Valutare le infrastrutture
di Giuseppe Pennisi
5 min. QQuale che sarà le scenario futuro europeo
ed italiano per la progettazione
ed il finanziamento delle infrastrutture
nei prossimi anni, appare necessario
riesaminare i parametri di valutazione
per le singole operazioni ed i criteri per
selezione, a fonte di inevitabili vincoli
di bilancio, quelli che meglio contribuiscono agli obiettivi
della società. Credo sia utile iniziare ad accennare a
quella che potrebbe diventare una nuova linea di ricerca
In sintesi, la caratteristiche del “dopo crisi” paiono essere
due:
• La prima a carattere più generale interessa il mondo
intero e riguarda come andare “oltre il Pil” come misura
di benessere nazionale. Il Pil come misura di benessere
nazionale è alla base di gran parte della manualistica
sulla valutazione e selezione delle infrastrutture.
• La seconda , a carattere principalmente europeo, riguarda
come andare da un modello di sviluppo che
dalla fine della seconda guerra mondiale ha fatto perno
sulla crescita trainata dall’export (e, quindi, ha ipotizzato
crescenti disavanzi dei conti con l’estero Usa e
saldi attivi invece in quelli dell’Europa con il resto del
mondo) ad un modello di crescita basato invece sulla
soddisfazione di bisogni collettivi interni all’Europa (infrastrutture,
ambiente, capitale umano, salute, cultura,
tutela del patrimonio di beni culturali e del paesaggio)
e del miglioramento sostenibile, quindi, della qualità
della vita.
Un’ampia rassegna dei tentativi per andare “oltre il Pil”
è stata pubblicata da Marc Fleurbeay delle Università
di Parigi “Descartes” e di Lovanio. Sul tema, sono in
corso numerosi studi internazionali; in Italia ha cominciato
ad operare una Commissione CNEL-ISTAT. Al
momento , a mio avviso, il lavoro di Fleurbeay rappresenta,
a mio avviso, il meglio di quanto disponibile in
un mercato spesso caratterizzato da saggistica approssimativa.
Una sintesi efficace del secondo punto è nel breve
ma eloquente saggio di Paolo Guerrieri e Pier Carlo
Padoan. I due lavori sembrano distanti sia in termini di
approccio (una rigorosa rassegna della letteratura, oltre
400 titoli, il primo; un pamphlet volutamente divulgativo
per smuovere i decision maker il secondo) sia in termini
di conclusioni ( problematico il primo sulle caratteristiche
delle “serie alternative al Pil che sarebbero alle
porte; più definitivo nelle sue conclusioni il secondo).
Hanno, soprattutto, un messo in comune che riguarda
sia i Governi sia le imprese: nel “dopo crisi”: in linea
con un affinamento della definizione e del mondo di
computare il Pil che tenga conto di tre scuole di pensiero
(l’economia del benessere, l’economia delle libertà,
ed il perfezionismo contabile) , l’accento è delle politiche
pubbliche e delle operazioni delle “intraprese private”
dovrà essere sul medio e sul lungo periodo e non
più sul breve periodo (che pare avere caratterizzato gli
ultimi lustri).
Ciò ha una conseguenza implicita per di cui non credo
ci sia ancora piena consapevolezza tra gli operatori:
come valutare politiche , strategie ed investimenti a
lungo termine, specialmente quelli caratterizzati da un
lungo periodo di gestazione prima di fornire flussi di
ricavi all’impresa e/o di benefici alla collettività.
Emergono questi spunti di riflessione:
1. Le politiche e gli investimenti aziendali (anche per
le infrastrutture) devono remunerare gli investitori ad
un tasso che non sia inferiore al costo opportunità del
capitale. Quali misure adottare quando una politica od
investimento abbia un valore economico per la collettività
nel lungo periodo ( una gamma di investimenti che
va dalla tutela del patrimonio artistico e paesaggistico
alla televisione digitale terrestre) ma che potrebbe avere
risultati insoddisfacenti nel breve periodo. In passato, il
divario veniva colmato da varie forme e guise di aiuto di
Stato – oggi non più contemplabile a ragione non solo
6
economia & mercato
Synthesis
della normativa UE ma anche dei vincoli di bilancio.
