In margine al Siegfried alla Scala. La drammaturgia del Ring oggi
È in scena
alla Scala di Milano sino al 18 novembre Siegfried, seconda “giornata” del Ring
o L’Anello del Nibelungo, tetralogia wagneriana composta da un prologo e tre
opere, per un totale di 14-16 ore di musica, a seconda dei tempi del maestro
concertatore.
Scritto da Giuseppe
Pennisi | giovedì, 15 novembre 2012 · Lascia un commento
Foto di scena di Siegfried al Teatro
alla Scala, Milano 2012
La produzione è a mezzadria con la
Staatsoper unter der Linden di Berlino. Concerta Daniel Berenboim con un
cast di favola. A Milano si potrà vedere l’ultima opera della tetralogia, Il
Crepuscolo degli Dei, in maggio e i due cicli interi delle
quattro opere in giugno. La regia e l’allestimento scenico sono affidati a Guy
Cassiers e alla sua équipe teatrale Tonnelhuis.
Abbiamo già sottolineato in altre occasioni l’apprezzamento per gli aspetti musicali di una produzione e le forti perplessità nei confronti della drammaturgia priva di mordente di Cassiers e associati che, nonostante l’ottima recitazione dei 35 cantanti richiesti, è parsa priva di un concetto unitario, affollata di elementi inutili (mimi, ballerini) e con una scenografia triste, dominata da i grigi e viola. L’équipe di Tonnelhuis ha avvertito l’esigenza di scrivere un saggio di 50 pagine per chiarire al pubblico (e forse anche a loro stessi) il significato della drammaturgia. Se si ha tale esigenza, sorge il dubbio che qualcosa non quadri. In estrema sintesi, per Cassiers oggi le quattro opere vanno lette come una denuncia della globalizzazione finanziaria. In questo quadro Siegfried è un ‘punk-beast’. Forse il problema di fondo, però, non è tanto l’allestimento scaligero-berlinese, quanto: come mettere in scena oggi il Ring?
Abbiamo già sottolineato in altre occasioni l’apprezzamento per gli aspetti musicali di una produzione e le forti perplessità nei confronti della drammaturgia priva di mordente di Cassiers e associati che, nonostante l’ottima recitazione dei 35 cantanti richiesti, è parsa priva di un concetto unitario, affollata di elementi inutili (mimi, ballerini) e con una scenografia triste, dominata da i grigi e viola. L’équipe di Tonnelhuis ha avvertito l’esigenza di scrivere un saggio di 50 pagine per chiarire al pubblico (e forse anche a loro stessi) il significato della drammaturgia. Se si ha tale esigenza, sorge il dubbio che qualcosa non quadri. In estrema sintesi, per Cassiers oggi le quattro opere vanno lette come una denuncia della globalizzazione finanziaria. In questo quadro Siegfried è un ‘punk-beast’. Forse il problema di fondo, però, non è tanto l’allestimento scaligero-berlinese, quanto: come mettere in scena oggi il Ring?
Foto di scena di Siegfried al Teatro
alla Scala, Milano 2012
Nel 2013, bicentenario della nascita
di Wagner, saremo affollati da Ring: solo in Italia, oltre all’edizione
Scala-Staatsoper, avremo un ciclo integrale a Palermo e la ripresa di quello
del Metropolitan in diretta HD. Basta varcare i confini per avere Ring dappertutto:
anche nella piccola Digione se ne annuncia uno nuovo di zecca.
Il Ring è stato interpretato in vari modi: una favola moralistica sulla maledizione associata al denaro ‘sterco del demonio’; un rilancio della mitologia nordica per contrastare quella latina e slava che dominavano le arti nel romanticismo; una cosmogonia della storia universale (dalla nascita alla fine del mondo), una critica dell’industrializzazione trionfante e del capitalismo. E via discorrendo. Queste varie letture spesso dimenticano che Wagner era un luterano credente e praticante, pur se interessato al buddismo, specialmente negli ultimi anni della vita. In linea con altre sue opere (Divieto d’Amare, Rienzi, Olandese Volante, Lohengrin, Tannahuser, I Maestri Cantori, Parsifal), Wagner mette nel musikdrama anche un forte spirito cristiano: il ‘crepuscolo’ per l’appunto dei vecchi Dei di fronte alla ‘redenzione tramite l’amore’, il tema che appare nella ‘prima giornata’ e domina il finale della ‘terza’ del Ring, e, quindi, della tetralogia.
