OPERA/ Guida all'ascolto de
"I due Foscari"
domenica 3
marzo 2013
Approfondisci
NEWS Musica
Per una mera
coincidenza, il Teatro dell’Opera di Roma, dopo essere stato inaugurato con
‘Simon Boccanegra’ il 27 novembre scorso concertato da Riccardo Muri,
propone dal 6 al 16 marzo "I Due Foscari” , sempre con la bacchetta di
Riccardo Muti. Una coincidenza analoga (ma senza Muti) si verificò nel ‘mese
verdiano’ per eccellenza del 2009 quando a Parma il Festival Verdi venne aperto
con "I Due Foscari” e quasi in contemporanea la stagione del Teatro
Massimo di Palermo si chiudeva con ‘Simon Boccanegra’ Si tratta di due opere
che soltanto di recente sono entrate nei repertori dei teatri.“I Due Foscari”,
ignorata per decenni, si è vista di recente anche alla Scala e viene portata da
Muti e dai complessi del Teatro dell’Opera in Giappone. “Boccanegra”, opera
“maledetta” e ignorata da fine Ottocento al 1937, si è vista anche in una
coproduzione tra La Scala, il Metropolitan e la Staatsoper unter den Linden di
Berlino. Sono due lavori distanti nel tempo: “Foscari” è del 1844, le
versioni di “Boccanegra” del 1857, del 1859, e del 1881( quella correntemente
rappresentata). Ambedue si basano su vicende storiche (romanzate a fosche
tinte) ed hanno due temi fondanti: i rapporti con il mondo della politica
e le relazioni tra padre e figli
Soffermiamoci
sul primo tema. In “Foscari”, il Doge di Venezia viene defenestrato da una
congiura , dopo essere stato eletto ripetutamente per 35 anni ed avere
due volte rimesso il mandato; il complotto si basa su un’accusa infamante
nei confronti del proprio figlio, costretto all’esilio ed al suicidio. In
“Boccanegra” , “un uomo del mare” (ossia della vita produttiva) accetta
di entrare in politica per sposare la figlia di un aristocratico, governa la
Repubblica di Genova per un quarto di secolo ma viene distrutto proprio
da coloro che gli avevano chiesto di essere disponibile alla vita pubblica. In
“Foscari” (tratto da un poema di Byron pregnante di pessimismo), il trentunenne
Verdi vede la politica come un gioco di potere che annienta i valori migliori
(l’amore paterno, la terzietà della giustizia).
Più complesso, il cammino delle varie versioni di “Boccanegra”. In
quegli anni , si compiva il Risorgimento; su insistenti pressioni di Cavour,
Verdi venne eletto al primo Parlamento del Regno nel 1861, ma diede le
dimissioni a poco più di metà mandato. Nominato senatore a vita nel 1874,
frequentò raramente il Palazzo e scriveva alla moglie che l’unico aspetto
positivo del Senato erano i divani dove si poteva dormire profondamente. Un
distacco dal “teatrino della politica” analogo a quello del trentunenne
squattrinato, suddito del Granducato di Parma e Piacenza, alle prese con
la burocrazia del Papa Re (“Foscari” era una commissione del Teatro
Argentina di Roma)? Niente affatto, le diverse versioni di “Boccanegra” e
l’epistolario verdiano rivelano come Verdi fosse un partecipante (anche se non
entusiasta) al movimento di unità nazionale, ma diventasse
progressivamente deluso da una “politica politicante” (come il
protagonista del romanzo incompiuto “L’imperio” di Federico De Roberto) sempre più
distante dalla sua visione lungimirante . Nella scena-chiave di “Boccanegra”,
il Doge fa proprio l’appello di Francesco Petrarca a porre fine delle guerre
tra le Repubbliche di Genova e di Venezia allo scopo di lavorare insieme per
un’Italia libera, ma non è compreso né dai patrizi né dai plebei; ciò
innesca l’intrigo che porta alla catarsi finale. “Boccanegra” (parte dei
cui temi “politici” verranno ripresi in “Don Carlo” ed in “Otello”) svela un
rapporto tormentato con la politica analogo a quello con la religione: la
visione a lungo raggio della Politica con la “p” maiuscola ed i programmi per
realizzarla vengono bloccati da una politica con la “p” minuscola ridotta a
intrighi. Ho commentato la produzione presentata il 27 novembre a Roma su
Il Sussidiario del 29 novembre.
“I Due
Foscari” è l’opera più breve di Verdi . E’ cupa, tratta da un poema ancor
più cupo di Byron. Dimenticata nell’Ottocento, “riscoperta” da Carlo Maria
Giulini per una delle memorabili esecuzioni della Rai. Venne ripresa sotto
l’egida di Francesco Siciliani per il “Maggio Fiorentino” e definitivamente
rilanciata da Bruno Bartoletti a Roma nel 1968 in un allestimento magico che
approdò al Metropolitan e preparò il vero e proprio “revival”. In scena non
avviene nulla o quasi in quanto tutto accade prima e i fatti di rilievo che
succedono durante i tre atti si verificano, in gran misura, dietro le quinte.
