancaria europea. Come è noto, le proposte iniziali sono state drasticamente mutate, e si è in pratica rinunciato e richiede l’imposta sui saldi dei conti correnti e appena due delle 40 banche del Paese sono state poste in liquidazione.
Il ragionamento dell’eurocrazia è semplice. Cipro è stata per anni un ‘paradiso bancario’ dove affluiscono capitali a breve termine (molti dalla Federazione Russia e dalla Repubblica Ucraina stimati per 68 miliardi di euro) attirati da regolamentazione lasca, alti tassi d’interesse e facilità di ingresso e di uscita. Con l’imposta, da un lato, si colpisce la speculazione e, da un altro, il risanamento viene ‘condiviso’ dalla popolazione (spesso collegata con interessi stranieri opachi) e non pesa unicamente sul fragile sistema bancario cipriota. Ragioni valide, anche se il moralismo non rende necessariamente saggia la politica economica. . Cipro necessita 17 miliardi di euro di aiuti (il 100% del Pil). L’Ue ed il Fondo monetario riescono a metterne insieme 10. Ne restano 7, di cui l’imposta sui depositi ne fornirebbe 5,8 ; il resto verrebbe da tagli alle spese e dalla consueta medicina ‘troika’. Senza i 5,8 miliardi – si dice a Bruxelles – crolla il piano e Cipro va a fondo Tuttavia, così come l’imposta era strutturata (un’aliquota del 6,75% sui primi 100.000 euro di un conto ed una di 9,9% sul resto) si finisce, come ‘La Peste’ di Camus, con il colpire a destra e a manca (pensando molto sui piccoli risparmiatori) e con appena scalfire gli speculatori, sia cittadini ciprioti sia stranieri. Non solo, si chiude per sempre il discorso sull’‘armonizzazione’ della garanzie sui depositi, mandando all’aria le flebili speranza di un’unione bancaria. Il gettito di 5,8 miliardi si potrebbe avere concentrando l’imposizione sui saldi dei depositi che superano 100.000 euro. L’aliquota dovrebbe essere del 15%. Si ferirebbero gli speculatori, irritando – è vero – russi ed ucraini – ma salvando le premesse di giungere un giorno ad un’unione bancaria europea. Come è noto, le proposte iniziali sono state drasticamente mutate, e si è in pratica rinunciato e richiede l’imposta sui saldi dei conti correnti e appena due delle 40 banche del Paese sono state poste in liquidazione.
Poco dopo la crisi cipriota, al seminario dell’Istituto Affari
Internazionali ‘Verso l’Unione Bancaria Europea: Sfide e Prospettive’,
si è fatto un primo bilancio. Il seminario è stato introdotto da Lorenzo
Bini Smaghi (a lungo componente dell’esecutivo della Banca centrale
europea) ed hanno presentato relazioni Ignazio Angeloni (Bce), Stefano
Micossi (Assonime), e Flavio Valeri (Deutsche Bank, Italia).
In effetti, l’unione bancaria rischia di nascere non come uno sgabello a tre gambe (come la concepirono i ‘padri fondatori’ e come avrebbe potuto tenersi in piedi), ma come uno strapuntino con una gamba sola e non è grado quindi di reggere. Facciamo un passo indietro. Durante il negoziato che portò al Trattato di Maastricht, si scontrarono due scuole di pensiero: secondo la prima (che allora prevalse), la Bce avrebbe dovuto essere unicamente il coordinatore del Sistema Europeo di Banche Centrali (SEBC) e non avrebbe dovuto in alcun modo interferire con la funzione di vigilanza (anche in quanto tale funzione è organizzata in modo differenti nei vari Stati); secondo un’altra, avrebbe dovuto essere modellata sulla Bundesbank (che tali compiti li ha, eccome). Veniva lasciato un pertugio in un codicillo: se necessario, il Consiglio Europeo avrebbe potuto ‘dare incarico alla Bce’ di svolgere ‘alcune funzioni di vigilanza prudenziale’. Quindi, un’eventualità in delega ed in deroga per alcuni casi od eventi specifici.
Al seminario è apparso evidente che mentre in materia di vigilanza si sta facendo strada, in gran misura, in seguito a una decisione del Consiglio Europeo del 13 dicembre 2012 (su cui ha influito il ‘caso Monte dei Paschi’ scoppiato in quei giorni), le altre due gambe sembrano accantonate Anche a ragione della poca consistenza del Meccanismo Europeo di Stabilità, Mes (in gergo il Fondo Salvastati), si finirebbe, piuttosto presto, a pesare sui contribuenti tramite frequenti aumenti del Mes a carico dei Tesori dei singoli Stati dell’Unione.
