sabato 16 marzo 2013

Gli spiragli per la «golden rule» in Avvenire 16 marzo



’analisi Gli spiragli per la «golden rule»


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DI GIUSEPPE PENNISI

onostante le apparenze d’u­na riunione d’ordinaria am­ministrazione, il Consiglio europeo potrebbe segnare un’impor­tante svolta. L’ordine del giorno con­teneva meri adempimenti: la conclu­sione della prima fase del «semestre europeo 2013». Anche l’Italia aveva inviato a Bruxelles le proprie «osser­vazioni » sugli scenari di crescita (po­co ottimisti) predisposti dalla Com­missione. Su queste basi il Consiglio ha valutato i progressi complessivi compiuti dagli Stati membri nell’at­tuazione delle raccomandazioni per Paese del 2012 e adotterà quindi rac­comandazioni strategiche. I leader Ue hanno fornito orientamenti riguardo ai programmi di stabilità e conver­genza del 2013 e sull’attuazione del­la strategia Europa 2020, per quanto concerne le nuove competenze e i nuovi lavori, le politiche industriali e di innovazione e l’agenda digitale.

Possono gli Stati Ue (non solamente l’Italia e gli altri Paesi periferici alle prese con severi problemi di debito sovrano) fare fronte a queste «nuove competenze, nuovi lavori, politiche industriali e agenda digitale» senza u­na revisione (quanto meno interpre­tava) delle regole oggi in vigore? Le sti­me della Commissione prevedono stagnazione sino a metà 2014, quelle dei 20 istituti econometrici del «grup­po del consensus» una contrazione media dello 0,2% quest’anno, ma at­torno all’1% per i Paesi mediterranei e per la Francia. L’economia reale ha implicazioni sulla finanza pubblica: le restrizioni di spesa sono partico­larmente pesanti per gli investimen­ti pubblici, leva essenziale per attiva­re, nel breve periodo, capacità pro­duttiva non utilizzata (soprattutto oc­cupazione) e, nel lungo, aumentare produttività, uscendo dalla crisi che ci attanaglia dal 2007. In Italia, la spesa in conto capitale dello Stato è passa­ta dal 3,5% del Pil (media del primo decennio di questo secolo) al 2% (32.000 milioni di euro l’anno) dal 2011. Quella degli enti locali è stata virtualmente azzerata. Fenomeni a­naloghi sono in atto in Francia, Irlan­da, Portogallo e Spagna. In Grecia e a Cipro non si investe da anni.

È in questo quadro che ha preso cor­po, senza ancora assumere però con­torni definiti, una proposta che sem­brava accantonata: un’esenzione li­mitata dell’investimento pubblico dai vincoli dei trattati. Inizialmente for­mulata da Andrea Monorchio (quan­do era Ragioniere Generale dello Sta­to) e da Antimo Verde (Università del­la Tuscia), l’esenzione ai fini contabi­li riguarderebbe gli investimenti in in­frastrutture e reti co-finanziati con l’Ue. Oggi l’Italia può mettere sul piat­to due nuovi elementi: il Dpcm in vi­gore da fine novembre sulle proce­dure di preparazione e valutazione dell’investimento pubblico e il docu­mento Cnel su parametri di valuta­zione e criteri di scelta varato in di­cembre. Sono giudicati esemplari dal­la Ue. In aggiunta, può proporre un’interpretazione estensiva dello stock del debito pubblico (aggiun­gendo i debiti delle Pa nei confronti di imprese non previsti dai criteri Euro­stat) – un segnale concreto di voler sia risolvere i pagamenti alle imprese sia di abbattere il debito.

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La proposta italiana resta quella di un’esenzione limitata dell’investimento pubblico dai vincoli dei trattati



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