FONDI UE/ La
"burocrazia" rischia di lasciare a secco l’Italia
martedì 20
novembre 2012
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Constatata l’impossibilità di giungere a un accordo
con il Parlamento europeo, i Capi di Stato e di Governo dei 27 dell’Ue si sono
dati appuntamento per il 22-23 marzo a Bruxelles. Il tema di fondo è il
bilancio Ue per i prossimi sette anni - argomento complesso e con molte
dimensioni che impegnerà molto questa testata nelle prossime settimane. Le
previsioni sono che non si arriverà a un accordo nei tempi stabiliti. Quindi
per il 2013 (o almeno per i primi mesi dell’anno nuovo) l’Ue opererà con una
forma di esercizio provvisorio.
È un negoziato che apre, a livello di politiche
europee, finestre di opportunità per l’Italia (dopo le elezioni di marzo), con
un ravvicinamento alla Germania (di cui si potrebbe diventare partner
privilegiato dato il graduale scollamento della leadership di Parigi rispetto a
quella di Berlino e data la sempre più marcata vocazione “atlantica” di
Londra).
Oltre a queste grandi questioni sul futuro della
politica europea (ampiamente trattate da molto testate) ci sono temi specifici
a proposito dei quali dobbiamo chiederci perché continuiamo a farci del male da
soli. Uno di questi è l’allocazione all’Italia dei fondi comunitari
(strutturali e di coesione). Da anni, gli Stati neocomunitari chiedono di
averne una quota più consistente rispetto all’Italia (dato, nonostante la recessione,
il livello di reddito pro-capite). Per l’Italia, tali fondi costituiscono ormai
la principale fonte di finanziamento di investimenti pubblici dato poiché la
spesa in conto capitale dello Stato è passata dal 3,5% alla fine degli anni
Novanta a circa l’1,5% all’ultima conta e quella degli enti locali si è quasi
azzerata (a ragione del “patto di stabilità interno”). In breve, non si ripara
una scuola, non si ammoderna una strada, non si migliora la difesa del suolo se
non in co-finanziamento con l’Ue.
I Ministri, i diplomatici e i dirigenti impegnati
nella trattativa stanno facendo di tutto per mantenere un’allocazione di fondi
per l’Italia analoga a quella del settennato che sta per terminare. Tutti sanno
che dato che alcune Regioni non riescono a spendere le somme loro affidate per
progetti validi, si è accettato un metodo secondo il quale a metà del
settennato le risorse non impegnate (con contratti efficaci) verranno dirottate
verso altri Stati dell’Ue.
C’è, però, un aspetto tecnico-economico più profondo:
da oltre tre lustri, a ogni negoziato per la trattativa relativa ai fondi
europei, promettiamo di aggiornare i parametri di valutazione e i criteri di
scelta dei progetti, come fanno quasi tutti gli Stati Ue, spesso con
periodicità triennale e con l’apporto dei rispettivi Consigli economici e
sociali (e, dunque, delle Parti sociali). Da noi regna quello che un alto
funzionario Ue definirebbe il caos.
In sintesi, parametri e criteri sono stati
elaborati negli anni Ottanta dall’allora Ministero del Bilancio e della
Programmazione economica sulla base di una metodologia econometrica aggregata,
volta a stimare il rendimento marginale dell’investimento in opere pubbliche.
Essi hanno fornito la base di una delibera del Cipe del 1984, emendata, per gli
investimenti nel Mezzogiorno, da una direttiva della Presidenza del Consiglio
del 1986. Tanto la delibera Cipe, quanto la direttiva della Presidenza del
Consiglio, sono ormai obsolete, tanto più che erano basate, a loro volta, su
una serie storica di dati di rendimento marginale dell’investimento pubblico
nel periodo 1950-1980 (la prima) e su mai motivate, o anche solo esplicitate,
decisioni amministrative (la seconda).
Nell’analisi del Ministero del Bilancio aveva,
quindi, un peso rilevante l’alto rendimento marginale dell’investimento
pubblico nel periodo del “miracolo economico”. Quella della Presidenza del
Consiglio parrebbe, invece, privilegiare i rendimenti di lungo periodo nel
Mezzogiorno, in assenza di una nota o di una spiegazione tecnica mai fornita. Nel
2007, un documento di lavoro dell’Uval (l’Unità di valutazione ora presso il
Ministero dello Sviluppo Economico) ha proposto un
aggiornamento, peraltro mai ufficializzato, del parametro più significativo, il
tasso di attualizzazione per l’investimento pubblico, basato sostanzialmente
sui lavori della Commissione europea e sulle direttive amministrative per le
istruttorie di piani e progetti a valere sui fondi strutturali europei. Nel
contempo, Il Ministero degli Affari Esteri ha emanato, una ventina di anni fa,
un Manuale che segue una metodica differente da quella della delibera del
Ministero del Bilancio. E nel 2006 la Scuola superiore della pubblica
amministrazione ha emanato una Guida operativa che aggiorna in parte i lavori
precedenti, ma con obiettivi principalmente didattici.
Non che il Parlamento sia rimasto inerte: una
legge del 1999 (la n. 144) stabilisce che ci siano accurati studi di
fattibilità per i progetti di investimento pubblico, ma non fornisce
indicazioni su parametri di valutazione e criteri di scelta, e comunque non
viene applicata. Ancora più grave è che quasi nessuno ha dato seguito alla
recente legge di riforma del bilancio pubblico (L. 31 dicembre 2009 n. 196) i
cui si prescrive, all’art. 30, la “predisposizione da parte dei Ministeri
competenti di linee guida obbligatorie e standardizzate per la valutazione
degli investimenti”. È naturale che a Bruxelles si sia perplessi e si pensi di
decurtare l’allocazione dei fondi all’Italia sino a quando non si sia messo un
po’ d’ordine.
Un anno fa, il Cnel ha approvato un Documento
di Osservazioni e Proposte a Governo e Parlamento sulle infrastrutture in cui
indicava l’urgenza di predisporre un quadro generale coerente e aggiornato
nell’ambito del quale i singoli Ministeri possano definire le loro specifiche
linee guida obbligatorie e standardizzate. Un nuovo
Documento di Osservazioni e Proposte è pronto da mesi. È difficile comprendere
perché la sua formalizzazione venga ritardata visto che non solo è stato
condiviso in toto da quasi tutte le Parte sociali e supportato dai principali
Ministeri. Alti livelli di Ocse, Banca Mondiale, Nazioni Unite e di alcuni dei
principali centri di ricerca internazionale sono scesi in campo perché venga
varato al più presto.
Inoltre, nel corso della preparazione del documento è
giunto un invito al Cnel ad assumere un ruolo nella preparazione di una Guida
operativa per l’analisi di investimenti pubblici (e di operazioni di finanza di
progetto) attualmente allo stato iniziale di preparazione da parte dell’Uval del
Ministero dello Sviluppo Economico, della Cassa Depositi e Prestiti e
dell’Irpet (l’Istituto regionale di programmazione della Regione Toscana).
Le scadenze sono ormai immediate. Non facciamoci altri
danni.
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