’analisi Gli spiragli per la «golden
rule»
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DI GIUSEPPE PENNISI
onostante le apparenze d’una riunione d’ordinaria amministrazione, il Consiglio europeo potrebbe segnare un’importante svolta. L’ordine del giorno conteneva meri adempimenti: la conclusione della prima fase del «semestre europeo 2013». Anche l’Italia aveva inviato a Bruxelles le proprie «osservazioni » sugli scenari di crescita (poco ottimisti) predisposti dalla Commissione. Su queste basi il Consiglio ha valutato i progressi complessivi compiuti dagli Stati membri nell’attuazione delle raccomandazioni per Paese del 2012 e adotterà quindi raccomandazioni strategiche. I leader Ue hanno fornito orientamenti riguardo ai programmi di stabilità e convergenza del 2013 e sull’attuazione della strategia Europa 2020, per quanto concerne le nuove competenze e i nuovi lavori, le politiche industriali e di innovazione e l’agenda digitale.
Possono gli Stati Ue (non solamente l’Italia e gli altri Paesi periferici alle prese con severi problemi di debito sovrano) fare fronte a queste «nuove competenze, nuovi lavori, politiche industriali e agenda digitale» senza una revisione (quanto meno interpretava) delle regole oggi in vigore? Le stime della Commissione prevedono stagnazione sino a metà 2014, quelle dei 20 istituti econometrici del «gruppo del consensus» una contrazione media dello 0,2% quest’anno, ma attorno all’1% per i Paesi mediterranei e per la Francia. L’economia reale ha implicazioni sulla finanza pubblica: le restrizioni di spesa sono particolarmente pesanti per gli investimenti pubblici, leva essenziale per attivare, nel breve periodo, capacità produttiva non utilizzata (soprattutto occupazione) e, nel lungo, aumentare produttività, uscendo dalla crisi che ci attanaglia dal 2007. In Italia, la spesa in conto capitale dello Stato è passata dal 3,5% del Pil (media del primo decennio di questo secolo) al 2% (32.000 milioni di euro l’anno) dal 2011. Quella degli enti locali è stata virtualmente azzerata. Fenomeni analoghi sono in atto in Francia, Irlanda, Portogallo e Spagna. In Grecia e a Cipro non si investe da anni.
È in questo quadro che ha preso corpo, senza ancora assumere però contorni definiti, una proposta che sembrava accantonata: un’esenzione limitata dell’investimento pubblico dai vincoli dei trattati. Inizialmente formulata da Andrea Monorchio (quando era Ragioniere Generale dello Stato) e da Antimo Verde (Università della Tuscia), l’esenzione ai fini contabili riguarderebbe gli investimenti in infrastrutture e reti co-finanziati con l’Ue. Oggi l’Italia può mettere sul piatto due nuovi elementi: il Dpcm in vigore da fine novembre sulle procedure di preparazione e valutazione dell’investimento pubblico e il documento Cnel su parametri di valutazione e criteri di scelta varato in dicembre. Sono giudicati esemplari dalla Ue. In aggiunta, può proporre un’interpretazione estensiva dello stock del debito pubblico (aggiungendo i debiti delle Pa nei confronti di imprese non previsti dai criteri Eurostat) – un segnale concreto di voler sia risolvere i pagamenti alle imprese sia di abbattere il debito.
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La proposta italiana resta quella di un’esenzione limitata dell’investimento pubblico dai vincoli dei trattati
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