«The rape of
Lucretia» piccolo, grande Britten
DA RAVENNA GIUSEPPE PENNISI I
l 22 marzo a Ravenna è iniziata la marcia di
The Rape of Lucretia («Il Ratto di Lucrezia» – sarebbe più esatto tradurre «Lo stupro di Lucrezia») di Benjamin Britten: dalla Romagna andrà nei teatri dell’Emilia per concludersi, a fine maggio, con una serie di repliche, a Firenze. È un lavoro da non perdere. In primo luogo, nel 2013, si celebra il centenario della nascita di Britten, non solo uno dei maggiori compositori del Novecento ma anche uno dei pochi che permeò il proprio lavoro di valori cristiani (malgrado la discutibile vita privata). In secondo luogo, The Rape , del 1945, è indicativo della strada tracciata da Britten per il teatro musicale in una fase di severe restrizioni economiche. È una full opera (una vera e propria opera in due atti di 110 minuti) ma richiede in buca appena 12 solisti e sulla scena 8 cantanti-attori; di essi un soprano e un tenore sono il coro (che commenta l’azione ma anche interviene). Mezzi, quindi, economicissimi ma che, al Teatro Alighieri di Ravenna, con la direzione drammaturgica di Daniele Abbado e quella musicale di Jonathan Web, danno l’impressione di assistere a un kolossal. L’allestimento nasce nel 1999 a Genova. Qui però non solo è cambiato il cast, ma anche le proiezioni (aggiornate sotto il profilo tecnologico) che, in una sala di 900 posti (come a Ravenna) sono più efficaci rispetto a un teatro da camera.
La vicenda è tratta della storia dell’antica Roma: le scorribande del vizioso e brutale Tarquinio il giovane, durante il regno dell’etrusco Tarquinio il Superbo. Siamo nel 500 avanti Cristo, ma il coro del secondo atto è un inno alla pietà della Vergine e l’epilogo richiama il Calvario e la redenzione. Tarquinio violenta la più virtuosa delle romane (che ne morirà), ma pure lui sarà perdonato. Al pari di Peter Grimes, Billy Budd e War Requiem , The Rape appartiene alle riflessioni di Britten sulla violenza (e sulla virtù): la guerra è il massimo della violenza, la conquista del potere e lo stupro ne sono l’aspetto peggiore ma la Fede porta alla redenzione.
Nell’“opera dell’avvenire”, Britten postulava non solo economia di mezzi ma perfetta fusione tra musica e parola, di cui si deve intendere ogni sfumatura. I cantanti qui sono tutti di lingua madre inglese (ed i sovrattitoli sono ausilio indispensabile per chi non conosce la lingua di Shakespeare). Un cast scelto con grande cura in cui spiccano Julianne Young (Lucrezia), John Daszak (coro maschile), Cristina Zavalloni (coro femminile), e Joshua Bloom (Collatino). In parallelo con questa edizione, il Verdi di Trieste mette in scena un allestimento di The Rape con cantanti in gran misura croati: un po’ di coordinamento sarebbe stato auspicabile.
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In scena a Ravenna l’opera del 1945, 'kolossal' per soli 12 strumenti e otto voci La storia antica è spunto per una morale cristiana
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