Occorre, quindi, pensare di colmare il divario con la regolazione
; nazionale od europea? I grandi investimenti
europei – ad esempio le reti trans europee – non dovrebbero
essere il grimaldello per una regolazione europea?
Specialmente una “regolazione” che dia certezze di
stabilità e di non essere frequentemente mutata sotto la
spinta d’interessi particolaristici pure di breve periodo.
2. Le politiche e gli investimenti pubblici (a supporto
del miglioramento della qualità della vita) avranno effetti
anche sulle generazioni future , che in molti casi ne
saranno le principali beneficiarie. Ciò solleva due ordini
di interrogativi. In primo luogo, secondo Ocse e Banca
mondiale, il tasso di attualizzazione utilizzato per valutare
l’investimento pubblico in molti Paesi UE (a lungo
la Francia è stata un’eccezione) e dalla Commissione
Europea riflette il vincoli di bilancio pubblico e misura
il declino del valore sociale delle risorse pubbliche
liberamente utilizzabili. Non è il caso di seguire invece
la più antica proposta di Dasgupta-Sen-Marglin di scegliere
un tasso di attualizzazione che rispecchi il tasso
d’interesse sui consumi. Secondo stime disponibili (anche
da me effettuate) il primo approccio comporta un
tasso di attualizzazione sull’8%, il secondo sul 2,5%; il
primo non “cattura” quindi costi e benefici alla collettività
nel lungo periodo. Né l’uno né l’altro, poi, “catturano”
costi e benefici alle generazioni future : due scuole
si confrontano su “come farlo”, ambedue sono cariche
d’implicazioni di politica pubblica. Non è il caso di promuovere
un’intesa a livello europeo?
3. Le metodologie di analisi delle politiche e degli investimenti
, anche privati, hanno posto l’accento sin dagli
Anni Settanta su come coniugare efficienza (intensa nel
senso di redditività) con efficacia (intensa nel senso di
distribuzione del reddito e, in un secondo tempo, delle
opportunità). In materia si sono sviluppati metodi, tecniche
e procedure basate sulle “ponderazioni variabili”
dei costi e dei benefici a seconda dei livelli di reddito
o di consumo delle varie categorie di soggetti coinvolti
nell’”intrapresa”. Nel Ventunesimo secolo, ed in Paese
avanzati ad economia di mercato, l’enfasi si deve spostare
a come coniugare il breve e medio con il lungo
termine. Dato che previsioni e scenari (specialmente se
contro fattuali) a lungo termine, sono ardui da costruire
con un grado realistico di accuratezza, non è il caso di
Lo scenario futuro
europeo ed italiano
per la progettazione
ed il finanziamento
delle infrastrutture sarà,
nel dopo crisi, in linea
con l’affinamento
della definizione
e del modo di computare
il PIL e con l’accento
di politiche pubbliche
sul medio e lungo periodo
“
“
spostare l’accento, nella CSR, dall’analisi del rischio
all’analisi dell’incertezza?
4. E’ invalsa la prassi, promossa di numerose società
di studi e consulenza, di quantizzare i benefici degli
interventi per beni intangibili (ad esempio gli investimenti
in beni culturali ed infrastrutture ad esse attieni)
in base alle stime del turismo culturale da essi attivati.
Tale metodo non solamente non tiene adeguatamente
conto dei costi sociali spesso associati al turismo ma
non ha più legittimità accademico-professionale. Non
è il caso di promuovere tecniche di “valutazioni contingenti”
ormai ampiamente in uso anche in Italia in
numerosi settori afferenti al capitale umano ed all’intangibile?