Ha solo tre personaggi di rilievo e dato che segue quasi le regole dell’unità
aristotelica (tutto in un giorno, nel Palazzo Ducale e dintorni), anche lo
sviluppo psicologico dei protagonisti è limitato.
Ildebrando
Pizzetti, che ne adorava lo spartito e ne promosse la rappresentazione scenica
del 1968, ne vedeva un dramma in musica modernissimo. In effetti, anche se “I
Due Foscari” appartiene agli “anni di galera” di Verdi (e come tale venne
eseguita nella versione concertata da Maurizio Arena nell’edizione discografica
Nuova Era del 1984), è una tragedia lirica, per alcuni aspetti agganciata alla
prima metà dell’Ottocento e per altri già rivolta alla fine del secolo, se non
già al Novecento: pezzi chiusi, naturalmente, ma pochi; intercalati da brevi
intermezzi; enfasi sul declamato; un continuo orchestrale denso di mezze tinte,
pur nella cupezza generale dell’opera, un prodigioso sestetto , un concertato
di grande livello ed arie con cabaletta da virtuosa . Non è solo una tavolozza
di “ Boccanegra”, uno dei lavori più sentiti da Verdi che ci lavorò per quasi
tre lustri, nonché tra i più commoventi. È un piccolo, scarno capolavoro imperniato
sull’amor filiale, tema centrale della vita e dell’opera di Verdi. Ne erano
appassionati Tullio Serafin, Bruno Bartoletti e Gianandrea Gavazzeni. E questo
ne spiega il successo degli ultimi anni, specialmente negli Stati Uniti.
L’ascoltare attento si accorgerà che ‘I due Foscari’ anticipano i leit
motiv di Wagner , anche se non credo che mai Wagner l’ascoltò data la
poca diffusione dell’opera dopo le recite al Teatro Argentina di Roma.
L’edizione
che si vedrà di nuovo a Roma dal 6 al 16 marzo è stata fortemente voluta da
Riccardo Muti. La regia di Werner Herzog e le scene ed i costumi di Maurizio
Balò ci portano in una Venezia fredda e glaciale, quasi spettrale. Luca Solari
è Francesco Foscari, Francesco Meli Jacopo, e Tatiana Serjan (in alternanza con
Csilla Borross Lucrezia. Da non perdere.
© Riproduzione Riservata.
GUIDA ALL’ASCOLO DE ‘I
DUE FOSCARI’
Giuseppe
Pennisi
Per
una mera coincidenza, il Teatro dell’Opera di Roma , dopo essere stato
inaugurato con ‘Simon Boccanegra’ il 27 novembre scorso concertato da Riccardo Muri, propone dal 6 al
16 marzo ‘I Due Foscari” , sempre con la bacchetta di Riccardo Muti. Una
coincidenza analoga (ma senza Muti) si verificò nel ‘mese verdiano’ per
eccellenza del 2009 quando a Parma il Festival Verdi venne aperto con ‘I Due
Foscari” e quasi in contemporanea la stagione del Teatro Massimo di Palermo si
chiudeva con ‘Simon Boccanegra’ Si tratta di due opere che soltanto di recente
sono entrate nei repertori dei teatri.“I Due Foscari”, ignorata per decenni, si
è vista di recente anche alla Scala e viene portata da Muti e dai complessi del
Teatro dell’Opera in Giappone. “Boccanegra”, opera “maledetta” ed ignorata da
fine Ottocento al 1937, si è vista anche in una coproduzione tra La Scala, il
Metropolitan e la Staatsoper unter den Linden di Berlino. Sono due lavori distanti nel tempo: “Foscari” è del 1844, le
versioni di “Boccanegra” del 1857, del 1859, e del 1881( quella correntemente
rappresentata). Ambedue si basano su vicende storiche (romanzate a fosche tinte)
ed hanno due temi fondanti: i rapporti con il
mondo della politica e le relazioni tra padre e figli
Soffermiamoci
sul primo tema. In “Foscari”, il Doge di Venezia viene defenestrato da una
congiura , dopo essere stato eletto ripetutamente per 35 anni ed avere due volte rimesso
il mandato; il complotto si basa su
un’accusa infamante nei confronti del proprio figlio, costretto all’esilio ed
al suicidio. In “Boccanegra” , “un uomo del mare” (ossia della vita produttiva)
accetta di entrare in politica per
sposare la figlia di un aristocratico, governa la Repubblica di Genova per un quarto di secolo ma viene distrutto
proprio da coloro che gli avevano chiesto di essere disponibile alla vita
pubblica. In “Foscari” (tratto da un poema di Byron pregnante di pessimismo),
il trentunenne Verdi vede la politica come un gioco di potere che annienta i
valori migliori (l’amore paterno, la terzietà della giustizia).
