A Cipro si
sta intonando il De Profundis dell’idea di Europa federale
24 - 03 - 2013Giuseppe Pennisi
La crisi di Cipro, inizialmente sottovalutata a ragione delle piccole
dimensioni della Repubblica (una popolazione di meno di un milione di abitanti,
un Pil di circa 17 miliardi di euro), sta diventando aspetto fondante di quella
che sarà l’Europa di domani.
Non sappiamo ancora, al momento in cui viene scritta questa nota, se e come
l’Eurogruppo ed il Governo cipriota riusciranno a tamponare una crisi che, come
ha scritto Niccolò Localli su Limes, ha tutte le
caratteristiche di essere sistemica sotto il profilo sia economico-finanziario,
sia geopolitico sia politico-emotivo.
Vediamo gli aspetti tecnici dal punto di vista economico-finanziario. Una
settimana fa, l’accordo (ove ci sia stato) tra la troika (Banca centrale
europea, Bce; Commissione europea, Fondo monetario internazionale), da un lato,
e governo cipriota, dall’altro, o, se si vuole, la proposta della troika a
Nicosia. non solo soffriva di grave carenze tecniche ma uccideva l’‘unione
bancaria” europea prima ancora che nascesse, creando forti dubbi sulla stessa
possibilità di sopravvivenza nel medio e lungo termine dell’unione monetaria
europea (quale la conosciamo oggi).
Una nuova versione è stata redatta e prevede un forte prelievo sui conti
correnti e sui conti di deposito più consistenti (di cui sono presumibilmente
titolari russi, ucraini e vari individui e organizzazioni interessate a operare
in un sistema bancario a rischio e opaco). Se verrà accettato e attuato, tale
schema non penalizzerà duramente piccoli risparmiatori e famiglie ma aprirà un
problema geopolitico con uno dei principali fornitori di materie prime
(petrolio, gas, antracite) dell’Unione Europea (Ue) nonché con uno dei maggiori
mercati di sbocco per l’export europeo. Sferrerà comunque un colpo durissimo
alla nascente unione bancaria invalidando la certezza delle regole in materia
di tutela del risparmio e rendendo molto aleatoria l’eventuale “armonizzazione”
delle norme sulle garanzie ed assicurazioni dei depositi.
Ammesso che questi scogli vengano superati, resta un interrogativo di
fondo: cosa fare per evitare il contagio senza imporre un “cordone sanitario”
(che non sarebbe in linea con i trattati Ue) in una fase in cui numerose banche
del nocciolo duro dell’eurozona (ad esempio, Mts) hanno nelle loro scritture
contabili elevate proporzioni di titoli di cui nessuno sa il valore? Le bozze
in circolazione del World Economic Outlook del Fmi affermano che l’Italia
rappresenta un rischio per l’economia europea e mondiale a ragione
dell’incertezza politica ma fanno anche capire che tale rischio è aggravato
dalle possibilità di contagio.
La crisi greca, prima, e cipriota, poi, dovrebbe indurci a chiedere come
mai questi due Stati fanno parte di quella eurozona che dovrebbe essere un
‘club esclusivo’? Sappiamo che l’Eurostat aveva mostrato perplessità che il
Presidente della Commissione, Romano Prodi, risolve rimuovendone il direttore
generale (vedere Formiche.net del 12 marzo). Cipro entrò, per
così dire, nel ‘mucchio’ dei neo-comunitari senza che nessuno si preoccupasse
proprio di depositi bancari pari a tre volte il Pil a ragione di un sistema
essenzialmente modellato sulla “lista nera” dei Caraibi per servire oligarchi
ed interessi poco commendabili.
Tutto ciò dovrebbe indurre a fare un bilancio dell’UE ed a tracciare
prospettive per il futuro. Un’occasione la offre un seminario di alto livello
organizzato a Bruxelles dalla Fondazione Astrid il 26 marzo in occasione della
presentazione del volume Prove di Europa Unita: Le Istituzioni Europee
di Fronte alla crisi curato da Giuliano Amato e Roberto Gualtieri.
Non volendo anticipare le riflessioni in quella sede, mi sembra utile fare
alcune considerazioni in quanto spettatore privilegiato del processo
d’integrazione europea da quando, nel 1966, Altiero Spinelli mi fece entrare
nella famiglia dell’Istituto Affari Internazionali (IAI).
In primo luogo, l’UE (nelle varie forme e guise assunte in questi circa 60
anni) è riuscita nell’obiettivo del Manifesto di Ventotene, redatto
da Colorni, Spinelli e Rossi quando erano al confino: impedire nuove guerre in
Europa e soprattutto che nuove guerre mondiali nascessero nel Vecchio
Continente.
In secondo luogo, non è riuscita negli altri obbiettivi che via via la
mastodontica burocrazia di Bruxelles e Lussemburgo hanno proposto e sono stati
acquisiti. Sotto il profilo economico, siamo lontani da un mercato unico non
solo perché esistono ancora vincoli di ogni genere ma perché un intero settore
– l’agricoltura – è sottratto alle regole del libero scambio interno ed
internazionale.
Sotto il profilo della politica economica internazionale, possiamo vantare
unicamente la partecipazione “europea” ai negoziati multilaterali (grazie
all’insistenza di Gaetano Martino alla conferenza di Messina nel lontano 1956);
nelle istituzioni finanziarie internazionale (Fmi, Banca mondiale, ecc.) gli
europei hanno seggi distinti e votano spesso in maniera difforme e non
coordinata. In materia di politica di difesa, al più intoniamo insieme Over
there, over there, yankees are every where, la vecchia canzone scritta
da E.G. Cohan per le truppe Usa che partivano per la Prima Guerra Mondiale
(ossia chiamiamo gli americani). La politica estera europea è una barzelletta:
un Alto Rappresentante di cui nessuno prende nota, una rete di costose simili-
ambasciate (quella a Fiji costa 32 milioni di euro l’anno), nessun
coordinamento tra le sedi diplomatiche e consolari dei 27, o anche solamente
del nucleo centrale dei 15.
E la tanto vantata unione monetaria? Effettuata frettolosamente sulla
spinta dell’unificazione tedesca, avrebbe dovuto essere, da un lato, il
coronamento di un’integrazione “irrevocabile” ed il grimaldello per ulteriori
progressi. Numerosi economisti avevano sottolineato che, così come redatti, i
trattati poco avevano a che fare con la disciplina economica. Alcuni le preconizzarono
foriera di guai. Uno dei più noti economisti americani, Martin Feldstein, e uno
dei maggiori economisti italiani, Alberto Alesina, la preconizzano fonte di
tensioni (anche armate) e lacerazione in due saggi distinti scritti quasi in
parallelo. Il secondo venne licenziato in tronco dal Ministero del Tesoro (di
cui era consulente). In nuovo saggio recente, il primo ha documentato come i
fatti gli abbiano dato ragione.
Cosa fare a questo punto? A Cipro si sta intonando il De
Profundis dell’idea dell’Europa federale. La prima cosa da fare
consiste nel minimizzare i danni: prendere sul serio di un’unione monetaria a
due corsie con un guldenmark che leghi i Paesi più competitivi
a cui l’euro sia agganciato con un crawling peg. In tempi
differenti, ha funzionato così l’unione monetaria latina (dal 1865 al 1927).
Ne sono esistite anche in periodi storici più recenti: ad esempio, un
sistema a due corsie ha facilitato il riassetto dell’unione monetaria dell’Ex
URRS, riducendone i costi. Occorre, poi, pensare a meccanismi istituzionali a
più cerchie (ed il libro di Amato e Gualtieri fornisce utili indicazioni).
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