7
Synthesis
Per un nuovo sistema di governance
dell’Unione europea
di Sandro Gozi
8 min. L’
di Giuseppe Pennisi
5 min. QQuale che sarà le scenario futuro europeo
ed italiano per la progettazione
ed il finanziamento delle infrastrutture
nei prossimi anni, appare necessario
riesaminare i parametri di valutazione
per le singole operazioni ed i criteri per
selezione, a fonte di inevitabili vincoli
di bilancio, quelli che meglio contribuiscono agli obiettivi
della società. Credo sia utile iniziare ad accennare a
quella che potrebbe diventare una nuova linea di ricerca
In sintesi, la caratteristiche del “dopo crisi” paiono essere
due:
• La prima a carattere più generale interessa il mondo
intero e riguarda come andare “oltre il Pil” come misura
di benessere nazionale. Il Pil come misura di benessere
nazionale è alla base di gran parte della manualistica
sulla valutazione e selezione delle infrastrutture.
• La seconda , a carattere principalmente europeo, riguarda
come andare da un modello di sviluppo che
dalla fine della seconda guerra mondiale ha fatto perno
sulla crescita trainata dall’export (e, quindi, ha ipotizzato
crescenti disavanzi dei conti con l’estero Usa e
saldi attivi invece in quelli dell’Europa con il resto del
mondo) ad un modello di crescita basato invece sulla
soddisfazione di bisogni collettivi interni all’Europa (infrastrutture,
ambiente, capitale umano, salute, cultura,
tutela del patrimonio di beni culturali e del paesaggio)
e del miglioramento sostenibile, quindi, della qualità
della vita.
Un’ampia rassegna dei tentativi per andare “oltre il Pil”
è stata pubblicata da Marc Fleurbeay delle Università
di Parigi “Descartes” e di Lovanio. Sul tema, sono in
corso numerosi studi internazionali; in Italia ha cominciato
ad operare una Commissione CNEL-ISTAT. Al
momento , a mio avviso, il lavoro di Fleurbeay rappresenta,
a mio avviso, il meglio di quanto disponibile in
un mercato spesso caratterizzato da saggistica approssimativa.
Una sintesi efficace del secondo punto è nel breve
ma eloquente saggio di Paolo Guerrieri e Pier Carlo
Padoan. I due lavori sembrano distanti sia in termini di
approccio (una rigorosa rassegna della letteratura, oltre
400 titoli, il primo; un pamphlet volutamente divulgativo
per smuovere i decision maker il secondo) sia in termini
di conclusioni ( problematico il primo sulle caratteristiche
delle “serie alternative al Pil che sarebbero alle
porte; più definitivo nelle sue conclusioni il secondo).
Hanno, soprattutto, un messo in comune che riguarda
sia i Governi sia le imprese: nel “dopo crisi”: in linea
con un affinamento della definizione e del mondo di
computare il Pil che tenga conto di tre scuole di pensiero
(l’economia del benessere, l’economia delle libertà,
ed il perfezionismo contabile) , l’accento è delle politiche
pubbliche e delle operazioni delle “intraprese private”
dovrà essere sul medio e sul lungo periodo e non
più sul breve periodo (che pare avere caratterizzato gli
ultimi lustri).
Ciò ha una conseguenza implicita per di cui non credo
ci sia ancora piena consapevolezza tra gli operatori:
come valutare politiche , strategie ed investimenti a
lungo termine, specialmente quelli caratterizzati da un
lungo periodo di gestazione prima di fornire flussi di
ricavi all’impresa e/o di benefici alla collettività.
Emergono questi spunti di riflessione:
1. Le politiche e gli investimenti aziendali (anche per
le infrastrutture) devono remunerare gli investitori ad
un tasso che non sia inferiore al costo opportunità del
capitale. Quali misure adottare quando una politica od
investimento abbia un valore economico per la collettività
nel lungo periodo ( una gamma di investimenti che
va dalla tutela del patrimonio artistico e paesaggistico
alla televisione digitale terrestre) ma che potrebbe avere
risultati insoddisfacenti nel breve periodo. In passato, il
divario veniva colmato da varie forme e guise di aiuto di
Stato – oggi non più contemplabile a ragione non solo
6
economia & mercato
Synthesis
della normativa UE ma anche dei vincoli di bilancio.
