OPERA/
Britten, il "Fiume del Chiurlo" e le riflessioni di un compositore
scomodo
martedì 25 giugno 2013
Approfondisci
NEWS Musica
La messa in scena (per una sola sera il 27 giugno) di “Curlew River”
(Il Fiume del Chiurlo) di Benjamin Britten nella Basilica dell’Aracoeli è,
senza dubbio, l’evento musicale della settimana. L’opera – o meglio la parabola
da essere rappresentata in Chiesa per rispettare il sottotitolo datole
dall’autore - è un vero gioiello che, in un differente allestimento, si potrà
vedere a Perugia, nell’ambito della Sagra Musicale Umbra il 22 settembre
nella Chiesa Templare di San Bevignate con la concertazione di Jonathan Webb e
la regia di Andrea De Rosa.
L’edizione romana (a cui si potrà accedere gratuitamente sino ad
esaurimento dei posti) si presenta come straordinariamente importante. Lo
spettacolo realizzato in collaborazione con il Vicariato di Roma, per la
rassegna “Una porta verso l’Infinito” è una nuova produzione, eseguita
per la prima volta dall’Orchestra e dal Coro dell’Opera di Roma e firmata da
due nomi di prestigio della musica e del teatro: sul podio, James Conlon
raffinato interprete britteniano, alla regia e impianto scenico Mario Martone.
Maestro del Coro Roberto Gabbiani. I costumi sono di Ursula Patzak, le luci di
Pasquale Mari. E’uno degli ‘omaggi’ a Britten che la capitale offre ad uno dei
maggiori musicisti del Novecento; un anno fa, il Teatro dell’Opera presentò una
bellissima edizione di A Midsummer Night’s Dream. In autunno, l’Accademia
Nazionale di Santa Cecilia inaugurerà la stagione 2013-2014 con Peter Grimes.
Tanto Santa Cecilia quanto l’Orchestra sinfonica romana hanno numerosi lavori
strumentali di Britten nel loro programma.
La musica di Britten su libretto di William Plomer prende spunto dal
giapponese Sumidagawa di Juro Motomasa e dai drammi religiosi medievali
europei, dai quali mutua il linguaggio musicale scarno, la forma di
rappresentazione rituale e l’essenzialità della vicenda; della storia dal
carattere simbolico e moraleggiante, che ruota attorno a quattro
personaggi principali Madwoman (Benjamin Hulett), Traveller (Phillip Addis), Ferryman
(Anthony Michaels-Moore), Abbot (Derek Welton) interpretati da cantanti
maschili, e Spirit of the boy (Laura Catrani). Come gran parte dei lavori di
Britten è un inno alla Fede, alla Tolleranza ed al Perdono.
Anche se il bicentenario della nascita di Verdi e Wagner ha oscurato il
centenario di quella di Britten, non si può certo pensare che il compositore
non riscuota il favore del pubblico italiano. Poco eseguito in Italia per anni
(la sola eccezione è Roma grazie principalmente ai programmi di musica
contemporanea dell’orchestra della Rai), in questi ultimi due lustri c’è stata
una ripresa dell’interesse e dei teatri e – quel che più conta- del pubblico.
The Turn of the Screw è stato visto, prima che a Parma nel 2006 ed a Spoleto
nel 2012, a Torino, a Roma ed a Cagliari nella seconda metà degli Anni
Novanta e sarà a Bologna in autunno; Peter Grimes a Firenze, a Milano, a Reggio
Emilia ed a Ferrara; Billy Budd a Venezia, Torino e Genova; “A Death in Venice”
a Genova, Firenze e Milano; e The rape of Lucretia a Genova, Firenze, Ravenna,
Reggio Emilia e Modena, A Midsummer night’s Dream” a Roma una dozzina di
anni fa e la scorsa stagione, a Napoli, alla Scala e nel circuito toscano
; Albert Herring nel circuito emiliano ed a Cosenza; gli apologhi sacri sono
stati messi in scena a Spoleto; il Saint Nicholas a Bari ed a Montepulciano;
The Little Sweep a Palermo, oltre che a Rovigo e Modena, e sarà a Macerata
questa estate. L’elenco non è esaustivo ma indicativo del successo del
teatro in musica di Britten. L’Orchestra di Roma e del Lazio, quando era in
attività, ha proposto gran parte della sua musica sacra. Il pubblico non è mai
mancato; gli “esauriti” sono la prova più concreta dell’apprezzamento. D’altro
canto, basta pensare che la sua ultima opera, A Death in Venice, ha avuto nel
solo 1973, anno della sua prima rappresentazione, ben 15 differenti
allestimenti (tra cui Aldenburgh dove Britten risiedeva, Venezia, Edimburgo,
Bruxelles e Londra) e l’anno seguente era approdata con enorme successo al Metropolitan
di New York.
