La violenza sulle donne raccontata da Britten
di Giuseppe
Pennisi
La guerra è sinonimo di violenza assoluta,
ma quella contro le donne è la più turpe. Questo il messaggio di The rape of
Lucretia di Benjamin Britten (di cui di ricorre il centenario dalla nascita).
Ha debuttato a Ravenna il 22 marzo e per due mesi è in viaggio in Emilia, per
poi approdare al Maggio Fiorentino.
L'apologo (con finale a sorpresa) si svolge nella Roma del 500 a.C. durante
il regno di Tarquinio il Superbo. Britten lo compose nel 1945 non solo sotto
l'influenza del conflitto bellico ma soprattutto per indicare una nuova via al
teatro in musica: un'opera vera e propria di 110 minuti (in cui l'esperienza
del melodramma si fonde che quella inglese) con 12 solisti in buca e 8
cantanti-attori di cui una voce maschile e una femminile che fungono da coro.
L'allestimento di Roberto Abbado, che realizza un palcoscenico a due livelli e
impiega in modo astuto proiezioni che attualizzano il morality play dà
l'impressione di assistere a un colossal. Jonathan Webb è alla guida di 12
strumentisti dell'orchestra del Maggio Musicale fiorentino in grado di
affrontare la complessa partitura senza mai sovrastare le voci (si comprende
ogni parola), ma creando sonorità sinfoniche negli intermezzi. Il cast vocale è
stato scelto con cura: Julianne Young (Lucretia), John Daszak (coro maschile),
Cristina Zavalloni (coro femminile), e Joshua Bloom (Collatino) ricordano Janet
Baker, Peter Pears, Heather Harper e John Shirley-Quirk. Ossia i cantanti per
cui Britten concepì i ruoli e che concertò in una registrazione ancora
ritrovabile. Un'edizione esemplare, specialmente in una fase come quella
attuale. (riproduzione riservata)
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