FINANZA/ 2. Le "fregature" di Obama all'Italia
martedì 13 novembre 2012
Barack Obama (Infophoto)
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Non so
quanti lettori di questa testata abbiamo letto l’acido corsivo apparso il 9
novembre su The Economist. Narrava la notte spesa dai diplomatici
dei 27 dell’Unione europea (spesso tre per Paese - uno accreditato presso il
Regno del Belgio, uno accreditato presso l’Ue e uno presso la Nato), nella
Grand Place di Bruxelles, in trepida attesa dei risultati elettorali delle
presidenziali americane e il grido esultanza, accompagnato da litri di
champagne, alla notizia della vittoria di Barack Obama. Non sta certo a me
ripetere quanto scritto dal settimanale britannico con pungente ironia riguardo
le speranze (o piuttosto illusioni) nutrite dagli ambasciatori dei 27 rispetto
al contributo che la seconda Amministrazione Obama potrebbe dare a risolvere i
nodi e i problemi europei. Tanto più che mi sono già espresso, su questa
testata, il 3 novembre scorso.
Soffermiamoci,
invece, sulla politica estera. In primo luogo, non è insolito vedere i vassalli
esprimere gioia e promettere gratitudine al valvassore: lo si faceva già
nell’alto medioevo e nel Brabante (dove è localizzata Bruxelles) sono stati
bravissimi a farlo sino a quando nel 1830 sono diventati uno Stato-cuscinetto
costruito sulla carta geografica, è stato dato loro come Re un cadetto di una
casa germanica e si sono illusi di essere indipendenti. È curioso, però, che i
vassalli esprimano gioia se il valvassore ha chiaramente mostrato di
infischiarsi di loro.
Durante la
campagna elettorale, Obama non ha mai trattato di temi Usa-Ue, non hai mai
delineato una politica americana nei confronti dell’Ue e ha essenzialmente
considerato l’Ue, e meglio ancora l’Eurozona, come un peso per l’economia
mondiale a ragione dei pasticciacci brutti in cui, proprio con le loro mani,
gli europei si sono ficcati. Di norma, poi, i vassalli pagano le tasse senza
troppo mugugnare perché sanno che il valvassore li difende. Obama, invece, ha
detto a chiare note che gli europei dovranno aumentare i loro contributi alla
difesa comune. D’altronde, gli Stati Uniti hanno uno stock di debito in
rapporto al Pil analogo a quello dell’Italia, una spesa pubblica (e un
disavanzo annuale dei conti pubblici) in rapida ascesa (tanto che uno dei primi
passi dell’inquilino della Casa Bianca è stato un “faccia a faccia” a porte
chiuse con il Presidente della Camera, John Boehner, per tentare un accordo sui
conti pubblici), i conti con l’estero in profondo rosso.
È arduo
pensare che nei prossimi anni Obama riuscirà a varare i programmi di politica
sociale che ha in mente e giungere a un migliore equilibrio dei conti. Gli
europei dovranno quindi concludere che: a) spetterà a loro mettere le mani in
tasca per pagare una quota crescente della spesa comune di difesa: b) non
potranno contare sugli yankee per mettere ordine in aree vicine in difficoltà.
Eloquentemente, e senza dare alcun preavviso, Obama ha ritirato i missili Usa
ai confini della Polonia che avrebbero dovuto difendere l’Europa contro i
missili iraniani (ben appostati a mandare ordigni anche su Berlino). Quindi, se
scoppiano disordini nella ex-Jugoslavia o nel bacino del Mediterraneo, il
messaggio è lo stesso di un vecchio film di Mauro Bolognini con Totò come
protagonista: Arrangiatevi!
Grave la
situazione nel Mediterraneo. C’è probabilmente un nesso tra le dimissioni del
Direttore della Cia, David Petraeus, e l’eccidio dell’11 dicembre a Bengasi,
dove il Consolato Usa era una copertura per una “stazione” dell’intelligence
americana. Indubbiamente, dopo l’avvenimento, la Casa Bianca sarà meno propensa
a esporsi in Libia. Ha ancora vivo il ricordo della Somalia. Già un Presidente
“democratico” Usa, Bill Clinton, pur potendo tagliare la testa a Al Qaeda dopo
gli eccidi a Nairobi e Dar-es-Salaam e prima di quello alle Torri Gemelle,
esitò dato che parte crescente del suo elettorato era di colore. Quindi, in
Libia si finirà in lotte per bande (Noi speriamo che ce la caviamo).
Gli
“obamiani italiani” affermano che in compenso si avrà una “Comunità economica
atlantica” e una “zona di libero scambio atlantica”. Non solo è un sogno che ha
alimentato la generazione di italiani che negli anni Sessanta e Settanta erano
giovani internazionalisti e credevano in un mondo più libero alimentato da un
commercio internazionale più libero. Ora, infatti, l’Amministrazione Obama non
solo guarda ad altre aree, ma è fortemente protezionista: ha bloccato un
accordo di libero scambio con la Colombia dopo che i poveri colombiani ne hanno
fatte di cotte e di crude per bloccare il narco-traffico.
Il secondo
mandato di Obama sarà più protezionista del primo anche in quanto la campagna
elettorale è stata finanziata principalmente da lobby contrarie alla libertà di
mercato a livello internazionale. L’era dei negoziati multilaterali nell’ambito
del Wto deve essere considerata chiusa - lo ha detto Pascal Lamy a Mario Monti.
La stessa esistenza del Wto è a rischio: per i prossimi quattro anni deve
proporsi di sopravvivere, senza farsi troppo notare.
In Italia,
smettiamo di farci illusioni: il patto che lega l’United auto workers (Uaw), il
sindacato automobilistico americano, e Sergio Marchionne prevede il
trasferimento della cabina di regia della Chrysler-Fiat a Detroit. Per Obama e
per la Uaw, Melfi e Pomigliano d’Arco non sono neanche puntini sulla carta
geografica.
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