Donna, serva della mia casa
Opera • Dittico di lavori contemporanei presso l’Accademia Filarmonica Romana sul tema dell’uguaglianza dei diritti delle donne. Un segnale artistico e civile molto forte per raccontare due casi di oppressione
IL 29 maggio
l’Accademia Filarmonica Romana ha terminato la stagione 2012-2013 con un
dittico operistico. Il titolo – Donna, serva della mia casa –
è tratto da un verso delle Coefore di Eschilo nella traduzione di Pier
Paolo Pasolini. Le due opere – Fadwa con libretto e musica
di Dmitri Scarlato e La stanza di Lena, libretto di Renata Molinari e
musica di Daniele Carnini – sono ispirate da cruenti fatti di cronaca:
l’omicidio, per mano del proprio padre, di una giovane pakistana, Hina
Saleem, immigrata in Italia e fidanzata con un coetaneo italiano; la
vicenda di Natasha Kampush rapita bambina e segregata per diversi anni dal
proprio sequestratore. Lo spettacolo, di circa 90 minuti (compreso un breve
intervallo), è stato reso possibile da un comitato di un centinaio di
sostenitrici che hanno finanziato i costi di allestimento con piccole ma
numerose elargizioni liberali. Lo spettacolo andrà sul canale Classica di Sky,
su Rai Radio Tre e su Prima della prima della Rai. Non si sa ancora se
verrà replicato in Italia o all’estero. Per mera coincidenza, la
rappresentazione al Teatro Olimpico di Roma è avvenuta due giorni dopo la
ratifica della Convenzione d’Istanbul per la tutela della donne vittime di
violenza. Il teatro (2000 posti) era pieno; presenza anche di politici.
Prima di commentare le due opere, è utile fare un
riferimento alla Reality Opera all’italiana. Nel 2001, sotto la comune
etichetta di Reality Opera, sono stati presentati al Teatro Caio Melisso
di Spoleto (nell’ambito della breve stagione del Lirico Sperimentale), tre
brevi atti unici – Ragazzi!! di Andrea Cara, Un grido di voce di
Roberto Vacca e Lo sgambetto di Enrico Marocchini – ispirati
rispettivamente alla serie televisiva Saranno famosi, alla tragedia
dell’azienda siderurgica ThyssenKrupp ed al romanzo Gomorra di
Roberto Saviano. L’esito è stato poco incoraggiante sotto il profilo sia di
pubblico sia di critica. Così come la musica colta o alta è
sempre contemporanea (specialmente se dal vivo), l’opera è sempre reality.
Non soltanto quando – come La Traviata di Verdi e La Rondine di
Puccini – si ispira a vicende correnti ma anche quando – come nella Venezia del
Seicento – prende in prestito episodi della mitologia classica per presentare
quanto avveniva nei Palazzi sul Canal Grande ma l’Inquisizione vietava di
mettere in scena, oppure quando – si pensi a Die ägyptische Helena di
Richard Strauss o a Die Gezeichneten di Franz Schreker – si
mutua da Euripide per dare vita ad una commedia elegante di infedeltà coniugale
in puro stile Anni Trenta o si ricorre alla Genova rinascimentale per mostrare
a tutto tondo lo sbandamento di una generazione su cui stava per piombare la
notte nazista. Gli esempi potrebbero continuare. Il punto di fondo è che reality
o meno ciò che conta è la qualità. Powder Her Face di Thomas Adès e Willy
Stark di Carlisle Floyd sono opera di grande livello a prescindere dal loro
nesso con vicende politiche, giudiziarie e sociali che hanno avuto notevole
clamore anche mediatico e parlamentare; è sul loro valore drammaturgico e
musicale che si basa il successo di critica e di pubblico che hanno avuto ed
ancora hanno.
Dei due lavori presentati in Donna, serva
della mia casa, il primo – Fadwa – ha un libretto
pretenzioso, ispirato a grandi tragedie greche come Antigone di Sofocle.
La drammaturgia è, però, poco convincente: un flash back dove tutto è
molto esplicito e rapido, non si utilizzano metafore ed quasi più adatta come
abbozzo di scenografia per un film (Dmitri Scarlato lavora a Londra
principalmente come compositore di musica da cinema) che per teatro dal vivo.
Scarlato e Carnini sono allievi di Azio Corghi. In Fadwa lo si avverte
nell’eleganza calligrafica della scrittura orchestrale per un organico di una
ventina di elementi (concertati da Gabriele Bonolis). Le sonorità dalla buca
sono buone e spesso affascinanti. Lascia a desiderare la scrittura vocale: un
declamato ininterrotto anche nei due duetti ed in due momenti dove
rispettivamente il soprano ed il tenore sembrano iniziare ariosi, restando a
mezz’aria senza sviluppo. Bravi gli interpreti: Martina Belli, Alessandro
Luciano, Anna Venditelli, Dario Ciotoli, Matteo Ferrari.
Nettamente più interessante La stanza di Lena.
Breve, compatto, claustrofobico con un’aria di coloratura liberatoria nel
finale, ha una drammaturgia efficace ed alla scrittura vocale raffinata
accompagna drammatici equilibrismi vocali. Ci sono echi di Eine
florentinische Tragödie di Zemlinsky. Ottimi i due
interpreti – Damiana Mizzi e Gianluca Bocchino – alle prese, soprattutto la
voce femminile, con un ruolo impervio. Faranno strada? Probabilmente Fadwa
merita una revisione, mentre La stanza di Lena è una compiuta opera
breve che, così com’è, può avere una più vasta diffusione.
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