Lirica, il
thriller di Janácek conquista la Fenice
DI GIUSEPPE PENNISI D
elle opere di Leoš Janácek, Il caso Makropulos è quella che più si è vista ed ascoltata in Italia negli ultimi anni. Un’edizione curata da Luca Ronconi, in versione ritmica italiana, è stata in scena a Torino, Bologna, Napoli ed in lingua originale alla Scala. Un’altra edizione (con la regia di William Friedkin e la concertazione di Zubin Mehta) ha avuto successo a Firenze. La scelta della traduzione ritmica ha una ragione: come il dramma di Karel Capek, da cui è tratta, l’opera ha la guisa di un serrato 'giallo' giudiziario (la ricerca di un documento risolutivo in una vertenza che dura da cento anni), anche se tratta essenzialmente di temi etico-filosofici come immanenza e trascendenza. Non è da preferirsi alla lingua originale poiché nella scrittura vocale note e parole si plasmano a vicenda sino all’immenso arioso finale. Le voci sono sorrette da un’orchestra in magico equilibrio tra il melodismo nostalgico slavo e il sinfonismo di Richard Strauss, con influenze di Debussy. In breve, un ininterrotto mormorio, inafferrabile e inclassificabile, e provvisto di temi di assoluta originalità, nonché di delicatezza impressionistica e di calligrafismo sonoro. L’allestimento a Venezia sino al 23 marzo è coprodotto da La Fenice con il teatro lirico di Norimberga e i tre teatri che formano l’Opéra du Rhin. Si è anche visto al Covent Garden e nel Nord della Gran Bretagna. Potrebbe toccare altre città italiane le prossime stagioni. La regia di Robert Carsen (scene e costumi sono di Radu e Miruna Bruzescu) mantengono l’ambientazione al tempo in cui l’opera venne scritta, situandola specificatamente – la protagonista è una cantante lirica – nei giorni della 'prima' a Praga della Turandot di Giacomo Puccini. Una Praga kafkiana in cui si dipana il thriller della ricerca di una ricetta di lunga vita che ha consentito alla cantante di vivere 327 anni (restando sempre giovane e bella) ma che ora sta esaurendo la sua efficacia. Ritrovatale, E.M. (queste iniziali la hanno accompagnata per oltre tre secoli, pur cambiando nomi e nazionalità) deve decide se continuare la propria avventura terrena: sceglie di andare verso l’Alto.
L’opera – come altre di Janácek – in effetti tratta del valore e della durata della vita come esperienza terrena. Gabriele Ferro concerta con cura e attenzione una partitura tutt’altro che facile, dandole una patina lirica che la rende scorrevole e misteriosa. Interessante la scelta della protagonista; negli ultimi anni si è spesso optato per un soprano drammatico (Raina Kabaivanska nella versione in italiano, Angela Denoke a Firenze, Salisburgo e nei principali teatri tedeschi). In questo allestimento, si torna ad un soprano lirico 'spinto' come previsto da Janácek. Ángeles Blancas Gulín dà al ruolo una dolcezza e anche una fragilità (di fronte alle grandi scelte della vita e della morte) che, negli ultimi vent’anni, ho ascoltato dal vivo solo in una straordinaria interpretazione di Anja Silja nel 2000 ad Aix-en-Provence. Buono il resto della compagnia con due giovani tenori (Enrico Casari e Ladislav Elgr) di livello.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Carsen ambienta «Il caso Makropulos» durante la prima di Turandot a Praga Grande interpretazione di Ángeles Blancas Gulín
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