Hollande,
Barroso e l’eccezione culturale della discordia
18 - 06 - 2013Giuseppe Pennisi
L’eccezione culturale non aiuta né l’audiovisivo né la cultura, ma li
affossa sempre di più. Il cinema francese di René Clair e di Louis Malle e
quello italiano di Visconti e Fellini non avevano bisogno di sovvenzioni a
carico di Pantalone per trionfare nel mondo...
Non ci sono molti motivi per divertirsi al Consiglio Europeo del 27-28
giugno: la recessione si allunga e si approfondisce, la disoccupazione cresce
(soprattutto tra i giovani), l’unione bancaria europea è ormai in una bara… e
via discorrendo.
Tuttavia, numerosi Capi di Stato e di Governo dei 27 della sbrindellata
Unione Europea sorrideranno nell’esaminare l’espressione del Presidente dei
Francesi François Hollande quando, come di prammatica, dovrà stringere la mano
al Presidente della Commissione Europea; José Maria Barroso. Il secondo,
socialdemocratico (che, in lusitano, vuol dire liberal-conservatore), ha appena
dato del “reazionario” al primo di fronte ai Grandi convenuti nel G8 appena
completato a Enniskillen in Irlanda del Nord (luogo sino ad ora noto unicamente
ai patiti del golf). E il primo, nonostante la prosopopea che ha sempre
contraddistinto gli inquilini dell’Eliseo nel trattare i ‘precari’ di
Bruxelles, non solo non lo ha sfidato a duello ma ha ceduto sul punto
essenziale: l’inclusione (alla faccia della “eccezione culturale”)
dell’audiovisivo (cinema, video, internet e quant’altro) nel negoziato che
dovrebbe dare vita alla Transatlantic Trade and Investment Partnership – una
vasta area economica (mercato comune e non solo) tra Nord America (USA, Canada)
ed UE. Stime americano sostengono che l’effetto netto di creazione di posti di
lavoro da attribuirsi alla Partnership si aggirerebbe sui 3-5 milioni, di cui
100-200 mila nella sola Italia.
Il vostro “chroniqueur” segue queste vicende da quando ventiquattrenne ebbe
modo (avendo scribacchiato un paio di libretti di commercio internazionale) di
partecipare, con il non meritato titolo di “esperto”, al Kennedy Round di
negoziati commerciali, che si svolgeva in quel di Villa Le Bocage a Ginevra.
Allora, il negoziato stava per naufragare a ragione delle impuntature della
Francia su quella Politica Agricola Comune che sta affossando l’UE: venne
salvato dalla proposta di un giovanotto della delegazione americana propose il
metodo delle “riduzioni lineari” per i dazi sui manufatti e sui semi-manufatti.
Ne conseguì una lunga fase di liberalizzazione degli scambi e di prosperità
sino alle crisi petrolifere degli Anni Settanta.
Oggi la Transatlantic Trade and Investment Partnership è un’occasione unica
per rimettere in moto l’economia dei Paesi (come quelli dell’UE) che stanno
restando indietro, per spingere le liberalizzazioni, per ridurre I sussidi a
settori non competitivi. L’eccezione culturale non aiuta né
l’audiovisivo né la cultura, ma li affossa sempre di più. Il cinema francese di
René Clair e di Louis Malle e quello italiano di Visconti e Fellini non avevano
bisogno di sovvenzioni a carico di Pantalone per trionfare nel mondo. Oggi gran
parte dei film sussidiati in Francia ed in Italia fanno fatica a restare un
paio di giorni nelle sale: il pubblico vota con le gambe e se ne va. In
effetti, occorre ammettere, una volta per tutte, che l’industria europea
dell’audiovisivo (specialmente quella cinematografica di Francia ed Italia) ha
mostrato scarsissima “efficienza adattiva” alle nuove condizioni dell’economia
mondiale ed è difficile giustificare l’apporto dei contribuenti (che gli hanno
voltato le spalle) per protrarre l’agonia di produttori e registi spesso
improvvisati ed in attività unicamente grazie alle sovvenzioni.
Per difendere l’indifendibile, dobbiamo uccidere il
negoziato transatlantico prima ancora che inizi? Fortunatamente, la maggioranza
dei rappresentati UE ha voltato le spalle a François Hollande e la grande
trattativa sta decollando. Sarebbe interessante sapere quale la posizione
ufficiale dell’Italia dato che una fauna variopinta si sta agitando per un’eccezione
culturale nostrana
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