venerdì 14 giugno 2013

Lineamenti di strategia per “dopo la procedura d’infrazione” in Astrid Rassegna 14 giugno

Lineamenti di strategia per “dopo la procedura d’infrazione”
di Giuseppe Pennisi
Si parte dall’assunto che il Consiglio dei Capi di Stato e di Governo dell’Unione europea, in calendario per il 27-28 giugno accoglierà la proposta della Commissione Europea di fare cessare la “procedura d’infrazione” per deficit eccessivo nei confronti dell’Italia (ne restano in piedi numerose altre nei confronti del nostro Paese per materie che vanno dal pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione a vari aspetti della gestione delle “politiche comuni”). Dei numerosi commenti espressi in questi giorni, il più appropriato mi sembra sia stato quello di Stefano Zamagni: i vantaggi maggiori per l’Italia sono in termini di “reputazione”, vantaggi - ha aggiunto Zamagni - che si potranno toccare con mano solo tra almeno sei mesi. Dipendono, infatti, da come Governo e Parlamento leggeranno la decisione dell’Ue (sempre che, come probabile, a fine giugno il Consiglio accetti la raccomandazione della Commissione).
In effetti, sotto il profilo giuridico forse si può dare un’interpretazione più “benevola” al concetto di “equilibrio strutturale di bilancio”, ma resta l’obbligo di non superare un disavanzo contabile superiore al 3% del Pil, sempre che non si voglia cadere in una nuova “procedura d’infrazione per disavanzo eccessivo” con un’ancora maggiore perdita di faccia, ossia di reputazione. L’artificio contabile di non includere nel computo i fondi di contropartita ai co-finanziamenti europei (su cui tanto si è fantasticato) significa non più di 6 miliardi di euro spalmati su sette anni, poco più del gettito, per un anno, dell’Imu sulla prima casa. Quindi, un volume di finanziamenti trascurabile.
Tuttavia, per il Governo Letta si apre una nuova fase nell’interazione con l’Ue. In primo luogo, occorre notare (lo hanno fatto pochissimi quotidiani italiani) che la
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raccomandazione della Commissione non riguarda solo l’Italia, ma anche Lettonia, Ungheria, Lituania e Romania, che Malta, uscita dalla procedura d’infrazione sei mesi fa, vi è già rientrata, che Spagna, Portogallo e ovviamente Grecia vi sono dentro. E anche la Francia e - quel che più conta- la Germania potrebbero finire tra le “pecore nere”, specialmente in quanto Parigi (che ha appena ottenuto un “rinvio” per mettere in ordine il proprio disavanzo) e Berlino (che ha varato il primo giugno un programma d’espansione della spesa pubblica) potrebbero trovarsi lontane dai parametri definiti nei trattati.
Tutto ciò implica che l’Ue - e in particolare l’eurozona- è in seria difficoltà con le proprie regole. Ciò non vuol dire che gli “azionisti di maggioranza” siano pronti a riscrivere i trattati - operazione che rischierebbe di provocare l’affossamento di quanto è stato faticosamente fatto negli ultimi vent’anni - prima di ricominciare a costruire. Ciò implica che è iniziato un complesso “gioco” su più tavoli. Sul tavolo europeo ciascun Paese (e le istituzioni europee) hanno come posta la propria reputazione (come efficacemente detto da Stefano Zamagni). Su quello interno, la propria “popolarità” con i propri elettorati. Il gioco è reso complicato dal fatto che non siamo alle prese con due giocatori che operano parallelamente su due tavoli (come negli esempi di “teoria dei giochi multipli” presentati nei manuali universitari), ma con almeno diciassette giocatori nazionali e tre distinti giocatori europei (Commissione, Bce e Consiglio nelle sue varie forme di Eurogruppo, Ecofin e assise dei Capi di Stato e di Governo), ciascuno alle prese con differenti problemi di reputazione e popolarità.
Inoltre, gran parte dei governi dell’eurozona è composto da coalizioni di soggetti politici o da soggetti politici divisi in correnti. Per ciascun soggetto politico (o corrente di soggetto politico) si pone il problema di popolarità con il proprio bacino elettorale e di reputazione (quanto meno di lealtà) nei confronti dei propri partner di governo. Analogamente, i giocatori europei sono alle prese con reputazione e popolarità tra di loro e con ciascuno degli Stati membri. È necessario, sotto il profilo analitico, un algoritmo molto, ma davvero molto, complicato per trovare un punto di
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equilibrio tale da massimizzare reputazione ed equilibrio di tutte la parti in causa nel rispetto dei vincoli dei trattati, di patti aggiuntivi come il Fiscal Compact. Si tratterebbe, comunque, di un “equilibrio dinamico”, sempre sul punto di andare in frantumi .
Lasciamo gli aspetti tecnici ai matematici e agli esperti di “teoria dei giochi a più livelli”. Soffermiamoci sulla “finestra d’opportunità” per l’Italia e per il Governo Letta. Nell’aggrovigliata partita a “poker” europea, il Governo Letta può giungere a coniugare risanamento finanziario e sviluppo utilizzando, in lessico finanziario, un’opzione di flessibilità tale da aiutare le stesse istituzioni Ue portandole a negoziare (come sussurrato negli ultimi due Consigli Ue) accordi individuali con i singoli Stati membri su programmi di riassetto strutturale che per aumentare produttività, competitività e occupazione dei fattori produttivi prevedano anche temporanei superamenti dei vincoli nel quadro di politiche economiche concordate.
