martedì 5 marzo 2013

L’EUROPA, LE BANCHE ED IL GOVERNO in Formiche mensile di marzo




L’EUROPA, LE BANCHE ED IL GOVERNO
Giuseppe Pennisi
Da qualche giorno, si sono avuti i risultati delle elezioni politiche. E’ prematuro,commentare un programma di politica legislativa in materia di economia ancora in gestazione. In un’Italia travagliata dalla crescente disoccupazione e da continue difficoltà di competitività e di finanza pubblica, ed in un’Europa su cui premono scadenza incessanti in vista della riunione dei Capi di Stato e di Governo in programma il 14-15 marzo, c’è il pericolo che  un nodo riapparso violentemente alla vigilia delle elezioni politiche italiane  riceva meno attenzione di quel che richiede. Si tratta del futuro della banking union europea- regole comuni (almeno all’interno dell’eurozona) per la vigilanza bancaria, per le garanzie sui depositi e per strategie (ed azioni) coordinate per supportare istituti che si trovassero temporaneamente in difficoltà. Senza un sistema efficiente di raccolta del risparmio e di impieghi oculati per lo sviluppo di famiglie e di imprese, non c’è crescita. Gran parte dell’Europa rischia di restare in una palude piena di trabocchetti.
Nelle ultime settimane prima delle elezioni italiane, tra grandi gruppi bancari europei si sono trovati in grande difficoltà. I lettori di Formiche sanno tutto-ciò-che-si-deve-sapere sulle vicende del Monte dei Paschi di Siena; mentre la magistratura indaga c’è ,quindi, poco da aggiungere. Nessuno, però, pare avere notato che la sera del primo febbraio, appena sono stati chiusi i mercati, il Governo dei Paesi Bassi ha nazionalizzato la più grande banche del Paese (la SNS Reaal) e contemporaneamente imposto a tre dei maggiori istituti olandesi (ING, ABN Amro, e Rabobank – a dare vita ad un fondo di un miliardo di euro per fare fronte assieme a interventi che si rendessero necessari. Quella della SNS Reaal è la prima nazionalizzazione di grandi banche in Europa dopo quella di Bankia effettuata in Spagna (il cui sistema bancario è ancora in grandi sofferenze). In parallelo, la ‘solidissima’ Deutsche Bank, accusata di avere orchestrato nell’autunno 2011 la manovra per fare andare alle stelle lo spread di titoli italiani rispetto a quelli tedeschi, ha presentato , in febbraio, ai propri organi di governo, una relazione all’insegna di perdite dette ed annunciato la vendita (o meglio la ‘messa in liquidazione’) di rami d’azienda per risanare i propri conti e ricapitalizzare. Attenzione: nel panorama europeo la  Deutsche Bank è stata considerata uno degli istituti in migliore salute anche nei momenti più gravi della crisi. Le sue difficoltà, quindi, suonano come un campanello d’allarme non solo per la Repubblica Federale ma per tutta Europa.
Lo dice a tutto tondo un documento (poco letto in Italia anche perché redatto in tedesco): il lavoro di Matthias Kä-Hler del servizio studi della banca centrale della Repubblica federale (Workin Paper No. 33/2012) che alla fine dell’anno scorso si domandava ‘quali banche presentano i maggiori elementi di rischio ’ . Matthias Kä-Hler applica il medesimo ‘ modello di rischio ‘ ad un vasto campione di istituti di credito (anche non quotati in Borsa – questa è una vera innovazione) nell’Unione Europea a 15; convalida non solo un’ovvietà (‘ chi presta di più ha maggiori rischi ‘ ) ma dimostra anche che quanto più un istituto è grande – e quindi too big to fail – tanto più tende ad operare in comparti pericolosi , incluse  attività tecnicamente ‘ fuori bilancio ’. La conclusione è quella di andare verso un modello bancario europeo, ma ciò presuppone quella banking union che non tutti a Francoforte ed a Berlino sembrano desiderare. Tanto che per ora si sta cercando di andare verso solo uno dei tre capitoli (regole per la vigilanza comune) e sembrano accantonati gli altri due (regole comuni per la garanzia dei depositi e per azioni nei confronti di istituti in difficoltà).



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