Il Ring è stato interpretato in vari modi: una favola moralistica sulla maledizione associata al denaro ‘sterco del demonio’; un rilancio della mitologia nordica per contrastare quella latina e slava che dominavano le arti nel romanticismo; una cosmogonia della storia universale (dalla nascita alla fine del mondo), una critica dell’industrializzazione trionfante e del capitalismo. E via discorrendo. Queste varie letture spesso dimenticano che Wagner era un luterano credente e praticante, pur se interessato al buddismo, specialmente negli ultimi anni della vita. In linea con altre sue opere (Divieto d’Amare, Rienzi, Olandese Volante, Lohengrin, Tannahuser, I Maestri Cantori, Parsifal), Wagner mette nel musikdrama anche un forte spirito cristiano: il ‘crepuscolo’ per l’appunto dei vecchi Dei di fronte alla ‘redenzione tramite l’amore’, il tema che appare nella ‘prima giornata’ e domina il finale della ‘terza’ del Ring, e, quindi, della tetralogia.
Foto di scena di Siegfried al Teatro
alla Scala, Milano 2012
Dal 1876 al 1940 le realizzazioni
sceniche erano inscritte nei poli tra favolistico o realistico, caratteristiche
rintracciabili anche nelle produzioni dell’ultimo quarto di secolo a Bologna,
Catania, Bari, Torino e alla stessa Scala, nonché in quelle (altamente
tecnologiche) di Firenze-Valencia, di New York (sia quella di Günter Schneider-Siemssen
che domina il Met da trent’anni, sia quella di Rober Lepage per il
quale è stato interamente rifatto il palcoscenico del teatro) e di Seattle
(dove ogni estate vengono presentati uno o più cicli dell’intero Ring).
Fu nel secondo dopoguerra che si affermarono altre interpretazioni: da quelle di Wieland Wagner (basate sui principi di Adolphe Appia che già negli Anni Venti aveva teorizzato e sperimentato un ‘teatro totale’ con scene solo di giochi di luci e costumi atemporali) di cui si è visto un intero Ring (spalmato su una settimana) a Roma nel 1961. Per certi aspetti si riallaccia a questo filone la mirabile produzione di Aix-en-Provence e Salisburgo, con la regia di Stéphane Braunschweig e Sir Simon Rattle alla guida dei Berliner Philarmoniker nella buca d’orchestra: una lettura astratta ma umanissima, con un occhio in cima alle scalinata, scarne eleganti proiezioni e costumi in gran misura attuali. In breve, l’umanità alla ricerca di denaro e potere deve lasciare i vecchi miti (e i vecchi dei) per costruire il nuovo. Edizione mirabile di cui non esiste né dvd né cd.
Fu nel secondo dopoguerra che si affermarono altre interpretazioni: da quelle di Wieland Wagner (basate sui principi di Adolphe Appia che già negli Anni Venti aveva teorizzato e sperimentato un ‘teatro totale’ con scene solo di giochi di luci e costumi atemporali) di cui si è visto un intero Ring (spalmato su una settimana) a Roma nel 1961. Per certi aspetti si riallaccia a questo filone la mirabile produzione di Aix-en-Provence e Salisburgo, con la regia di Stéphane Braunschweig e Sir Simon Rattle alla guida dei Berliner Philarmoniker nella buca d’orchestra: una lettura astratta ma umanissima, con un occhio in cima alle scalinata, scarne eleganti proiezioni e costumi in gran misura attuali. In breve, l’umanità alla ricerca di denaro e potere deve lasciare i vecchi miti (e i vecchi dei) per costruire il nuovo. Edizione mirabile di cui non esiste né dvd né cd.
Foto di scena di Siegfried al Teatro
alla Scala, Milano 2012
Una terza lettura è
storico-politica. La proposero Patrice Chéreau e Pierre Boulez
nel Ring del centenario a Bayreuth nel 1976- 80 (ne esiste un ottimo
dvd). La idearono a Firenze Ronconi, Pizzi e Mehta nel
1978-81 (prima respinta dalla Scala) di cui resta un album fotografico. Ispirò Ruth
Berghaus a Berlino negli Anni Ottanta. Ci sono anche versioni ironiche
(come quella di Vick a Lisbona e di Kuhn al Festival del Tirolo,
dove sarà di nuovo in cartellone nell’edizione 2014). Questi i filoni
principali.
La preferenza di chi scrive va alla linea Appia a Braunschweig, apprezzando molto anche le regie “politche” di Chéreau e Ronconi-Pizzi. Da queste versioni impariamo a riconoscere una strada perseguita con rigore: cosa che non fa Cassiers, il cui Ring no global, anche dopo la lettura di 50 pagine di spiegazione, resta di ardua comprensione.
La preferenza di chi scrive va alla linea Appia a Braunschweig, apprezzando molto anche le regie “politche” di Chéreau e Ronconi-Pizzi. Da queste versioni impariamo a riconoscere una strada perseguita con rigore: cosa che non fa Cassiers, il cui Ring no global, anche dopo la lettura di 50 pagine di spiegazione, resta di ardua comprensione.
Giuseppe Pennisi
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