COSA CAMBIERA’ NELL’ASSETTO DELLA
LIRICA ITALIANA
Giuseppe Pennisi
Circa un anno, nella rubrica
‘polemica’ del mensile milanese ‘Musica’ preconizzai che in Italia sarebbero
rimaste in vita tra tre a cinque fondazioni liriche e che il resto del teatro
in musica sarebbe stato affidato ai ‘teatri di tradizione’ od alle ‘dirette’
dei cinema in HD (già operanti in 250 sale al ritmo di due spettacoli la
settimana). Venni accusato di essere una Cassandra. Risposi che secondo Omero e
Virgilio, la Principessa troiana aveva ragione.
Il fato era segnato. La
responsabilità un po’ di tutti: la scarsa cultura musicale degli italiani (che
da almeno sessant’anni non chiedono alla politica di sostenere ‘la musa
bizzarra e altera’ , come il musicologo Herbert Lindenberger ,
ha accuratamente definito la lirica), l’inesistente coordinamento tra
Sovrintendenti (ricordo una ‘stagione’ con sei ‘nuovi allestimenti’ di Un Ballo in Maschera) , la poca
produttività dei teatri (mediamente 70 recite l’anno rispetto ad una media di
160 nell’UE a 15 e di 200 nell’UE a 27), alti costi (il 140% della media
dell’UE a 15 e circa il 230% della media dell’UE a 27), corporativismo
sfrenato, regie vetuste (rispetto a ciò che si vede all’estero) e tali da non
attirare il pubblico giovane, la trasformazione delle ‘stagioni’ in festival
con pochi titoli trascurando il repertorio. Cosa dire di una fondazione che,
con circa 400 dipendenti, nel 2009 ha alzato il sipario solo 25 volte? Un
chiaro invito a destinare i finanziamenti pubblici ad altre attività.
Al pari della Marescialla nel
terzetto del Der Rosankavalier , ‘Sapevo che sarebbe successo, ma non pensavo
che succedesse così presto’. Il Decreto del Presidente della Repubblica sul ‘nuovo assetto
ordinamentale ed organizzativo’ delle Fondazioni , approvato nell’ultimo
Consiglio dei Ministri prima dello scioglimento delle Camere, prevede ,
implicitamente, un drastico ridimensionamento del numero delle fondazioni.
Occorre ammettere che definire
l’articolato, è stato un lavoro immane, iniziato quando Sandro Bondi era
Ministro e terminato alla fine del 2012. Si è trattato di dare un senso a
molteplici norme (spesso contraddittorie) ed armonizzarle guardando al futuro
ed al resto d’Europa non al passato oppure ad un presente ancora pieno
d’incrostazioni particolaristiche. In effetti, il DPR (che dovrà andare al
vaglio del nuovo Parlamento) è un testo unico che come tutti i testi unici ha
comunque il vantaggio di semplificare normative di settore accavallatesi negli
anni, spesso per rispondere a questa od a quella esigenza (anche più che
legittima) ma senza tener conto del sistema nel suo complesso. Quello per la
lirica è un documento complesso, sul quale si sono divisi i sovrintendenti dei
maggiori teatri e che ha incontrato l’opposizione dei 5.000 dipendenti delle
fondazioni lirico- sinfoniche, i quali perderebbero alcune posizioni di
vantaggio rispetto ai colleghi di ‘teatri di tradizione’.
Il suo punto forte, e più
controverso, è l’articolo 2 è con il
quale si pone un vincolo al finanziamento dello Stato: per essere tale una
‘fondazione’ dovrà coprire la metà del proprio bilancio con entrate proprie
(biglietteria, sponsorizzazioni) e contributi da enti locali (Regioni,
Province, Comuni) , nonché apporto di soci privati. Molti protestano che in
questo modo si uccide la lirica. La norma , però, porta la legislazione italiana in linea con
quella di Stati europei come la Germania, l’Austria e la Francia dove la lirica
non è la sorella povera dello spettacolo dal vivo ma una realtà viva e vivace. Gli
enti locali affermano di essere già troppo oberati: ciò, però, li costringerà a
decidere se utilizzare gli stanziamenti per la cultura a pioggia, se finanziare
la fiera del carciofone o della patata rossa o se contribuire al ‘loro’ teatro,
spesso un gioiello architettonico ricevuto in eredità dalle generazioni
precedenti. Ciò li costringerà anche a ‘mettere bocca’ nella programmazione del
teatro, in cercare sinergie, ad attivare circuiti con istituzioni simili in
Italia ed all’estero. Chi non può o non vuole sostenere la propria ‘fondazione
lirica’, chi non la sente radicata nella propria comunità, subirà
un declassamento: la fondazione (con
finanziamenti statali triennali) diventerà un ‘teatro di tradizione’ (con
finanziamenti statali basati sul numero delle rappresentazioni effettive).
