mercoledì 13 marzo 2013

COSA CAMBIERA’ NELL’ASSETTO DELLA LIRICA ITALIANA In Music@ marzo aprile



COSA CAMBIERA’ NELL’ASSETTO DELLA LIRICA ITALIANA
Giuseppe Pennisi
Circa un anno, nella rubrica ‘polemica’ del mensile milanese ‘Musica’ preconizzai che in Italia sarebbero rimaste in vita tra tre a cinque fondazioni liriche e che il resto del teatro in musica sarebbe stato affidato ai ‘teatri di tradizione’ od alle ‘dirette’ dei cinema in HD (già operanti in 250 sale al ritmo di due spettacoli la settimana). Venni accusato di essere una Cassandra. Risposi che secondo Omero e Virgilio, la Principessa troiana aveva ragione.
Il fato era segnato. La responsabilità un po’ di tutti: la scarsa cultura musicale degli italiani (che da almeno sessant’anni non chiedono alla politica di sostenere ‘la musa bizzarra e altera’ , come il musicologo Herbert Lindenberger , ha accuratamente definito la lirica), l’inesistente coordinamento tra Sovrintendenti (ricordo una ‘stagione’ con sei ‘nuovi allestimenti’ di Un Ballo in Maschera) , la poca produttività dei teatri (mediamente 70 recite l’anno rispetto ad una media di 160 nell’UE a 15 e di 200 nell’UE a 27), alti costi (il 140% della media dell’UE a 15 e circa il 230% della media dell’UE a 27), corporativismo sfrenato, regie vetuste (rispetto a ciò che si vede all’estero) e tali da non attirare il pubblico giovane, la trasformazione delle ‘stagioni’ in festival con pochi titoli trascurando il repertorio. Cosa dire di una fondazione che, con circa 400 dipendenti, nel 2009 ha alzato il sipario solo 25 volte? Un chiaro invito a destinare i finanziamenti pubblici ad altre attività.
Al pari della Marescialla nel terzetto del Der Rosankavalier , ‘Sapevo che sarebbe successo, ma non pensavo che succedesse così presto’. Il Decreto del Presidente della Repubblica sul ‘nuovo assetto ordinamentale ed organizzativo’ delle Fondazioni , approvato nell’ultimo Consiglio dei Ministri prima dello scioglimento delle Camere, prevede , implicitamente, un drastico ridimensionamento del numero delle fondazioni.
Occorre ammettere che definire l’articolato, è stato un lavoro immane, iniziato quando Sandro Bondi era Ministro e terminato alla fine del 2012. Si è trattato di dare un senso a molteplici norme (spesso contraddittorie) ed armonizzarle guardando al futuro ed al resto d’Europa non al passato oppure ad un presente ancora pieno d’incrostazioni particolaristiche. In effetti, il DPR (che dovrà andare al vaglio del nuovo Parlamento) è un testo unico che come tutti i testi unici ha comunque il vantaggio di semplificare normative di settore accavallatesi negli anni, spesso per rispondere a questa od a quella esigenza (anche più che legittima) ma senza tener conto del sistema nel suo complesso. Quello per la lirica è un documento complesso, sul quale si sono divisi i sovrintendenti dei maggiori teatri e che ha incontrato l’opposizione dei 5.000 dipendenti delle fondazioni lirico- sinfoniche, i quali perderebbero alcune posizioni di vantaggio rispetto ai colleghi di ‘teatri di tradizione’.
Il suo punto forte, e più controverso, è  l’articolo 2 è con il quale si pone un vincolo al finanziamento dello Stato: per essere tale una ‘fondazione’ dovrà coprire la metà del proprio bilancio con entrate proprie (biglietteria, sponsorizzazioni) e contributi da enti locali (Regioni, Province, Comuni) , nonché apporto di soci privati. Molti protestano che in questo modo si uccide la lirica. La norma , però,  porta la legislazione italiana in linea con quella di Stati europei come la Germania, l’Austria e la Francia dove la lirica non è la sorella povera dello spettacolo dal vivo ma una realtà viva e vivace. Gli enti locali affermano di essere già troppo oberati: ciò, però, li costringerà a decidere se utilizzare gli stanziamenti per la cultura a pioggia, se finanziare la fiera