Bilancio Ue,
l’Italia fa la voce grossa
T utti i Paesi stanno scaldando i muscoli per quella che si annuncia una «guerra negoziale » a geometria variabile combattuta a suon di tagli e lotte all’ultimo centesimo. Il Consiglio Ue che si apre oggi dovrà trovare un’intesa sul bilancio che l’Europa avrà a disposizione per i prossimi sette. Secondo i negoziatori Ue, se «tutti sono scontenti, questo indica che forse non siamo troppo lontani da un compromesso». Ed in effetti persino Londra nelle ultime ore ha lanciato segnali di fumo, non parlando più di veto ma ritenendo la proposta sul tavolo, pur se ancora da migliorare, andare quanto meno «nella giusta direzione». Ma non la pensano così molti altri Paesi, in primis Italia e Francia, che hanno avvertito a chiare lettere di non potere dare il loro accordo al testo del presidente Ue Herman Van Rompuy. Questo taglia infatti la proposta della Commissione di ben 80 miliardi (da circa 1.090 a 1.010), colpendo soprattutto – e in modo «non equo» – la politica agricola comune e i fondi di coesione.
DI GIUSEPPE PENNISI Perché l’Italia ha assunto un atteggiamento 'duro' nel negoziato sul bilancio europeo? Ci sono ragioni di breve e medio periodo ed opportunità di lungo periodo che si sono aperte negli ultimi giorni.
La prime riguardano i fondi strutturali e quelli di coesione. I 'nuovi arrivati' dell’Europa orientale chiedono una quota maggiore per i prossime sette anni, i 'vecchi membri' – come l’Italia – tentano di difendere la quota avuta in passato, poi c’è chi vuole una forte politica agricola comune (Francia, Spagna, Portogallo, Italia e Romania), chi una migliore qualità della spesa comune (Regno Unito, Germania, Stati nordici), e chi, a torto o ragione, si sente defraudato da un sistema che lo rende contributore netto. L’Italia viene spesso accusata di ritardi e di scarsa preparazione dei progetti di utilizzo dei fondi. Tuttavia, ora dispone di due armi nuove: la nuova legge su bilancio pubblico (la 196/2009) e l’aggiornamento che il Cnel, con il supporto delle parti sociali, ha fatto ai parametri di valutazione e ai criteri di scelta, un piano che ha già incassato l’approvazione delle maggiori istituzioni finanziarie internazionali. Quindi abbiamo le carte in regola per chiedere di non essere penalizzati.
Il negoziato poi rischia di impantanarsi su questioni di poca importanza, come l’aumento delle retribuzioni dei dipendenti della Commissione . Basta un po’ di buon senso per rendersi conto che si sta discutendo di poca cosa: il bilancio dell’Ue non supera l’1% del Pil, cioè circa il 2% della spesa pubblica dei 27. E con po’ di coraggio la 'battaglia del bilancio' potrebbe diventare la leva per allestire una maggiore integrazione europea, rafforzando tanto il Fiscal Compact quanto l’unione bancaria e rendendo fattibili le misure di solidarietà necessarie per sostenere quegli Stati in difficoltà che stanno attuando seri programmi di riassetto strutturale.
Il Governo Monti è particolarmente bene attrezzato per dare la svolta necessaria al negoziato: è un esecutivo tecnico che non ha nulla da temere da un Parlamento che diventasse schizzinoso sul bilancio europeo; poi l’Italia (nonostante le sue difficoltà finanziarie) è il maggiore contributore netto al bilancio Ue. Chi più paga (al netto) non solo ha maggior titolo ma anche un obbligo a delineare il tracciato. In Italia poi non mancano le idee su dove l’Europa deve andare e come può farlo, e l’obiettivo di una maggiore integrazione europea è stata la stella polare della nostra politica economica internazionale sin dai primi anni del dopoguerra (anche se non sono mancate differenze di idee su alcune modalità specifiche).
Secondo Christian Dreger, del Dwi di Berlino, Roma potrebbe proporre metodi per migliorare la qualità della spesa comunitaria, partendo dagli investimenti a carico dei fondi strutturali. C’è da augurarsi che venga ufficializzato presto il lavoro condotto da Cnel e frenato, pare, da pulsioni particolaristiche. Soprattutto, però, a ragione del progressivo allontanamento delle posizioni tra Parigi e Berlino, e della sempre maggiore collocazione 'atlantica' di Londra, l’Italia può diventare un interlocutore privilegiato della Germania sulle grandi questioni europee, a partire da quelle sul bilancio. Nelle Cancellerie si mormora che non ci siamo mossi da soli nel passare dalla difesa all’attacco sui fondi (e sul resto).
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Tra i principali «pagatori» della cassa comune europea Roma ha ormai tutti i titoli per fare pesare la sua posizione
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