Più complesso, il cammino delle varie versioni
di “Boccanegra”. In quegli anni , si compiva il Risorgimento; su insistenti
pressioni di Cavour, Verdi venne eletto al primo Parlamento del Regno nel 1861,
ma diede le dimissioni a poco più di metà mandato. Nominato senatore a vita nel
1874, frequentò raramente il Palazzo e scriveva alla moglie che l’unico aspetto
positivo del Senato erano i divani dove si poteva dormire profondamente. Un
distacco dal “teatrino della politica” analogo a quello del trentunenne
squattrinato, suddito del Granducato di Parma e Piacenza, alle prese con
la burocrazia del Papa Re (“Foscari” era
una commissione del Teatro Argentina di Roma)? Niente affatto, le diverse
versioni di “Boccanegra” e l’epistolario verdiano rivelano come Verdi fosse un
partecipante (anche se non entusiasta) al movimento di unità nazionale, ma
diventasse progressivamente deluso da
una “politica politicante” (come il
protagonista del romanzo incompiuto “L’imperio” di Federico De Roberto) sempre
più distante dalla sua visione lungimirante . Nella scena-chiave di
“Boccanegra”, il Doge fa proprio l’appello di Francesco Petrarca a porre fine
delle guerre tra le Repubbliche di Genova e di Venezia allo scopo di lavorare
insieme per un’Italia libera, ma non è
compreso né dai patrizi né dai plebei; ciò innesca l’intrigo che porta alla catarsi finale. “Boccanegra”
(parte dei cui temi “politici” verranno ripresi in “Don Carlo” ed in “Otello”) svela
un rapporto tormentato con la politica analogo a quello con la religione: la
visione a lungo raggio della Politica con la “p” maiuscola ed i programmi per
realizzarla vengono bloccati da una politica con la “p” minuscola ridotta a
intrighi. Ho commentato la produzione
presentata il 27 novembre a Roma su Il Sussidiario del 29 novembre.
“I
Due Foscari” è l’opera più breve di Verdi . E’
cupa, tratta da un poema ancor più cupo di Byron. Dimenticata nell’Ottocento,
“riscoperta”
da Carlo Maria Giulini per una delle memorabili esecuzioni della Rai. Venne
ripresa sotto l’egida di Francesco Siciliani per il “Maggio Fiorentino” e
definitivamente rilanciata da Bruno Bartoletti a Roma nel 1968 in un
allestimento magico che approdò al Metropolitan e preparò il vero e proprio
“revival”. In scena non avviene nulla o quasi in quanto tutto accade prima e i
fatti di rilievo che succedono durante i tre atti si verificano, in gran
misura, dietro le quinte. Ha solo tre personaggi di rilievo e dato che segue
quasi le regole dell’unità aristotelica (tutto in un giorno, nel Palazzo Ducale
e dintorni), anche lo sviluppo psicologico dei protagonisti è limitato.
Ildebrando
Pizzetti, che ne adorava lo spartito e ne promosse la rappresentazione scenica
del 1968, ne vedeva un dramma in musica modernissimo. In effetti, anche se “I Due Foscari” appartiene agli “anni
di galera” di Verdi (e come tale venne eseguita nella versione concertata da
Maurizio Arena nell’edizione discografica Nuova Era del 1984), è una tragedia
lirica, per alcuni aspetti agganciata alla prima metà dell’Ottocento e per
altri già rivolta alla fine del secolo, se non già al Novecento: pezzi chiusi,
naturalmente, ma pochi; intercalati da brevi intermezzi; enfasi sul declamato;
un continuo orchestrale denso di mezze tinte, pur nella cupezza generale
dell’opera, un prodigioso sestetto , un concertato di grande livello ed arie
con cabaletta da virtuosa . Non è solo una tavolozza di “ Boccanegra”, uno dei lavori più
sentiti da Verdi che ci lavorò per quasi tre lustri, nonché tra i più
commoventi. È un piccolo, scarno capolavoro imperniato sull’amor filiale, tema
centrale della vita e dell’opera di Verdi. Ne erano appassionati Tullio
Serafin, Bruno Bartoletti e Gianandrea Gavazzeni. E questo ne spiega il
successo degli ultimi anni, specialmente negli Stati Uniti. L’ascoltare attento
si accorgerà che ‘I due Foscari’ anticipano i
leit motiv di Wagner , anche se non credo che mai Wagner l’ascoltò data la
poca diffusione dell’opera dopo le recite al Teatro Argentina di Roma.
L’edizione che si vedrà di nuovo a
Roma dal 6 al 16 marzo è stata fortemente voluta da Riccardo Muti. La regia di
Werner Herzog e le scene ed i costumi di Maurizio Balò ci portano in una
Venezia fredda e glaciale, quasi spettrale. Luca Solari è Francesco Foscari,
Francesco Meli Jacopo, e Tatiana Serjan (in alternanza con Csilla Borross
Lucrezia. Da non perdere.
Nessun commento:
Posta un commento