Romney, dopo l’attacco un doppio "assist" all’Italia
sabato 3 novembre
2012
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Tirez sur le pianiste si intitola
un amaro film poliziesco di François Truffaut del lontano 1960, meritamente
entrato nella storia del cinema e ancora oggi spesso visibile in televisione o
in DVD. Il titolo è ironico: quando un gruppo di gangster non sa fare di meglio
spara sul pianista, il quale, di solito, con la lotta per bande non c’entra
nulla.
Quasi tutta la stampa italiana ha sparato (a
salve) su Mitt Romney per la frase in cui il candidato repubblicano alla
Presidenza Usa ha detto che in caso di vittoria del suo avversario, Barack
Obama, gli Stati Uniti avrebbe fatto la fine dei Piigs (Portogallo, Irlanda,
Italia, Grecia e Spagna). Si tratta di colpi a salve perché i giornalisti
italiani non votano alle elezioni presidenziali negli Usa, dove si vendono
comunque poche copie delle loro testate solamente a New York, Washington e
qualche altra città. Sparano a salve anche in Italia: quando, per la prima
volta nella sua storia, Il Corriere della Sera si schierò a favore di
un candidato, vinse l’avversario. È bene darsi una ridimensionata.
Soprattutto, non leggono quanto scrivono gli
economisti italiani. Neanche quelli che, a torto o a ragione, vengono da
quotidiani e periodici apparentati al centrosinistra. Nel 1997, a p. 30 del
saggio introduttivo intitolato Per l’occupazione del volume
collettaneo “Disoccupazione di fine secolo - Studi e proposte per l’Europa”
(Bollati Boringhieri), Pierluigi Ciocca, allora alla guida del servizio
studi della Banca d’Italia (di cui sarebbe diventato vicedirettore generale
prima di diventare professore di politica economica all’Università di Roma La
Sapienza) scriveva a chiare lettere che una pressione fiscale e contributiva
del 42% (allora, ndr) rispetto al 30% di quella degli Stati Uniti e del
Giappone “costerà ulteriore disoccupazione all’Europa”, specialmente se
coniugata con politiche di austerità per raggiungere la stabilità finanziaria.
Da allora, nell’eurozona la pressione fiscale si
aggira mediamente sul 45% (e in Francia e Italia sta per sfiorare il 50%),
mentre negli Stati Uniti, nonostante gli aumenti di tasse e imposte degli
ultimi quattro anni, è scesa al 28% e il candidato repubblicano si è impegnato
a portare al 20% l’aliquota marginale federale più alta per le imposte
societarie e al 33% quella sui redditi degli individui (le imposte indirette e
sulla casa sono competenza dei singoli Stati dell’Unione e in certi casi delle
Contee). Insomma, il divario tra Usa e Europa aumenterà in termini di pressione
fiscale. Con le conseguenze previste tre lustri fa da Pierluigi Ciocca (e da
altri).
Il vostro chroniqueur non ha alcuna voce in
capitolo sulle elezioni Usa. E, quindi, non parteggia per nessuno dei due
candidati. Tuttavia, non sarebbe professionale per un economista non
sottolineare che da una vittoria di Romney l’Europa avrebbe non solo il
vantaggio di una politica americana di liberalizzazione degli scambi
internazionali (che è mancata negli ultimi quattro anni), ma sarebbe un free
rider (beneficiario collaterale) della politica Usa contro la contraffazione
in Cina e contro il protezionismo russo oltre che cinese: le imprese europee
esportano in Cina oltre il doppio di quelle americane e in Russia ben otto
volte quelle degli Stati Uniti. Quindi potrebbero trarre grandi vantaggi in
questi due vasti mercati.
Inoltre, la riduzione del carico fiscale negli Usa
sarebbe utile all’Europa almeno sotto due profili. Se, in senso keynesiano,
accelera la ripresa americana, l’Ue avrebbe un traino a cui agganciare la
propria. Se non ha effetti keynesiani, ma anzi produce principalmente
inflazione interna negli Stati Uniti, da un lato, il “made in Europe”
diventerebbe più competitivo nel mercato americano e, da un altro, gli europei
avrebbero uno stimolo ulteriore a chiedere a Governi e Parlamenti di farla
finita con l’oppressione fiscale.
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