13marzo
Misteri in Laguna. A Venezia il “Caso Makropoulos” di Janácek
Il “Caso
Makropoulos” di Leoš Janácek arriva a Venezia
di Hans
Sachs - 13 marzo 2013 11:04 fonte ilVelino/AGV NEWS Roma
Il “Caso
Makropoulos” o “L’Affare Makropoulos” (a seconda delle traduzione del titolo
originale ‘ V c Makropoulos’, letteralmente ‘La Cosa Makropoulos’) di Leoš
Janácek arriva a Venezia in un allestimento co-prodotto con i teatri di
Norimberga e dell’Opéra du Rhin ma visto anche a Londra ed a Leeds. Le brume di
una Venezia all’inizio di marzo vanno a pennello a questo ‘thriller in musica
denso di misteri. Il lavoro ha le guise di un dramma poliziesco: un processo su
una vertenza di successione che dura da più di cent’anni in cui si inserisce
una bellissima e giovanissima cantante - Emilia Marty - che tanto sa (e tanti
documenti sa trovare) ma cerca disperatamente un manoscritto in greco. Il
dramma di apek dura oltre quattro ore ed è farcito di discorsi filosofici. I
tre atti di Janácek durano 90 minuti e rendono meglio se vengono rappresentati
senza intervallo. L’opera in effetti tratta del valore e della durata della
vita come esperienza terrena. Emilia Marty ha 337 anni; ha avuto negli oltre
tre secoli vari nomi tutti con le iniziali E.M.; suo padre, il negromante
cretese Makropoulos, ha predisposto una lozione di lunga vita per l’Imperatore
d’Ungheria, lei la ha provata, è rimasta sempre giovane ma allo scadere dei
giorni in cui si svolge l’opera deve bere di nuovo la pozione o morire. La
ricetta si è smarrita nelle mani di un antenato di coloro coinvolti nel
maxi-processo.
Quindi, la sua ricerca affannosa . È così bella che una delle controparti nel processo (senza sapere di essere un suo bisnipote si innamora perdutamente di lei) e che un altro si suicida quando apprende che suo padre (in possesso delle carte in greco) dà il documento in cambio di una notte di sesso con lei. Ma, pure sotto le lenzuola, Emilia è fredda. In 300 anni, i suoi amici, i suoi amanti, le sue persone care sono sparite, mentre lei vagava da Paese a Paese cambiando nome e nazionalità ma mantenendo sempre le stesse iniziali. Quando, infine, ha il documento, lo cede alla fidanzata (giovane) di uno dei suoi innamorati, che lo brucia, mentre lei invecchia in pochi istanti e muore. La scrittura orchestrale e vocale di Janácek è un magico equilibrio tra il melodismo nostalgico slavo e il sinfonismo pagano di Richard Strauss, con influenze di Debussy (del quale Janacek conosceva bene sia “La Mer” sia “Pelléas”), un ininterrotto mormorio, inafferrabile e inclassificabile, e provvisto di temi di assoluta originalità, nonché di delicatezza impressionistica e di calligrafismo sonoro.
Ancora più interessante la scrittura vocale in cui note e parole si plasmano a vicenda le une sulle altre sino all'immenso arioso finale. Un equilibrio che si può afferrare, con l'ausilio dei sovratitoli. In Italia, il lavoro venne lanciato da Luca Ronconi che, circa vent’anni fa, ne presentò un’edizione in versione ritmica italiana che debuttò a Torino ma si è vista anche a Bologna, Napoli e alla Scala. Circa un anno e mezzo fa, a Firenze è stato presentato un allestimento è curato, per la parte drammaturgica, dal noto regista americano William Friedkin e, per quella musicale, da Zubin Mehta. Un scena unica con proiezioni ed effetti speciali che evocano le vicende pregresse di E.M. da parte di tutti gli altri. Grande cura alla recitazione. Ampia la concertazione di Mehta con tempi dilatati ed accenti tardo romantici. A Venezia arriva in un’edizione di Robert Carsen che situa la vicenda alla metà degli Anni Venti in cui E.M. è protagonista della prima di ‘Turandot’. Concerta Gabriele Ferro. La protagonista è Ángeles Blancas Gulín.
Quindi, la sua ricerca affannosa . È così bella che una delle controparti nel processo (senza sapere di essere un suo bisnipote si innamora perdutamente di lei) e che un altro si suicida quando apprende che suo padre (in possesso delle carte in greco) dà il documento in cambio di una notte di sesso con lei. Ma, pure sotto le lenzuola, Emilia è fredda. In 300 anni, i suoi amici, i suoi amanti, le sue persone care sono sparite, mentre lei vagava da Paese a Paese cambiando nome e nazionalità ma mantenendo sempre le stesse iniziali. Quando, infine, ha il documento, lo cede alla fidanzata (giovane) di uno dei suoi innamorati, che lo brucia, mentre lei invecchia in pochi istanti e muore. La scrittura orchestrale e vocale di Janácek è un magico equilibrio tra il melodismo nostalgico slavo e il sinfonismo pagano di Richard Strauss, con influenze di Debussy (del quale Janacek conosceva bene sia “La Mer” sia “Pelléas”), un ininterrotto mormorio, inafferrabile e inclassificabile, e provvisto di temi di assoluta originalità, nonché di delicatezza impressionistica e di calligrafismo sonoro.
Ancora più interessante la scrittura vocale in cui note e parole si plasmano a vicenda le une sulle altre sino all'immenso arioso finale. Un equilibrio che si può afferrare, con l'ausilio dei sovratitoli. In Italia, il lavoro venne lanciato da Luca Ronconi che, circa vent’anni fa, ne presentò un’edizione in versione ritmica italiana che debuttò a Torino ma si è vista anche a Bologna, Napoli e alla Scala. Circa un anno e mezzo fa, a Firenze è stato presentato un allestimento è curato, per la parte drammaturgica, dal noto regista americano William Friedkin e, per quella musicale, da Zubin Mehta. Un scena unica con proiezioni ed effetti speciali che evocano le vicende pregresse di E.M. da parte di tutti gli altri. Grande cura alla recitazione. Ampia la concertazione di Mehta con tempi dilatati ed accenti tardo romantici. A Venezia arriva in un’edizione di Robert Carsen che situa la vicenda alla metà degli Anni Venti in cui E.M. è protagonista della prima di ‘Turandot’. Concerta Gabriele Ferro. La protagonista è Ángeles Blancas Gulín.
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