L’unione
bancaria europea sta morendo a Nicosia
L’Italia non resterebbe immune. Se
perde credibilità la garanzia cipriota sui prime 100.000 euro di deposito, ne
soffre anche quella identica in vigore a casa nostra
di Giuseppe Pennisi - 18 marzo 2013
19:06 fonte ilVelino/AGV NEWS Roma
In una piccola città divisa in due, Nicosia, - i quartieri meridionali sono
la capitale della Repubblica di Cipro (membro dell’Unione Europea, Ue), quelli
settentrionali la capitale della Repubblica Turco-Cipriota - sta morendo
l’unione bancaria europea. Vediamo perché.
L’unione bancaria si basa su tre pilastri : a) un sistema comune di
vigilanza (che sta avanzando a passi di lumaca); b) un metodo comune di
assistenza agli istituti in temporanee difficoltà (l’accordo, tra le banche
prima ancora che tra gli Stati, pare lontano; c) un sistema di garanzie
‘armonizzato’ per i depositi in conto corrente bancario (le trattative, non
facili, in corso, sono state bloccate). Infatti, l’imposta sui saldi di conto
corrente prevista nel programma di aiuti a Cipro minaccia di fare saltare ogni
possibile ‘armonizzazione’.
Cipro – occorre ricordarlo – ha un meccanismo ‘assicurativo’ identico a quello in vigore in Italia: sono ‘garantiti’ (tramite un’assicurazione ed un fondo comune interbancario) depositi sino a 100.000 euro. L’assicurazione/garanzia, però, non scatta se viene introdotta un’imposta.
Il ragionamento dell’eurocrazia è semplice. Cipro è stata per anni un ‘paradiso bancario’ dove affluiscono capitali a breve termine (molti dalla Federazione Russia e dalla Repubblica Ucraina stimati per 68 miliardi di euro) attirati da regolamentazione lasca, alti tassi d’interesse e facilità di ingresso e di uscita. Con l’imposta, da un lato, si colpisce la speculazione e, da un altro, il risanamento viene ‘condiviso’ dalla popolazione (spesso collegata con interessi stranieri opachi) e non pesa unicamente sul fragile sistema bancario cipriota. Ragioni valide, anche se il moralismo non rende necessariamente saggia la politica economica.
Facciamo quattro conti. Cipro necessita 17 miliardi di euro di aiuti (il 100% del Pil). L’Ue ed il Fondo monetario riescono a metterne insieme 10. Ne restano 7, di cui l’imposta sui depositi ne fornirebbe 5,8 ; il resto verrebbe da tagli alle spese e dalla consueta medicina ‘troika’. Senza i 5,8 miliardi – si dice a Bruxelles – crolla il piano e Cipro va a fondo.
Tuttavia, così come l’imposta è strutturata (un’aliquota del 6,75% sui primi 100.000 euro di un conto ed una di 9,9% sul resto) si finisce, come ‘La Peste’ di Camus, con il colpire a destra e a manca (pensando molto sui piccoli risparmiatori) e con appena scalfire gli speculatori, sia cittadini ciprioti sia stranieri. Non solo, si chiude per sempre il discorso sull’‘armonizzazione’ della garanzie sui depositi, mandando all’aria le flebili speranza di un’unione bancaria. Il gettito di 5,8 miliardi si potrebbe avere concentrando l’imposizione sui saldi dei depositi che superano 100.000 euro. L’aliquota dovrebbe essere del 15%. Si ferirebbero gli speculatori, irritando – è vero – russi ed ucraini – ma salvando le premesse di giungere un giorno ad un’unione bancaria europea.
L’Italia non resterebbe immune. Se perde credibilità la garanzia cipriota sui prime 100.000 euro di deposito, ne soffre anche quella identica in vigore a casa nostr
Cipro – occorre ricordarlo – ha un meccanismo ‘assicurativo’ identico a quello in vigore in Italia: sono ‘garantiti’ (tramite un’assicurazione ed un fondo comune interbancario) depositi sino a 100.000 euro. L’assicurazione/garanzia, però, non scatta se viene introdotta un’imposta.
Il ragionamento dell’eurocrazia è semplice. Cipro è stata per anni un ‘paradiso bancario’ dove affluiscono capitali a breve termine (molti dalla Federazione Russia e dalla Repubblica Ucraina stimati per 68 miliardi di euro) attirati da regolamentazione lasca, alti tassi d’interesse e facilità di ingresso e di uscita. Con l’imposta, da un lato, si colpisce la speculazione e, da un altro, il risanamento viene ‘condiviso’ dalla popolazione (spesso collegata con interessi stranieri opachi) e non pesa unicamente sul fragile sistema bancario cipriota. Ragioni valide, anche se il moralismo non rende necessariamente saggia la politica economica.
Facciamo quattro conti. Cipro necessita 17 miliardi di euro di aiuti (il 100% del Pil). L’Ue ed il Fondo monetario riescono a metterne insieme 10. Ne restano 7, di cui l’imposta sui depositi ne fornirebbe 5,8 ; il resto verrebbe da tagli alle spese e dalla consueta medicina ‘troika’. Senza i 5,8 miliardi – si dice a Bruxelles – crolla il piano e Cipro va a fondo.
Tuttavia, così come l’imposta è strutturata (un’aliquota del 6,75% sui primi 100.000 euro di un conto ed una di 9,9% sul resto) si finisce, come ‘La Peste’ di Camus, con il colpire a destra e a manca (pensando molto sui piccoli risparmiatori) e con appena scalfire gli speculatori, sia cittadini ciprioti sia stranieri. Non solo, si chiude per sempre il discorso sull’‘armonizzazione’ della garanzie sui depositi, mandando all’aria le flebili speranza di un’unione bancaria. Il gettito di 5,8 miliardi si potrebbe avere concentrando l’imposizione sui saldi dei depositi che superano 100.000 euro. L’aliquota dovrebbe essere del 15%. Si ferirebbero gli speculatori, irritando – è vero – russi ed ucraini – ma salvando le premesse di giungere un giorno ad un’unione bancaria europea.
L’Italia non resterebbe immune. Se perde credibilità la garanzia cipriota sui prime 100.000 euro di deposito, ne soffre anche quella identica in vigore a casa nostr
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