mercoledì 21 novembre 2012

Bilancio Ue, l’Italia fa la voce grossa in Avvenire 22 novembre



Bilancio Ue, l’Italia fa la voce grossa


T utti i Paesi stanno scaldando i muscoli per quella che si an­nuncia una «guerra nego­ziale » a geometria variabi­le combattuta a suon di ta­gli e lotte all’ultimo cente­simo. Il Consiglio Ue che si apre oggi dovrà trovare un’intesa sul bilancio che l’Europa avrà a disposizio­ne per i prossimi sette. Se­condo i negoziatori Ue, se «tutti sono scontenti, que­sto indica che forse non sia­mo troppo lontani da un compromesso». Ed in effet­ti persino Londra nelle ul­time ore ha lanciato segna­li di fumo, non parlando più di veto ma ritenendo la pro­posta sul tavolo, pur se an­cora da migliorare, andare quanto meno «nella giusta direzione». Ma non la pen­sano così molti altri Paesi, in primis Italia e Francia, che hanno avvertito a chia­re lettere di non potere da­re il loro accordo al testo del presidente Ue Herman Van Rompuy. Questo taglia in­fatti la proposta della Com­missione di ben 80 miliar­di (da circa 1.090 a 1.010), colpendo soprattutto – e in modo «non equo» – la poli­tica agricola comune e i fondi di coesione.

DI GIUSEPPE PENNISI  Perché l’Italia ha assunto un atteggiamento 'duro' nel negoziato sul bilancio europeo? Ci sono ragioni di breve e medio periodo ed op­portunità di lungo periodo che si sono aperte negli ultimi giorni.

La prime riguardano i fondi strutturali e quelli di coesione. I 'nuovi arrivati' dell’Europa orientale chiedono una quota maggiore per i prossime sette anni, i 'vecchi membri' – come l’Italia – tentano di difendere la quota avuta in passato, poi c’è chi vuole una forte politica agricola comu­ne (Francia, Spagna, Porto­gallo, Italia e Romania), chi u­na migliore qualità della spe­sa comune (Regno Unito, Germania, Stati nordici), e chi, a torto o ragione, si sen­te defraudato da un sistema che lo rende contribu­tore netto. L’Italia viene spesso accusata di ritardi e di scarsa preparazione dei progetti di utilizzo dei fondi. Tuttavia, ora dispone di due armi nuove: la nuova legge su bilancio pubblico (la 196/2009) e l’aggiornamento che il Cnel, con il supporto delle parti sociali, ha fatto ai parametri di valutazione e ai criteri di scelta, un piano che ha già incassato l’ap­provazione delle maggiori istituzioni finanziarie in­ternazionali. Quindi abbiamo le carte in regola per chiedere di non essere penalizzati.

Il negoziato poi rischia di impantanarsi su questio­ni di poca importanza, come l’aumento delle retri­buzioni dei dipendenti della Commissione . Basta un po’ di buon senso per rendersi conto che si sta discutendo di poca cosa: il bilancio dell’Ue non su­pera l’1% del Pil, cioè circa il 2% della spesa pubbli­ca dei 27. E con po’ di coraggio la 'battaglia del bi­lancio' potrebbe diventare la leva per allestire una maggiore integrazione europea, rafforzando tanto il Fiscal Compact quanto l’unione bancaria e ren­dendo fattibili le misure di solidarietà necessarie per sostenere quegli Stati in difficoltà che stanno at­tuando seri programmi di riassetto strutturale.

Il Governo Monti è particolarmente bene attrezza­to per dare la svolta necessaria al negoziato: è un e­secutivo tecnico che non ha nulla da temere da un Parlamento che diventasse schizzinoso sul bilancio europeo; poi l’Italia (nonostante le sue difficoltà fi­nanziarie) è il maggiore contributore netto al bi­lancio Ue. Chi più paga (al netto) non solo ha maggior titolo ma anche un obbligo a delineare il tracciato. In Italia poi non man­cano le idee su dove l’Europa de­ve andare e come può farlo, e l’o­biettivo di una maggiore integra­zione europea è stata la stella po­lare della nostra politica econo­mica internazionale sin dai primi anni del dopo­guerra (anche se non sono mancate differenze di i­dee su alcune modalità specifiche).

Secondo Christian Dreger, del Dwi di Berlino, Ro­ma potrebbe proporre metodi per migliorare la qua­lità della spesa comunitaria, partendo dagli inve­stimenti a carico dei fondi strutturali. C’è da augu­rarsi che venga ufficializzato presto il lavoro con­dotto da Cnel e frenato, pare, da pulsioni particola­ristiche. Soprattutto, però, a ragione del progressi­vo allontanamento delle posizioni tra Parigi e Ber­lino, e della sempre maggiore collocazione 'atlan­tica' di Londra, l’Italia può diventare un interlocu­tore privilegiato della Germania sulle grandi que­stioni europee, a partire da quelle sul bilancio. Nel­le Cancellerie si mormora che non ci siamo mossi da soli nel passare dalla difesa all’attacco sui fondi (e sul resto).

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Tra i principali «pagatori» della cassa comune europea Roma ha ormai tutti i titoli per fare pesare la sua posizione


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