Quando nel 1945 la commissione del
Piano Marshall rise in faccia al Borgomastro di Vienna che aveva posto in cima
alle priorità la ricostruzione della Staatsoper , i viennesi che amavano tanto
il loro teatro da non volerlo relegato nella (allora) periferica Volksoper, non
si persero d’animo: votarono all’unanimità un’imposta di scopo ’ per riportare
il ‘ loro ‘ teatro all’antico splendore . E, dopo la ricostruzione, lo inaugurarono con nove recite (ciascuna con
un titolo differente) in cui tutti (direttori, cantanti, orchestra ,
maestranze) lavorarono gratis, i prezzi dei biglietti erano stracciati e
venduti a lotteria (tale era la domanda). Di recente, a Baltimora si è
polemizzato per la sospensione delle rappresentazioni del Lyric Theatre in
seguito alla crisi finanziaria che ha travolto i finanziatori. Sono stati
organizzati autobus per portare gli appassionati nella vicina Washington
(un’ora e mezza circa di percorso) dove ci sono oltre alla National Opera (il
25% dei cui costi è sovvenzionato dal National Endowment for Arts) altre sei
compagnie d’opera, tutte private ed aiutate solo a livello locale (per di più
dalla Contee, l’equivalente della nostra Regione) . Il 26 dicembre di
quest’anno è stato inaugurato a Erl nel Tirolo (a 80 km da Monaco a Nord e da
Innsbruck a Sud ed a 75 da Salisburgo) un nuovo teatro per opere e concerto
finanziato in parte dal Governo del Tirolo (non da quello federale) ed in parte
da privati; nel primo festival di due settimane (tre opere, sinfonica e
cameristica), il 98,5% degli spettatori erano pubblico pagante. In Cina sono in
costruzione un centinaio di teatri per l’opera e la concertistica occidentale; tutti
a carico delle Province e dei privati.
Non c’è nulla di male nel diventare
‘teatro di tradizione’ se a livello locale non si vuole mostrare il supporto in
maniera concreto: aprendo la borsa e dando priorità al teatro. Oltre tutto
negli ultimi anni alcuni circuiti di ‘teatro di tradizione’ (ad esempio quello toscano
estesosi alla Romagna, quello lombardo estesosi alle Marche) hanno mostrato
innovazione drammaturgica ed utilizzato giovani talenti.
Il punto debole è che non si
prevedono incentivi ‘europei’ per la deduzioni dei contributi privati
dall’imponibile- nel resto d’Europa si aggirano sul 30% dell’elargizione
filantropica mentre in Italia si è al 19%. Altro punto difficile è la
valutazione della qualità della programmazione, elemento che entra nelle
decisioni sull’entità dei finanziamenti. Si può pensare di affidarla alla
Consulta per la Musica del Ministero, ma sono essenziali criteri trasparenti
quali il numero di Premi Abbiati ricevuti, le coproduzioni con grandi teatri
stranieri, le ‘prime’ mondiali.
Inoltre, il testo unico prevede la
sostituzione della contrattazione collettiva nazionale con contrattazioni dei
singoli cori ed orchestre . Questo è l’aspetto che più irrita le maestranze.
Però è anche un aspetto che ci avvicina all’Europa dove in molti casi cori ed
orchestre hanno personalità giuridica autonoma che negozia con i teatri. Ci
sono, senza dubbio, miglioramenti da fare. Speriamo che non finiscano con
snaturare il disegno complessivo.
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