giovedì 22 novembre 2012
Il 27 novembre al Teatro dell'Opera Riccardo Muti affronta per la prima
volta la partitura di "Simon Boccanegra", la cui regia è affidata,
per la prima volta a Sir Adrian Noble
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Stagione lirica: doppio debutto a Roma
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Giuseppe Pennisi
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A Venezia la stagione lirica è iniziata con una ‘doppia inaugurazione’
("Tristan ud Isolde’"e "Otello").
A Roma comincia con un doppio debutto: il 27 novembre Riccardo Muti affronterà per la prima volta la partitura di “Simon Boccanegra” la cui regia è affidata, sempre per la prima volta, a Sir Adrian Noble, a lungo direttore della Royal Shakespeare Company. “Simon Boccanegra”, opera “maledetta” e ignorata dalla fine dell’Ottocento al 1937, richiede bacchette mature. Le migliori esecuzioni che si ricordano sono quelle di Gianandrea Gavazzeni e Claudio Abbado. È naturale pensare a un confronto della bacchetta di Muti con le loro. Verdi ne compose tre versioni nel 1857, nel 1859, e nel 1881(quella correntemente rappresentata). Segno di quanto la amasse nonostante sia stata quasi ignorata per decenni. Ha due temi fondanti della poetica verdiana: i rapporti con il mondo della politica e le relazioni tra padre e figli. In “Boccanegra” , “un uomo del mare” (ossia della vita produttiva) accetta di entrare in politica per sposare la figlia di un aristocratico, governa la Repubblica di Genova per un quarto di secolo ma viene distrutto proprio da coloro che gli avevano chiesto di essere disponibile alla vita pubblica. In quegli anni si compiva il Risorgimento; su insistenti pressioni di Cavour, Verdi venne eletto al primo Parlamento del Regno nel 1861, ma diede le dimissioni a poco più di metà mandato. Nominato senatore a vita nel 1874, frequentò raramente il Palazzo. Un distacco dal “teatrino della politica” analogo a quello del trentunenne squattrinato, suddito del Granducato di Parma e Piacenza, alle prese con la burocrazia del Papa Re? Niente affatto, le diverse versioni di “Boccanegra” e l’epistolario verdiano rivelano come Verdi fosse un partecipante entusiasta al movimento di unità nazionale, ma diventasse progressivamente deluso da una “politica politicante” (come il protagonista del romanzo incompiuto “L’imperio” di Federico De Roberto) sempre più distante dalla sua visione lungimirante. Nella scena-chiave di “Boccanegra”, il doge fa proprio l’appello di Francesco Petrarca a porre la fine delle guerre tra le Repubbliche di Genova e di Venezia allo scopo di lavorare insieme per un’Italia libera, ma non è compreso né dai patrizi né dai plebei; ciò innesca l’intrigo che porta alla catarsi finale. “Boccanegra” (parte dei cui temi “politici” verranno ripresi in “Don Carlo” e in “Otello”) svela un rapporto tormentato con la politica analogo a quello con la religione: la visione a lungo raggio della Politica con la “p” maiuscola e i programmi per realizzarla vengono bloccati da una politica con la “p” minuscola ridotta a intrighi. info: http://www.operaroma.it/stagione/stagione_2012_2013/simon_boccanegra |
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