martedì 4 giugno 2013

Donna, serva della mia casa in Il Corriere Musicale del 4 giugno



Donna, serva della mia casa

LA STANZA DI LENA (Damiana Mizzi nella foto di Adriano Thorel)
LA STANZA DI LENA (Damiana Mizzi nella foto di Adriano Thorel)

Opera  Dittico di lavori contemporanei presso l’Accademia Filarmonica Romana sul tema dell’uguaglianza dei diritti delle donne. Un segnale artistico e civile molto forte per raccontare due casi di oppressione


di Giuseppe Pennisi

IL 29 maggio l’Accademia Filarmonica Romana ha terminato la stagione 2012-2013 con un dittico operistico. Il titolo – Donna, serva della mia casa –  è tratto da un verso delle Coefore di Eschilo nella traduzione di Pier Paolo Pasolini. Le due opere – Fadwa con libretto e musica di Dmitri Scarlato e La stanza di Lena, libretto di Renata Molinari e musica di Daniele Carnini – sono ispirate da cruenti fatti di cronaca: l’omicidio, per mano del proprio padre, di una giovane pakistana, Hina Saleem, immigrata in Italia e fidanzata con un coetaneo italiano; la vicenda di Natasha Kampush rapita bambina e segregata per diversi anni dal proprio sequestratore. Lo spettacolo, di circa 90 minuti (compreso un breve intervallo), è stato reso possibile da un comitato di un centinaio di sostenitrici che hanno finanziato i costi di allestimento con piccole ma numerose elargizioni liberali. Lo spettacolo andrà sul canale Classica di Sky, su Rai Radio Tre e su Prima della prima della Rai. Non si sa ancora se verrà replicato in Italia o all’estero. Per mera coincidenza, la rappresentazione al Teatro Olimpico di Roma è avvenuta due giorni dopo la ratifica della Convenzione d’Istanbul per la tutela della donne vittime di violenza. Il teatro (2000 posti) era pieno; presenza anche di politici.
Prima di commentare le due opere, è utile fare un riferimento alla Reality Opera all’italiana. Nel 2001, sotto la comune etichetta di Reality Opera, sono stati presentati al Teatro Caio Melisso di Spoleto (nell’ambito della breve stagione del Lirico Sperimentale), tre brevi atti unici – Ragazzi!! di Andrea Cara, Un grido di voce di Roberto Vacca e Lo sgambetto di Enrico Marocchini – ispirati rispettivamente alla serie televisiva Saranno famosi, alla tragedia dell’azienda siderurgica ThyssenKrupp ed al romanzo Gomorra di Roberto Saviano. L’esito è stato poco incoraggiante sotto il profilo sia di pubblico sia di critica. Così come la musica colta o alta è sempre contemporanea (specialmente se dal vivo), l’opera è sempre reality. Non soltanto quando – come La Traviata di Verdi e La Rondine di Puccini – si ispira a vicende correnti ma anche quando – come nella Venezia del Seicento – prende in prestito episodi della mitologia classica per presentare quanto avveniva nei Palazzi sul Canal Grande ma l’Inquisizione vietava di mettere in scena, oppure quando – si pensi a Die ägyptische Helena di Richard Strauss  o a Die Gezeichneten di Franz  Schreker – si mutua da Euripide per dare vita ad una commedia elegante di infedeltà coniugale in puro stile Anni Trenta o si ricorre alla Genova rinascimentale per mostrare a tutto tondo lo sbandamento di una generazione su cui stava per piombare la notte nazista. Gli esempi potrebbero continuare. Il punto di fondo è che reality o meno ciò che conta è la qualità. Powder Her Face di Thomas Adès e Willy Stark di Carlisle Floyd sono opera di grande livello a prescindere dal loro nesso con vicende politiche, giudiziarie e sociali che hanno avuto notevole clamore anche mediatico e parlamentare; è sul loro valore drammaturgico e musicale che si basa il successo di critica e di pubblico che hanno avuto ed ancora hanno.
Dei due lavori presentati in Donna, serva della mia casa, il primo – Fadwa – ha un libretto pretenzioso, ispirato a grandi tragedie greche come Antigone di Sofocle. La drammaturgia è, però, poco convincente: un flash back dove tutto è molto esplicito e rapido, non si utilizzano metafore ed quasi più adatta come abbozzo di scenografia per un film (Dmitri Scarlato lavora a Londra principalmente come compositore di musica da cinema) che per teatro dal vivo. Scarlato e Carnini sono allievi di Azio Corghi. In Fadwa lo si avverte nell’eleganza calligrafica della scrittura orchestrale per un organico di una ventina di elementi (concertati da Gabriele Bonolis). Le sonorità dalla buca sono buone e spesso affascinanti. Lascia a desiderare la scrittura vocale: un declamato ininterrotto anche nei due duetti ed in due momenti dove rispettivamente il soprano ed il tenore sembrano iniziare ariosi, restando a mezz’aria senza sviluppo. Bravi gli interpreti: Martina Belli, Alessandro Luciano, Anna Venditelli, Dario Ciotoli, Matteo Ferrari.
Nettamente più interessante La stanza di Lena. Breve, compatto, claustrofobico con un’aria di coloratura liberatoria nel finale, ha una drammaturgia efficace ed alla scrittura vocale raffinata accompagna drammatici equilibrismi vocali. Ci sono echi di Eine florentinische Tragödie di Zemlinsky. Ottimi i due interpreti – Damiana Mizzi e Gianluca Bocchino – alle prese, soprattutto la voce femminile, con un ruolo impervio. Faranno strada? Probabilmente Fadwa merita una revisione, mentre La stanza di Lena è una compiuta opera breve che, così com’è, può avere una più vasta diffusione.
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