del carciofone o della patata rossa o se contribuire al ‘loro’ teatro, spesso un gioiello architettonico ricevuto in eredità dalle generazioni precedenti. Ciò li costringerà anche a ‘mettere bocca’ nella programmazione del teatro, in cercare sinergie, ad attivare circuiti con istituzioni simili in Italia ed all’estero. Chi non può o non vuole sostenere la propria ‘fondazione lirica’, chi  non la  sente radicata nella propria comunità, subirà un declassamento: la fondazione  (con finanziamenti statali triennali) diventerà un ‘teatro di tradizione’ (con finanziamenti statali basati sul numero delle rappresentazioni effettive).
Quando nel 1945 la commissione del Piano Marshall rise in faccia al Borgomastro di Vienna che aveva posto in cima alle priorità la ricostruzione della Staatsoper , i viennesi che amavano tanto il loro teatro da non volerlo relegato nella (allora) periferica Volksoper, non si persero d’animo: votarono all’unanimità un’imposta di scopo ’ per riportare il ‘ loro ‘ teatro all’antico splendore . E, dopo la ricostruzione,  lo inaugurarono con nove recite (ciascuna con un titolo differente) in cui tutti (direttori, cantanti, orchestra , maestranze) lavorarono gratis, i prezzi dei biglietti erano stracciati e venduti a lotteria (tale era la domanda). Di recente, a Baltimora si è polemizzato per la sospensione delle rappresentazioni del Lyric Theatre in seguito alla crisi finanziaria che ha travolto i finanziatori. Sono stati organizzati autobus per portare gli appassionati nella vicina Washington (un’ora e mezza circa di percorso) dove ci sono oltre alla National Opera (il 25% dei cui costi è sovvenzionato dal National Endowment for Arts) altre sei compagnie d’opera, tutte private ed aiutate solo a livello locale (per di più dalla Contee, l’equivalente della nostra Regione) . Il 26 dicembre di quest’anno è stato inaugurato a Erl nel Tirolo (a 80 km da Monaco a Nord e da Innsbruck a Sud ed a 75 da Salisburgo) un nuovo teatro per opere e concerto finanziato in parte dal Governo del Tirolo (non da quello federale) ed in parte da privati; nel primo festival di due settimane (tre opere, sinfonica e cameristica), il 98,5% degli spettatori erano pubblico pagante. In Cina sono in costruzione un centinaio di teatri per l’opera e la concertistica occidentale; tutti a carico delle Province e dei privati.
Non c’è nulla di male nel diventare ‘teatro di tradizione’ se a livello locale non si vuole mostrare il supporto in maniera concreto: aprendo la borsa e dando priorità al teatro. Oltre tutto negli ultimi anni alcuni circuiti di ‘teatro di tradizione’ (ad esempio quello toscano estesosi alla Romagna, quello lombardo estesosi alle Marche) hanno mostrato innovazione drammaturgica ed utilizzato giovani talenti.
Il punto debole è che non si prevedono incentivi ‘europei’ per la deduzioni dei contributi privati dall’imponibile- nel resto d’Europa si aggirano sul 30% dell’elargizione filantropica mentre in Italia si è al 19%. Altro punto difficile è la valutazione della qualità della programmazione, elemento che entra nelle decisioni sull’entità dei finanziamenti. Si può pensare di affidarla alla Consulta per la Musica del Ministero, ma sono essenziali criteri trasparenti quali il numero di Premi Abbiati ricevuti, le coproduzioni con grandi teatri stranieri, le ‘prime’ mondiali.
Inoltre, il testo unico prevede la sostituzione della contrattazione collettiva nazionale con contrattazioni dei singoli cori ed orchestre . Questo è l’aspetto che più irrita le maestranze. Però è anche un aspetto che ci avvicina all’Europa dove in molti casi cori ed orchestre hanno personalità giuridica autonoma che negozia con i teatri. Ci sono, senza dubbio, miglioramenti da fare. Speriamo che non finiscano con snaturare il disegno complessivo.

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