Il centenario dell’Arena di Verona
È iniziato il 14 giugno il 91esimo Festival dell’Arena di Verona, ossia la
“stagione del centenario”, poiché l’anfiteatro - che sino al 1820 era stato
adibito ad abitazioni e in epoca napoleonica a magazzini - ebbe la prima
rappresentazione lirica (ovviamente “Aida”) nel 1913.
Scritto da
Giuseppe Pennisi | mercoledì,
26 giugno 2013 ·
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Aida, 2013 – Bozzetto della Fura dels Baus – Per
gentile concessione della Fondazione Arena di Verona
Prima del 1913, l’anfiteatro di Verona era stato adibito a spettacoli (ad
esempio una grandiosa festa danzante per celebrare, nel 1822, la fine del
Congresso di Verona) oppure ad attività sportive (corse di cavalli, ciclismo e
anche ascensioni in aerostato). Non era mancato un tentativo di adibirla alla
lirica, nel 1856, quando vennero eseguite le operine
Il Casino di Campagna
e
La fanciulla di Gand dell’ormai dimenticato
Pietro Lenotti e
Le
convenienze teatrali e
I pazzi per progetto di
Gaetano Donizetti.
Si trattò di un evento sporadico. Dal 1813, l’opera trovò una casa permanente
in Arena. Non c’è stata una stagione ogni estate perché all’inizio gli
impresari furono titubanti; in due guerre mondiali, poi, Verona fu l’epicentro
del conflitto: basti pensare alla “rotta di Caporetto” e al “processo” che
prese il nome proprio dalla città veneta.
Occorre ricordare che l’utilizzazione di arene e teatri antichi caratterizzò la
vita culturale italiana all’inizio del Novecento: l’Arena di Verona fece da
battistrada. Pochi mesi dopo, il 16 aprile 1914, viene inaugurato il
Primo
Ciclo di Spettacoli Classici, secondo la denominazione dell’epoca, al
Teatro Greco di Siracusa con
Agamennone di Eschilo. Nel 1921 (ancora con
Aida) veniva aperto alla lirica lo Sferisterio di Macerata. Non si
trattava solo di una curiosità un po’ dannunziana (
La Città Morta del
Vate trovava la sua scena ideale nel Teatro greco-romano di Taormina) ma anche
un modo di aprire l’opera e i classici a un nuovo pubblico.
Aida – La Fura dels Baus – photo Tommasoli – Per
gentile concessione della Fondazione Arena di Verona
Gli anfiteatri e i teatri antichi erano molto capienti (14mila spettatori a
Verona) rispetto alle consuetudini dei teatri italiani (tranne poche eccezioni,
costruiti per un migliaio di spettatori). Inoltre, stucchi e palchetti
intimidivano parte del nascente ceto borghese, che però non voleva sedere nelle
panche non numerate del loggione: così come nella società civile i “partiti di
massa” sostituivano soggetti politici elitari (in cui le donne erano al più
tollerate e il censo era elemento determinante), l’Arena di Verona fu
l’antesignano dell’opera per le masse. I prezzi dei biglietti erano fortemente
differenziati: dalle “poltronissime cuscinate” alle varie sezioni delle
gradinate. Per circa un secolo, l’Arena è stata il teatro per le famiglie. In
quanto tale, prediligeva il repertorio (specialmente quello che poteva essere
spettacolare) anche se ha spesso ospitato
Lohengrin in traduzione
ritmica italiana e negli Anni Trenta pure opere e balletti contemporanei.
Prima di venire alla stagione del centenario vale la pena ricordare che nel
secondo dopoguerra l’Arena era, in pratica, la succursale estiva del Teatro
alla Scala; nel volume
Antonio Ghiringhelli, Una Vita per la Scala, Vieri
Poggiali ricorda come l’industriale- sovrintendente della Scala ospitasse, a
spese proprie, artisti e corpo di ballo nella sua villa e tenuta sul Garda, in
modo che in quegli “anni difficili” si potesse fare stagione in Arena. La
“Milano-che-può” (così la si chiamava allora) si trasferiva in Veneto e
incontrava amici che varcavano il Brennero e “weekendavano” (questo era il
lessico) con loro a Cortina.
Aida – La Fura dels Baus – photo Tommasoli – Per
gentile concessione della Fondazione Arena di Verona
Questa estate
Aida apre e chiude gli spettacoli areniani in due
versioni molto differenti: la prima è una nuova produzione affidata a
La
Fura dels Baus, la seconda è una rievocazione dello spettacolo storico del
1913.
Aida è diventata nell’immaginario popolare l’opera colossale per
eccellenza, anche se è stata scritta per il vecchio Teatro dell’Opera del
Cairo, un edificio con una capienza di 800 posti modellato sul Teatro Valle di
Roma (l’italiano era la lingua franca alla Corte del Khedivé d’Egitto).
Verdi
pensava in effetti a un
dramma in musica intimista in cui solo in alcune
scene ci sono più di tre personaggi sul palcoscenico. Molto tecnologica la
produzione della Fura, già replicata cinque volte sulle televisioni in chiaro
(e vista anche in mondovisione); dal vivo è ovviamente ancora più spettacolare
(pur se in numerosi punti è molto prossima al
Ring wagneriano presentato
dalla Fura a Firenze e a Valencia tra il 2006 ed il 2010). Delicata e graziosa
come le figurine Liebling, la ripresa dell’allestimento storico che in questo
ultimo quarto di secolo si è visto molto spesso (e sempre con successo in
Arena).
La stagione del centenario presenta, oltre alla doppia
Aida, titoli
sicuri
Nabucco con la regia di
Gianfranco De Bosio,
La
Traviata vista da
Hugo de Ana,
Il Trovatore allestito da
Zeffirelli,
Rigoletto nella produzione di
Ivo Guerra e
Roméo et Juliette quale
letto da
Francesco Micheli, e il
Requiem verdiano.
Aida – La Fura dels Baus – photo Tommasoli – Per
gentile concessione della Fondazione Arena di Verona
Si è messo l’accento sulle regie perché l’Arena è soprattutto spettacolo
teatrale: l’inquinamento atmosferico ha danneggiato l’acustica di cui si
favoleggiava un tempo. Dopo aver precisato che l’
Aida da me preferita è
quella allestita da Franco Zeffirelli al Teatro Verdi di Busseto (400 posti),
cosa suggerire?
Il Trovatore di Zeffirelli e
Romèo et Julette di
Micheli, due registi molto distanti non solo sotto il profilo generazionale ma
che hanno saputo, con questi due lavori, estrarre il meglio dall’Arena. E dalla
sua magia.
Giuseppe Pennisi
http://www.arena.it/
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