martedì 4 giugno 2013

Le Carte di Enrico Letta in Lindro 4 giugno



 LE CARTE DI ENRICO LETTA

Diamo per scontato – come, peraltro, stanno facendo tutti i commentatori – che al Consiglio Europeo di fine giugno, i Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea, UE, approvino le raccomandazioni della Commissione Europea e che l’Italia (unitamente ad un gruppo di altri Stati dell’UE) ‘ esca’ , come si dice in gergo, dalla ‘procedura d’infrazione’ per disavanzo eccessivo. Quale potrebbe essere il passo successivo? L’uscita non vuole dire una pioggia di diamanti, neanche di oro e neppure di euro. Potremmo non contabilizzare (ai fini dei parametri europei) i ‘fondi di contropartita’ per i progetti d’investimento co-finanziati con le istituzioni europee: quale che sia l’importanza ‘politica’ di questo passo, il suo rilievo quantitativo sarebbe minuscolo – pari più o meno ad un anno e mezzo di gettito IMU sulla prima casa. Avremmo maggiore flessibilità nel gestire ‘l’equilibrio strutturale di bilancio’ (in casi come le recessioni particolarmente lunghe e specialmente profonde) restando, però, nel vincolo di un indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni che non superi il 3% del Pil.
Tuttavia – come ho mostrato su ‘Il Sussidiario.Net’ del 3 ottobre – l’ ‘uscita di gruppo’ dalla procedura d’infrazione dimostra che  l’Ue, e in particolare l’eurozona, è in serie difficoltà con le sue proprie regole. Ciò non vuol dire – come ha scritto, sempre il 3 giugno, Ross Douthat (uno dei più brillanti scrittori libertari americani della giovane generazione) – che gli europei ormai ‘prigionieri dell’euro’ non sanno come svincolarsene. Ciò non significa neanche che gli Stati di maggior peso dell’eurozona siano pronti a riscrivere i trattati. Più semplicemente, è iniziato un complesso “gioco” su più tavoli su ciascuno dei quali un Paese e le istituzioni europee hanno in ballo  la propria ‘reputazione’ con il resto degli attori e la  propria ‘popolarità’ con i propri elettorati (due obiettivi quasi sempre in conflitto).
Il gioco è complicato dal fatto che non siamo alle prese con due giocatori che operano parallelamente su due tavoli (come negli esempi di “teoria dei giochi multipli” presentati nei manuali universitari), ma con almeno diciassette giocatori nazionali e tre distinti giocatori europei (Commissione, Bce e Consiglio nelle sue varie forme di Eurogruppo, Ecofin e assise dei Capi di Stato e di Governo), ciascuno alle prese con differenti problemi di ‘ reputazione’ e di ‘popolarità’. Inoltre, gran parte dei Governi dell’eurozona è composto da coalizioni di soggetti politici o da soggetti politici divisi in correnti.
Se la mia analisi è corretta, in questo contesto, qualsiasi ‘equilibrio' è ‘dinamico’ come quelli teorizzati da John Nash (vi ricordate il film A Beautiful Mind ?) In quanto ‘dinamico’ è instabile e soffuso da una nube d’incertezza. Ma l’incertezza – come dimostrato in libro di diversi anni fa (G. Pennisi e P.L. Scandizzo Valutare l’Incertezza, Giappichelli) – è la caratteristiche di un ‘bene pubblico' in quanto indivisibile e non esclusiva. Come tutti i ‘beni pubblici' offre ‘ finestre d’opportunità’ a chi le sa coglierle.
Negli ultimi due Consigli Europei, i Capi di Stato e di Governo dell’UE hanno sembrato realizzare la necessità che si accetti un ‘equilibrio dinamico', con una buona dose d’incertezza, l’intera costruzione può fare la fine delineata da Ross Douthat (e da altri) che, dall’altra sponda dell’Atlantico con il cannocchiale vedono meglio di chi guarda ad occhio nudo. La soluzione sussurrata potrebbe essere quella di ‘programmi individuali di riassetto economico strutturale' per gli Stati in difficoltà (ormai anche la Germania pare di essere sul punto di travalicare tra un paio d’anni il parametro di un disavanzo pubblico non superiore al 3% del Pil) ammettendo sforamenti temporanei purché sulla base di un programma di politica economica di qualità effettivamente realizzato e i cui esiti siano collegialmente monitorati.
E’ su questo programma che il Governo Letta deve giocare le proprie carte. A mio avviso esse sono quattro:
·        Istituzionalizzare la 'spending review' rendendola attività permanente della Ragioneria Generale dello Stato (RGS) e delle Ragioneria Centrali presso i Ministeri. Sono in vigore, ma in gran parte non attuati, i pertinenti strumenti normativi , in particolare del DPCM del 3 agosto 2012 sulla valutazione della spesa, nonché i Documenti tecnici di Osservazioni e Proposte del CNEL del 18 dicembre 2012, del 10 luglio 2012 e del 26 marzo 2009. Esistono le risorse umane: nel 2007 – 2008 è stato effettuato un concorso speciale per dirigenti (tutti con dottorato di ricerca, con studi ed esperienze in tecniche quantitative di analisi  e con conoscenza perfetta almeno della lingua inglese). A capo della RGS c’è ora un economista di chiara fama e prestigio internazionale. Occorre mostrare concretamente al resto dell’UE che i tempi in cui le nostre spending review volevano dire computare i costi unitari di penne a sfera (inizio Anni Novanta) o andare a spanna su grandi aggregati di spesa (Governo Monti) sono finiti e che intendiamo attuare davvero un ‘programma di razionalizzazione delle scelte di bilancio ‘ efficace e trasparente come quello, ad esempio, realizzato in Francia negli Anni Ottanta e che consentì al Paese di passare da svalutazione periodiche agli accordi del Louvre del 1987 che fissarono la parità ‘ stabile ed irrevocabile’ tra franco e marco.
·        Un’operazione di consolidamento del debito pubblico. Sono state formulate numerose proposte su questo tema in questo ultimo anno. Gran parte di tali proposte possono essere lette in un E-Book disponibile sul portale del Cnel – che ha organizzato una giornata di studio sul tema. Un documento molto articolato è stato messo a punto dalla Fondazione Astrid. In breve, anche se – come documentato su Lindro del 7 maggio non è certo che l’alto debito italiano comporti necessariamente un rallentamento di un punto percentuale del Pil, il peso del debito ed il ‘moltiplicare fiscale’ delle misure assunte per appianarlo con diversi anni di ‘avanzi primari’ frenano un potenziale di crescita già basso a ragione della struttura demografica e della scarsa innovazione nei settori produttivi di industria e servizi.
·        Maggior fiato alle imprese sia con pronti pagamenti delle pubbliche amministrazione dei debiti nei loro confronti sia con una maggiore attenzione da parte del settore creditizio. La prima leva è nelle mani del Governo; il Parlamento sta emendando un decreto legge inadeguato sotto questo riguardo e prendendo a modello il sistema di ‘ garanzie ‘ che ha ben funzionato in Francia. In materia di credito, il Governo può, e deve, esercitare la ‘ friendly persuasion’ di cui dispone.
·        Un rilancio dell’investimento pubblico (coniugato con sgravi per assunzioni di giovani e di rimodulazione dell’imposizione sull’edilizia, pur sempre uno dei pochi volani dell’economia italiana) , utilizzando al massimo le risorse europee e la finanza di progetto.
No è detto che queste quattro carte siano necessariamente vincenti. Rappresentano la base per un programma basato su ‘opzioni flessibili’ da presentare almeno in forma preliminare, se possibile, già al prossimo Consiglio Europeo.

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