Lo stile musicale eclettico di Britten non rifiuta mai la scrittura tonale
ed è accattivante anche per chi non ha dimestichezza con le convenzioni
della musica del Novecento: pur continuando nella grande tradizione britannica
iniziata con Purcell, fa propria (nel teatro in musica) la tecnica di Berg
(almeno negli ultimi lavori) di adottare la forma classica di un tema su cui
costruire ciascuna scena inserendo molteplici variazioni, ed intercalando le
varie scene con intermezzi indipendenti che servano da elementi di unificazione
musicale e drammatica. Altro aspetto fondante è la capacità di ottenere il
massimo colore e calore orchestrale con il minimo di organico (unicamente 13
elementi ad esempio in The Turn of the Screw ed una versione ad organico
ridotto per Billy Budd pur concepito, inizialmente, come un grand opéra).
Grande attenzione, poi, alle voci. Pur nel rispetto delle convenzioni,
riscopre il controtenore e lo accompagna (in A Midsummer Night’s Dream) in
duetti estatici con un soprano di coloratura. Oppure , in Billy Budd utilizza
17 voci maschili (5 tenori, 8 baritoni, un baritono basso e 3 bassi) e nessuna
voce femminile, affidando la vocalità chiara ad un quartetto di adolescenti e
dieci fanciulli che non cantano ma chiacchierano sullo sfondo. In The Turn of
the Screw, invece, le voci sono quasi esclusivamente femminili (tre soprani e
due voci bianche) con cui contrasta un baritenore. Naturalmente il metodo di
organizzazione cambia quando si tratta di musica concepita per essere eseguita
in chiesa (Britten era molto religioso e non è chiaro se ad un certo momento
della sua vita fosse diventato cattolico anche a ragione di composizioni, tra
cui una Missa Brevis basate sulla liturgia cattolica) in cui il pubblico viene
considerato non in veste di spettatore ma di compartecipe all’azione liturgica;
quindi, alcune parti erano pensate perché eseguite dall’intera congregazione.
A fronte di una certa avanguardia atonale e dodecafonica che aveva trovato
il proprio fortilizio a Darmstadt, che espandeva l’organico anche al di là di
quanto previsto da Mahler e che componeva su testi di impronta marxista, era
“scomodo” per vari motivi: mostrava che si poteva innovare (sino a costruire
nuove esperienze foniche) ed avere successo pur lavorando con mezzi ridotti e
scrivendo partiture che avevano il favore del pubblico; traeva ispirazione da
una vasta gamma di fonti (dalla Bibbia alle leggende popolari Usa, al teatro nô
nipponico, alla letteratura inglese, alla storia romana, alla narrativa di Maupassant
e di Mann), nessuna delle quali di stampo marxista, ma molte di origine
religiosa oppure rilette in chiave cristiana ove , come si è detto, non
apertamente cattolica. Era anche “scomodo” perché , pur riconosciuto come
“compositore di Corte” (l’opera Gloriana composta per il Covent Garden in
occasione dell’incoronazione della Regina Elisabetta Seconda è, però, forse uno
dei suoi lavori meno rappresentati e tra quelli, ingiustamente, considerati
meno riusciti), si teneva lontano dal mercato delle sovvenzioni pubbliche: si
vantava di riuscire a mandare avanti il Festival di Aldemburgh in gran parte
con la biglietteria ed i diritti d’autore per i suoi lavori (avevano grande
successo non solo nel mondo anglosassone ma anche in Estremo Oriente , dove trasse
ispirazione per la breve opera Curlew River, il balletto The Prince of Pagodas”
ed il ciclo Songs from the Chinese). Era soprattutto un intellettuale
‘scomodo’ perché era diventato il compositore ufficiale di Corte pur avendo
eluso la leva alla seconda guerra mondiale (andando oltre Atlantico) e
dividendo la propria vita, dall’età di 23 anni alla morte con il tenore Peter
Pears , senza mai dare adito a scandalo (e , forse, mantenendo un rapporto
casto), in una Gran Bretagna dove vigevano leggi pesanti contro chi praticava
l’omosessualità (tanto che per mettere in scena a Londra il dramma di Arthur
Mille A View from the Bridge nel 1956, con la regia di Peter Brook, si dovette
ricorrere al sotterfugio di trasformare il teatro New Watergate, nel West End,
in un club privato). Ce ne è abbastanza per essere , per certa intellighentsia,
“scomodo” ancora adesso.
© Riproduzione Riservata.
Nessun commento:
Posta un commento