FINANZA Il
silenzio di Draghi che mette in crisi l’Italia
lunedì 10 giugno 2013
Approfondisci
NEWS Economia e Finanza
In questi giorni stanno aumentando, sulla stampa italiana ed europea, le
critiche alla Banca centrale europea (Bce) e al suo Presidente Mario Draghi,
non solo per ciò che fa o non fa, ma anche e soprattutto per ciò che dice o
meglio non dice. Alcune testate hanno sottolineato le “ambiguità” del
Presidente della Bce a proposito di alcune dichiarazioni - peraltro di difficile
interpretazione - pronunciate a Londra. Altri lo accusano di “reticenza” e
“supponenza” (nei confronti della stampa) per le sbrigative dichiarazioni alla
conferenza stampa di giovedì. Altri ancora sostengono, a torto o a ragione, che
sia più interessato alla sua carriera post-Bce nella piazza di Londra che a
contribuire a risolvere i nodi dell’eurozona.
In Italia, la parte politica che lo ha proposto alla guida della Bce non
nasconde che oggi non lo sosterebbe con eguale calore. Quella che aveva espresso
dubbi afferma “noi lo avevamo detto”. Conosco Draghi da quando nel 1982
rientrai dalla Banca mondiale e lavoravamo ambedue allo stesso piano di via
Venti Settembre - io all’allora al Ministero del Bilancio come direttore del
nucleo di valutazione degli investimenti pubblici, lui come consulente dei
Ministri del Tesoro Andreatta, prima, e Goria, poi. Ho ricordo delle sue epiche
liti telefoniche con la Banca d’Italia. Non sta certamente a me colorare
analisi di simpatie o antipatie personali. Nel formulare un giudizio sulle
polemiche in corso occorre tenere presenti due elementi:
1 - La Bce non è un organo monocratico o leaderistico, ma un’istituzione a
guida collegiale. Il suo Consiglio è composto di ben 23 persone (24 tra breve),
il suo Esecutivo di sei. Ciascuna è portatrice di visioni, e anche di interessi
legittimi, differenti. È naturale che il Presidente tenti una mediazione
prima di presentare, all’esterno, una posizione della Banca.
2 - Inoltre, nella prima fase di operazioni della Bce , i componenti
dell’Esecutivo (sei) avevano preso l’abitudine di essere spesso sui giornali -
ad alcuni di loro piaceva tanto! - a volte con affermazioni contraddittorie
tali da mandare in fibrillazione i mercati. Di conseguenza, sono state
stabilite procedure rigorose per la comunicazione istituzionale.
Ciò detto sarebbe auspicabile che, nell’interesse della trasparenza e della
chiarezza, la Bce adottasse la regola della Federal Reseve americana: di
pubblicare - dopo un lasso di tempo (sei-otto settimane) - i verbali delle
riunioni del Consiglio, in modo che si possa comprendere meglio il processo
decisionale (nonché le posizioni delle varie parti in campo).
Ci sono, però, almeno quattro punti in cui il silenzio della Bce è davvero
assordante:
1 - Il credit crunch che blocca le imprese di numerosi Stati dell’Eurozona.
La Bce ha modi e maniere di farsi ascoltare dalle banche e dall’opinione
pubblica, tanto più che l’istituto è intervenuto più volte a sostegno di una
comunità finanziaria che ha utilizzato i finanziamenti non perché arrivino
all’economia produttiva, ma per lucrare sugli spread o pulire i propri
portafoglio da titoli tossici.
2 - Gli interventi a proposito della Grecia. Alla documentata analisi del
Fondo monetario internazionale, il Presidente della Bce ha risposto in
conferenza stampa con un col senno di poi son tutti bravi (tirandosi dietro
accuse di arroganza), ma non ha indicato quali lezioni se ne intendono trarre
anche per l’immediato, per rimettere l’Europa su un sentiero di crescita.
3 - L’unione bancaria è gravemente impantanata. Hanno tutti diritto di
sapere se è vera o meno l’analisi di Thomas Mayer della Deutsche Bank di
Londra, secondo cui l’unione bancaria rischia di non decollare perché la Bce ha
insistito per metterla su un sentiero impervio e senza sbocco o se l’errore è
da attribuirsi all’Eurogruppo e la Bce ha subito (e sofferto) in silenzio.
Nonché, soprattutto, cosa intende fare ora la Bce, alla vigilia del Consiglio
Europeo di fine giugno.
4 - Che fine hanno fatto le Outright Monetary Transactions (OMTs) proposte
da Draghi un anno fa e di cui nessuno ha più sentito parlare? Il Presidente
aveva o non aveva il mandato di proporle? Se lo aveva, chi si oppone adesso
all’idea? Se non lo aveva, perché le ha lanciate con tanto clamore mediatico?
Risposte a queste domande sono essenziali non tanto per il futuro di Draghi
quanto per quello dell’eurozona.
© Riproduzione Riservata.
Nessun commento:
Posta un commento