L’EUROPA,
LE BANCHE ED IL GOVERNO
Giuseppe Pennisi
Da qualche giorno,
si sono avuti i risultati delle elezioni politiche. E’ prematuro,commentare un
programma di politica legislativa in materia di economia ancora in gestazione.
In un’Italia travagliata dalla crescente disoccupazione e da continue
difficoltà di competitività e di finanza pubblica, ed in un’Europa su cui
premono scadenza incessanti in vista della riunione dei Capi di Stato e di
Governo in programma il 14-15 marzo, c’è il pericolo che un nodo riapparso violentemente alla vigilia
delle elezioni politiche italiane riceva
meno attenzione di quel che richiede. Si tratta del futuro della banking union europea- regole comuni
(almeno all’interno dell’eurozona) per la vigilanza bancaria, per le garanzie
sui depositi e per strategie (ed azioni) coordinate per supportare istituti che
si trovassero temporaneamente in difficoltà. Senza un sistema efficiente di
raccolta del risparmio e di impieghi oculati per lo sviluppo di famiglie e di
imprese, non c’è crescita. Gran parte dell’Europa rischia di restare in una
palude piena di trabocchetti.
Nelle ultime
settimane prima delle elezioni italiane, tra grandi gruppi bancari europei si
sono trovati in grande difficoltà. I lettori di Formiche sanno tutto-ciò-che-si-deve-sapere sulle vicende del Monte
dei Paschi di Siena; mentre la magistratura indaga c’è ,quindi, poco da
aggiungere. Nessuno, però, pare avere notato che la sera del primo febbraio,
appena sono stati chiusi i mercati, il Governo dei Paesi Bassi ha
nazionalizzato la più grande banche del Paese (la SNS Reaal) e
contemporaneamente imposto a tre dei maggiori istituti olandesi (ING, ABN Amro,
e Rabobank – a dare vita ad un fondo di un miliardo di euro per fare fronte
assieme a interventi che si rendessero necessari. Quella della SNS Reaal è la
prima nazionalizzazione di grandi banche in Europa dopo quella di Bankia
effettuata in Spagna (il cui sistema bancario è ancora in grandi sofferenze). In
parallelo, la ‘solidissima’ Deutsche Bank, accusata di avere orchestrato
nell’autunno 2011 la manovra per fare andare alle stelle lo spread di titoli italiani rispetto a
quelli tedeschi, ha presentato , in febbraio, ai propri organi di governo, una
relazione all’insegna di perdite dette ed annunciato la vendita (o meglio la
‘messa in liquidazione’) di rami d’azienda per risanare i propri conti e
ricapitalizzare. Attenzione: nel panorama europeo la Deutsche Bank è stata considerata uno degli
istituti in migliore salute anche nei momenti più gravi della crisi. Le sue
difficoltà, quindi, suonano come un campanello d’allarme non solo per la
Repubblica Federale ma per tutta Europa.
Lo dice a tutto
tondo un documento (poco letto in Italia anche perché redatto in tedesco): il
lavoro di Matthias Kä-Hler del servizio studi della banca centrale della
Repubblica federale (Workin Paper No. 33/2012) che alla fine dell’anno scorso
si domandava ‘quali banche presentano i maggiori elementi di rischio ’ .
Matthias Kä-Hler applica il medesimo ‘ modello di rischio ‘ ad un vasto
campione di istituti di credito (anche non quotati in Borsa – questa è una vera
innovazione) nell’Unione Europea a 15; convalida non solo un’ovvietà (‘ chi
presta di più ha maggiori rischi ‘ ) ma dimostra anche che quanto più un
istituto è grande – e quindi too big to
fail – tanto più tende ad operare in comparti pericolosi , incluse attività tecnicamente ‘ fuori bilancio ’. La
conclusione è quella di andare verso un modello bancario europeo, ma ciò
presuppone quella banking union che
non tutti a Francoforte ed a Berlino sembrano desiderare. Tanto che per ora si
sta cercando di andare verso solo uno dei tre capitoli (regole per la vigilanza
comune) e sembrano accantonati gli altri due (regole comuni per la garanzia dei
depositi e per azioni nei confronti di istituti in difficoltà).
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