Occorre, quindi, pensare di colmare il divario con la regolazione
; nazionale od europea? I grandi investimenti
europei – ad esempio le reti trans europee – non dovrebbero
essere il grimaldello per una regolazione europea?
Specialmente una “regolazione” che dia certezze di
stabilità e di non essere frequentemente mutata sotto la
spinta d’interessi particolaristici pure di breve periodo.
2. Le politiche e gli investimenti pubblici (a supporto
del miglioramento della qualità della vita) avranno effetti
anche sulle generazioni future , che in molti casi ne
saranno le principali beneficiarie. Ciò solleva due ordini
di interrogativi. In primo luogo, secondo Ocse e Banca
mondiale, il tasso di attualizzazione utilizzato per valutare
l’investimento pubblico in molti Paesi UE (a lungo
la Francia è stata un’eccezione) e dalla Commissione
Europea riflette il vincoli di bilancio pubblico e misura
il declino del valore sociale delle risorse pubbliche
liberamente utilizzabili. Non è il caso di seguire invece
la più antica proposta di Dasgupta-Sen-Marglin di scegliere
un tasso di attualizzazione che rispecchi il tasso
d’interesse sui consumi. Secondo stime disponibili (anche
da me effettuate) il primo approccio comporta un
tasso di attualizzazione sull’8%, il secondo sul 2,5%; il
primo non “cattura” quindi costi e benefici alla collettività
nel lungo periodo. Né l’uno né l’altro, poi, “catturano”
costi e benefici alle generazioni future : due scuole
si confrontano su “come farlo”, ambedue sono cariche
d’implicazioni di politica pubblica. Non è il caso di promuovere
un’intesa a livello europeo?
3. Le metodologie di analisi delle politiche e degli investimenti
, anche privati, hanno posto l’accento sin dagli
Anni Settanta su come coniugare efficienza (intensa nel
senso di redditività) con efficacia (intensa nel senso di
distribuzione del reddito e, in un secondo tempo, delle
opportunità). In materia si sono sviluppati metodi, tecniche
e procedure basate sulle “ponderazioni variabili”
dei costi e dei benefici a seconda dei livelli di reddito
o di consumo delle varie categorie di soggetti coinvolti
nell’”intrapresa”. Nel Ventunesimo secolo, ed in Paese
avanzati ad economia di mercato, l’enfasi si deve spostare
a come coniugare il breve e medio con il lungo
termine. Dato che previsioni e scenari (specialmente se
contro fattuali) a lungo termine, sono ardui da costruire
con un grado realistico di accuratezza, non è il caso di
Lo scenario futuro
europeo ed italiano
per la progettazione
ed il finanziamento
delle infrastrutture sarà,
nel dopo crisi, in linea
con l’affinamento
della definizione
e del modo di computare
il PIL e con l’accento
di politiche pubbliche
sul medio e lungo periodo
“
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spostare l’accento, nella CSR, dall’analisi del rischio
all’analisi dell’incertezza?
4. E’ invalsa la prassi, promossa di numerose società
di studi e consulenza, di quantizzare i benefici degli
interventi per beni intangibili (ad esempio gli investimenti
in beni culturali ed infrastrutture ad esse attieni)
in base alle stime del turismo culturale da essi attivati.
Tale metodo non solamente non tiene adeguatamente
conto dei costi sociali spesso associati al turismo ma
non ha più legittimità accademico-professionale. Non
è il caso di promuovere tecniche di “valutazioni contingenti”
ormai ampiamente in uso anche in Italia in
numerosi settori afferenti al capitale umano ed all’intangibile?
7
Synthesis
Per un nuovo sistema di governance
dell’Unione europea
di Sandro Gozi
8 min. L’
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