FINANZA/ I tagli allo Stato
“nascosti” nella Gazzetta ufficiale
lunedì 26
novembre 2012
Palazzo
Chigi (Infophoto)
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Pochi, anche tra gli addetti ai lavori, hanno notato
la pubblicazione, sulla Gazzetta Ufficiale del 22 novembre, del DPCM del 3
agosto scorso “Attuazione dell'articolo 8, comma 3, del decreto legislativo
29 dicembre 2011, n. 228 in materia di linee guida per la valutazione degli
investimenti relativi ad opere pubbliche e del Documento pluriennale di
pianificazione degli investimenti in opere pubbliche. (12A12337)”. Chi lo
ha notato è stato scoraggiatodal lessico del titolo a leggere un documento che
ha invece un contenuto molto piano: in ottemperanza a quanto già previsto dalla
normativa di riforma del bilancio dello Stato (L. 196/1999), obbliga ciascun
Ministero a fornire parameri di valutazione e criteri di scelta chiari e
trasparenti per gli investimenti nelle sue competenze: il decreto è lungo
perché in allegato contiene indicazioni specifiche su come tali direttive
debbano essere fornite e sul lavoro analitico per giungere a esse.
La misura è, da un lato, un punto di arrivo e,
dall’altro, un punto di partenza. Il primo mi riguarda personalmente e mi si
consenta di ricordare perché. Mi riguarda anche il secondo non solo in quanto
cittadino della Repubblica, ma concerne soprattutto le Parti sociali e le
associazioni di promozione sociale - poste di fronte al quesito se partecipare
alla formulazione di tali parametri e criteri o se lasciare che siano elaborati
dalle amministrazioni con il supporto della comunità scientifica.
Andiamo brevemente al passato. I tentavi di
razionalizzare la spesa pubblica, iniziando da quella per gli investimenti
pubblici, risalgono, in Italia, all’età giolittiana. Il più completo avvenne
nel 1982-85 con l’istituzione del Nucleo di valutazione degli investimenti
pubblici (il progenitore dell’Uval - unità di valutazione - del Ministero dello
Sviluppo Economico) e del Fondo investimenti e occupazione (Fio). Venni
chiamato a dirigere il Nucleo non solo a ragione delle mie esperienze in Banca
mondiale e dalla mia dimestichezza della manualistica internazionale pubblicata
negli anni Settanta da Ocse, Unido e Banca mondiale, oltre al proliferare di
quella di altri paesi (ma non dell’Italia). Era noto che avevo una schietta
amicizia con David Stockman, di qualche anno più giovane di me ma dall’età di
trent’anni autorevole componente del Congresso Usa, e allora Ministro del
Bilancio degli Stati Uniti. Stockman stava lavorando a una normativa analoga,
riuscì a farla approvare e da allora non è mai stata cambiata (anzi, è l’unica
legge federale mai ritoccata in oltre trent’anni).
Il combinato disposto - direbbero i giuristi - della
legge di riforma di bilancio e del DPCM appena approvato rendono obbligatoria
l’analisi economica seguendo le tecniche ACB (analisi costi benefici) per tutte
le operazioni d’investimento pubblico. La legge Stockman è più estesa: riguarda
tutte le operazioni di spesa pubblica. L’intenzione della riforma del
bilancio e del DCPM è di estendere gradualmente la valutazione quantitativa
della spesa pubblica tramite analisi costi benefici dal conto capitale alla
spesa di parte corrente, ossia all’intero bilancio delle pubbliche
amministrazione. Ciò implica che la pubblica amministrazione ne acquisisca le
essenziali competenze professionali. Ciò darebbe vita una spending
review permanente e non ci sarebbe più l’esigenza di review periodiche
e traumatiche.
Le vicende del 1982 sono state riassunte in un libro
pubblicato da Il Mulino nel 1987 in cui si sottolineava “l’amarezza di
chi ha ragione troppo presto”. Sta ad altri dire se circa trent’anni è un lasso
di tempo adeguato o troppo lungo. Ora occorre guardare alle sfide per il futuro
immediato. In primo luogo, i parametri e i criteri settoriali devono essere
inseriti - come è prassi nel resto del mondo - in un quadro di “parametri nazionali”
generali che riflettano obiettivi e vincoli di politica economica a medio e
lungo termine: questo è uno dei punti su cui abbiamo avuto serie difficoltà nel
recente (ora interrotto) negoziato sul bilancio dell’Unione europea per i
prossimi sette anni. In secondo luogo, per la loro definizione è essenziale un
lavoro tecnico specialistico di alta qualità, ma anche l’apporto della società
civile e di rappresentanti di interessi legittimi.
In attesa della pubblicazione della registrazione del
DPCM da parte della Corte dei conti, l’Uval, la Cassa depositi e prestiti e
alcuni istituti di ricerca specializzati hanno cominciato a lavorare sui
“parametri”. Il Cnel ha anche predisposto un documento di osservazioni e
proposte che si sarebbe dovuto esaminare in ottobre, ma che è stato frenato da
pulsioni (pare) particolaristiche. La situazione ottimale sarebbe sbloccare il
documento Cnel e costituire un Gruppo di lavoro Cnel-Uval per passare la
manualistica generale su cui costruire manualistica settoriale. Sono giunti
inviti in tal senso da Banca mondiale, Nazione Unite, Ocse, Ue, i maggiori
ministeri e le maggiori università.
I rappresentanti del volontariato e delle associazioni
di promozione sociale, nonché quasi tutti gli esponenti sindacali, hanno
espresso il loro supporto: c’è stata convergenzatra Cgil e Ugl. Non è più tempo
di tergiversare: chi si vuole autoescludere (o pensa di non avere il necessario
supporto tecnico specialistico), lo faccia, ma non tenti di spingere sul freno.
Resterà isolato in un percorso ormai tracciato.
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