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giovedì 28 marzo 2013
I Festival di musica pasquale in Quotidiano Arte 29 marzo
La violenza sulle donne raccontata da Britten in Milano Finanza 29 marzo
La violenza sulle donne raccontata da Britten
di Giuseppe
Pennisi
La guerra è sinonimo di violenza assoluta,
ma quella contro le donne è la più turpe. Questo il messaggio di The rape of
Lucretia di Benjamin Britten (di cui di ricorre il centenario dalla nascita).
Ha debuttato a Ravenna il 22 marzo e per due mesi è in viaggio in Emilia, per
poi approdare al Maggio Fiorentino.
L'apologo (con finale a sorpresa) si svolge nella Roma del 500 a.C. durante
il regno di Tarquinio il Superbo. Britten lo compose nel 1945 non solo sotto
l'influenza del conflitto bellico ma soprattutto per indicare una nuova via al
teatro in musica: un'opera vera e propria di 110 minuti (in cui l'esperienza
del melodramma si fonde che quella inglese) con 12 solisti in buca e 8
cantanti-attori di cui una voce maschile e una femminile che fungono da coro.
L'allestimento di Roberto Abbado, che realizza un palcoscenico a due livelli e
impiega in modo astuto proiezioni che attualizzano il morality play dà
l'impressione di assistere a un colossal. Jonathan Webb è alla guida di 12
strumentisti dell'orchestra del Maggio Musicale fiorentino in grado di
affrontare la complessa partitura senza mai sovrastare le voci (si comprende
ogni parola), ma creando sonorità sinfoniche negli intermezzi. Il cast vocale è
stato scelto con cura: Julianne Young (Lucretia), John Daszak (coro maschile),
Cristina Zavalloni (coro femminile), e Joshua Bloom (Collatino) ricordano Janet
Baker, Peter Pears, Heather Harper e John Shirley-Quirk. Ossia i cantanti per
cui Britten concepì i ruoli e che concertò in una registrazione ancora
ritrovabile. Un'edizione esemplare, specialmente in una fase come quella
attuale. (riproduzione riservata)
Con Bersani che insegue Grillo è finito il sogno del Pd in Formiche del 28 marzo
Con
Bersani che insegue Grillo è finito il sogno del Pd
28 - 03 -
2013Giuseppe Pennisi
Circa cinque anni fa,
ridotta l’Unione di Prodi ad un cumulo di
macerie e sotterrato per sempre quell’Ulivo (che ebbe fugacemente anche
ambizioni mondiali lanciate in un convegno a Firenze), Walter Veltroni presentò
la proposta di un Partito Democratico, molti pensarono che, finalmente, la
sinistra italiana si sarebbe data un assetto (non solo un volto) europeo.
Avrebbe, quindi, avuto come suo punto centrale un partito socialdemocratico
orientato ad un’economia sociale di mercato di stampo europeo.
Già allora, quando
venne il momento della prima consultazione elettorale, sorsero dubbi:
l’alleanza con il piccolo ma vocale Italia dei Valori da toni giustizialisti
che in Europa lo porrebbero vicino al Front National francese e l’esclusione
del Partito Socialista inducevano a dubitare che il progetto si sarebbe
realizzato. Tuttavia, la sconfitta elettorale nel 2008 induceva a pensare che
la XVI Legislatura sarebbe stata una fase importante per far nascere una socialdemocrazia
di governo dai banchi dell’opposizione. Un’esperienza analoga era stata fatta
in Francia. Con successo.
Inoltre, l’assunzione della Segreteria da parte di Bersani conteneva
promesse e speranze dato che nel periodo passato al Ministero dell’Economia e
delle Finanze, l’ex Presidente della Regione Emilia-Romagna aveva tentato,
almeno in parte, di avviare una fase di liberalizzazioni (le “sventolate”).
Infine, i 14 mesi della “strana maggioranza” avevano lanciato segnali positivi
nel senso che in politica economica il Pd intendeva coniugare rigore e
crescita, riprendendo anche il sentiero di liberalizzazioni e privatizzazioni.
Purtroppo, però, invece di un’opposizione costruttiva ed alternativa, nella
legislatura ha puntato solo a demonizzare l’avversario e a distruggerlo.
Studiosi americani (distinti e distanti dalla nostre beghe) parlano di virus
stalinista ed evocano anche Beria quando fanno riferimento all’evoluzione del
Pd italiano.
Questo sogno di una socialdemocrazia italiana ha cominciato ad infrangersi quando, negli ultimi della legislatura, il Pd è stato il principale
ostacolo alla riforma della legge elettorale, nella convinzione di poter
vincere ed ottenere un forte premio di maggioranza. Sempre nel disegno tattico
delle elezioni, si è alleato con Sel che di socialdemocratico europeo non vuole
avere neanche le parvenze. Risultato perdente, anche se a ragione della legge
elettorale “miglior perdente” per appena 120mila voti, ha condotto le
consultazioni per la formazione di un governo tralasciando i temi economici
(che sono centrali al presente ed al futuro del Paese), parlando in termini
vaghi (otto punti dove c’è tutto ed il contrario di tutto). Non solo ma con
meno di un terzo degli elettori ha puntato soltanto su una (improbabile) spaccatura
del M5S al vecchio scopo di non avere avversari a sinistra e si è rifiutato di
considerare una “grande coalizione” analoga a quella che in dieci anni ha
trasformato la Germania.
Ora la socialdemocrazia del Pd sembra un vestitino per celare antichi vizi.
Ed è un vestitino stracciato.
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