In effetti, l’unione bancaria rischia di nascere non come uno sgabello a tre gambe (come la concepirono i ‘padri fondatori’ e come avrebbe potuto tenersi in piedi), ma come uno strapuntino con una gamba sola e non è grado quindi di reggere. Facciamo un passo indietro. Durante il negoziato che portò al Trattato di Maastricht, si scontrarono due scuole di pensiero: secondo la prima (che allora prevalse), la Bce avrebbe dovuto essere unicamente il coordinatore del Sistema Europeo di Banche Centrali (SEBC) e non avrebbe dovuto in alcun modo interferire con la funzione di vigilanza (anche in quanto tale funzione è organizzata in modo differenti nei vari Stati); secondo un’altra, avrebbe dovuto essere modellata sulla Bundesbank (che tali compiti li ha, eccome). Veniva lasciato un pertugio in un codicillo: se necessario, il Consiglio Europeo avrebbe potuto ‘dare incarico alla Bce’ di svolgere ‘alcune funzioni di vigilanza prudenziale’. Quindi, un’eventualità in delega ed in deroga per alcuni casi od eventi specifici.
Al seminario è apparso evidente che mentre in materia di vigilanza si sta facendo strada, in gran misura, in seguito a una decisione del Consiglio Europeo del 13 dicembre 2012 (su cui ha influito il ‘caso Monte dei Paschi’ scoppiato in quei giorni), le altre due gambe sembrano accantonate Anche a ragione della poca consistenza del Meccanismo Europeo di Stabilità, Mes (in gergo il Fondo Salvastati), si finirebbe, piuttosto presto, a pesare sui contribuenti tramite frequenti aumenti del Mes a carico dei Tesori dei singoli Stati dell’Unione.
Le difficoltà paiono ulteriormente aumentate. All’inizio di giugno il
Presidente della Bce, in visita a Londra, ha affermato che amerebbe vedere «una
Gran Bretagna più Europea » ed «un’Europa più britannica».
Oscar Wilde avrebbe detto che si tratta di una battuta aperta a molteplici
interpretazioni. Probabilmente, dati gli umori nella terra di Albione, Draghi è
volutamente restato nel vago. Ha dato, però, adito a Hugo Dixon, editorialista
della ‘Reuters’, di scrivere e pubblicare un malizioso commento, apparso
su una catena internazionale di giornali, sull’ambiguità di frasi pronunciate
da chi dovrebbe essere la «fonte della chiarezza e della trasparenza».
Lasciamo Dixon e Draghi alle loro scaramucce. Non solo il silenzio sull’unione
bancaria è assordante ma proprio in materia di vigilanza la Bank of England e
la Bce sono su sentieri divergenti. Nella Bank of England la vigilanza è parte
integrante della politica monetaria, mentre nella Bce c’è una vera e propria
muraglia cinese tra vigilanza e politica monetaria. Ciò non dipende né da
Draghi né da Mervyn King (che sarà alla guida della Bank of England sino al 30
giugno per essere sostituito da un canadese assunto dopo un concorso
internazionale) ma da profonde differenze culturali-istituzionali che non
possono essere liquidate né con una battuta né con un editoriale. La muraglia
cinese, lo sappiamo, non impedì nessuna invasione mongolica. Può essere che la
Bce evolverà verso un sistema analogo a quello della Bank of England. Ma i
tempi saranno lunghi.
A rendere il quadro ancora più complesso, le voci (smentite dal portavoce
della Bce) di una trattativa sottobanco tra Francoforte e la Corte Suprema
Tedesca: gli OMTs non sarebbero ‘illimitati’ ma ‘selettivi’
e con ‘tetti ben precisi’ per soddisfare le
preoccupazioni della Germania -nulla di differente e di più degli acquisti
di buoni del Tesoro di Stati in difficoltà effettuati in passato dalla Bce.
Più valido il nodo sollevato da Thomas Mayer della Deutsche Bank di Londra
in una nota ai suoi clienti in cui chiede una «rivoluzione copernicana»
in materia di unione bancaria. A suo avviso, il negoziato resterà al palo perché
si è partiti con il piede sbagliato: trovare regole comuni per la vigilanza da
affidare alla Bce. Il meccanismo di vigilanza (peraltro limitato alle banche
più grandi) non sarà pronto prima della metà del 2014. La messa in atto di
strumenti comuni per soccorrere banche in difficoltà (il secondo stadio
nell’attuale percorso negoziale verso l’unione bancaria) richiede la revisione
dei trattati sull’unione monetaria (da quello di Maastricht al Fiscal Compact)
e la loro ratifica: un processo che potrebbe richiedere tempi biblici. Solo
allora, si negozierebbe la garanzia comune sui depositi (o meglio
l’armonizzazione dei sistemi di garanzia in vigore per darne vita ad uno
comune). Sarebbe stato meglio partire da quello che ora è l’ultimo stadio, se
non altro perché l’Ue ha grande esperienza di armonizzazione di sistemi in atto
nei singoli Stati dell’Unione e procedere poi contemporaneamente verso gli
strumenti comuni e la vigilanza.
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