Cappuccio
trasforma in farsa Don Pasquale
di Giuseppe Pennisi
Dopo il successo de L'Elisir d'Amore e Il Barbiere di Siviglia,
l'accoppiata Ruggero Cappuccio (e il suo team) per regia, scene e costumi, e
Bruno Campanella per direzione musicale sembrava vincente. Invece, Don Pasquale
di Gaetano Donizetti (tornato dopo 12 anni a Roma, dove è in scena sino al 25
giugno) è riuscito soltanto a metà.
Cappuccio, che ha avuto alla prima un po' di fischi anche dal pubblico
della capitale generalmente apatico, trasforma in farsa il capolavoro di
Donizetti. Don Pasquale è invece il prototipo della commedia borghese, con
momenti divertenti e una punta di femminismo (quale possibile nel 1843), ma
fondamentalmente amaro e intriso di melanconia. Il lavoro funzionerebbe in
abiti contemporanei, come si faceva nell'Ottocento, senza i mimi in costumi
settecenteschi e i frizzi e lazzi da commedia dell'arte. Amarezza e melanconia
sono la chiave della concertazione di Campanella, che dosa con cura l'elemento
comico con il rimpianto della giovinezza lontana in un protagonista borghese,
arricchitosi con il commercio ma rimasto piccolo piccolo e quindi facile da
ingannare da parte di amici e parenti spregiudicati. Nicola Alaimo e Mario
Cassi sono veterani dei rispettivi ruoli (il «Don» e il Dottor Malatesta). Due
felici sorprese la giovanissima coppia formata da Joel Prieto, un tenore lirico
spagnolo dalla voce vellutata, il fraseggio perfetto e la capacità di salire
agevolmente a registri alti, e Eleonora Buratto, svettante soprano di
coloratura. Ambedue, inoltre, recitano con grande abilità. Prima che questo Don
Pasquale giri, sarebbe bene ripensarne la drammaturgia. (riproduzione
riservata)
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