Se questo approccio venisse accettato non solo aumenterebbe la reputazione dell’Italia e di chi la governa, ma si trarrebbe l’intera Ue fuori da un complesso groviglio che minaccia di paralizzarla.
Se la mia analisi è corretta, in questo contesto, qualsiasi “equilibrio” è “dinamico” come quelli teorizzati da John Nash (vi ricordate il film A Beautiful Mind ?) In quanto “dinamico” è instabile e soffuso da una nube d’incertezza. Ma l’incertezza - come dimostrato in libro di diversi anni fa (G. Pennisi e P.L. Scandizzo Valutare l’Incertezza, Giappichelli) - è la caratteristiche di un “bene pubblico” in quanto indivisibile e non esclusiva. Come tutti i “beni pubblici” offre “finestre d’opportunità” a chi le sa coglierle.
Negli ultimi due Consigli Europei, i Capi di Stato e di Governo dell’UE hanno sembrato realizzare la necessità che si accetti un “equilibrio dinamico”, con una buona d’incertezza, l’intera costruzione può fare la fine delineata da Ross Douthat (e da altri) che, dall’altra sponda dell’Atlantico con il cannocchiale vedono meglio di chi guarda ad occhio nudo. La soluzione sussurrata potrebbe essere quella di
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“programmi individuali di riassetto economico strutturale” per gli Stati in difficoltà (ormai anche la Germania pare di essere sul punto di travalicare tra un paio d’anni il parametro di un disavanzo pubblico non superiore al 3% del Pil) ammettendo sforamenti temporanei purché sulla base di un programma di politica economica di qualità effettivamente realizzato e i cui esiti siano collegialmente monitorati.
È su questo programma che il Governo Letta deve giocare le proprie carte. A mio avviso esse sono quattro:
 Istituzionalizzare la spending review rendendola attività permanente della Ragioneria Generale dello Stato (RGS) e delle Ragioneria Centrali presso i Ministeri. Sono in vigore, ma in gran parte non attuati, i pertinenti strumenti normativi , in particolare del DPCM del 3 agosto 2012 sulla valutazione della spesa, nonché i Documenti tecnici di Osservazioni e Proposte del CNEL del 18 dicembre 2012, del 10 luglio 2012 e del 26 marzo 2009. Esistono le risorse umane: nel 2007 - 2008 è stato effettuato un concorso speciale per dirigenti (tutti con dottorato di ricerca, con studi ed esperienze in tecniche quantitative di analisi e con conoscenza perfetta almeno della lingua inglese). A capo della RGS c’è ora un economista di chiara fama e prestigio internazionale. Occorre mostrare concretamente al resto dell’UE che i tempi in cui le nostre spending review volevano dire computare i costi unitari di penne a sfera (inizio Anni Novanta) o andare a spanna su grandi aggregati di spesa (Governo Monti) sono finiti e che intendiamo attuare davvero un “programma di razionalizzazione delle scelte di bilancio” efficace e trasparente come quello, ad esempio, realizzato in Francia negli Anni Ottanta e che consentì al Paese di passare da svalutazione periodiche agli accordi del Louvre del 1987 che fissarono la parità ‘stabile ed irrevocabile’ tra franco e marco.
 Un’operazione di consolidamento del debito pubblico. Sono state formulate numerose proposte su questo tema in questo ultimo anno. Gran parte di tali proposte possono essere lette in un E-Book disponibile sul portale del Cnel - che ha organizzato una giornata di studio sul tema. Un documento molto articolato è
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stato messo a punto dalla Fondazione Astrid. In breve, anche se - come documentato in una nota precedente non è certo che l’alto debito italiano comporti necessariamente un rallentamento di un punto percentuale del Pil, il peso del debito ed il “moltiplicare fiscale” delle misure assunte per appianarlo con diversi anni di “avanzi primari” frenano un potenziale di crescita già basso a ragione della struttura demografica e della scarsa innovazione nei settori produttivi di industria e servizi.
 Maggior fiato alle imprese sia con pronti pagamenti delle pubbliche amministrazione dei debiti nei loro confronti sia con una maggiore attenzione da parte del settore creditizio. La prima leva è nelle mani del Governo; il Parlamento sta emendando un decreto legge inadeguato sotto questo riguardo e prendendo a modello il sistema di “garanzie” che ha ben funzionato in Francia, come suggerito da Astrid. In materia di credito, il Governo può, e deve, esercitare la friendly persuasion di cui dispone.
 Un rilancio dell’investimento pubblico (coniugato con sgravi per assunzioni di giovani e di rimodulazione dell’imposizione sull’edilizia, pur sempre uno dei pochi volani dell’economia italiana) , utilizzando al massimo le risorse europee e la finanza di progetto.
Non è detto che queste quattro carte siano necessariamente vincenti. Rappresentano la base per un programma basato su “opzioni flessibili” da presentare almeno in forma preliminare , se possibile, già al prossimo Consiglio Europeo.

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