LA “SELVAGGIA” ISOTTA ED IL
“CASTO” TRISTANO
Edizione
completa
Roma - La stagione de La Fenice è stata
inaugurata con Tristan und Isolde di Richard Wagner. A mio avviso, nonostante
il suo grande valore e la qualità di numerose esecuzioni ascoltate, Tristan è
opera poco adatta per un’inaugurazione che vuole essere occasione mondana ed
aprire il teatro a chi va all’opera di rado: lo spettacolo (intervalli
compresi) dura oltre cinque ore. Pur se chiamata da Wagner “azione in tre
atti”, l’azione è tutta interiore (in lunghi racconti) più che sulla scena. La
Fenice ha avuto l’ottima idea di iniziare lo spettacolo alle 15,30 dando tempo
per cene e feste serali.
Ricordiamo in breve la vicenda. La principessa irlandese Isolde condotta dal giovane Tristano in sposa alla zio Marco (Re di Cornovaglia e Bretagna) vuole avvelenarlo in quanto il giovane (a cui ha salvato la vita) le ha ucciso il fidanzato, ma la sua ancella Brangania sostituisce il filtro della morte con quello dell’amore. Ne conseguono adulterio (solo intellettuale, non carnale) e tragedia; il desiderio degli amanti di annullarsi l’uno nell’altra viene interrotto dall’essere scoperti e da ferite mortali inferte in duello al giovane, pur se Re Marco ha compreso e tollerato. Sotto il profilo musicale Tristan ha cambiato la storia del modo di comporre ed iniziato quella che sarebbe diventata la grande musica contemporanea. Senza la carica innovativa, il cromatismo e la dissoluzione della scrittura tradizionale – caratteristiche di Tristan - non ci sarebbe la musica contemporanea, da Debussy (il cui Pelléas et Mélisande venne erroneamente presentato come “anti-Tristano”) alla dodecafonia di Zemlinski, Schoenberg, Malipiero e Dallapiccola. Con circa mezzo secolo d’anticipo, Tristan apre quella che sarebbe stata una delle scuole più importanti del Novecento (“la scuola di Vienna”), nonostante Wagner avesse studiato composizione per solo sei mesi e non sapesse suonare decentemente nessuno strumento (strimpellava il piano molto male)! La scrittura cromatica si giustappone quasi a quella diatonica di Die Meistersinger ed accentua la trasparenza di un lavoro la cui Aktion si svolge in gran misura di notte. La notte nebbiosa della Cornovaglia e della Bretagna. Ma che rivela l’amore che rispetto ed annullamento e la tolleranza.
Tristan und Isolde si presta a molteplici letture: da filosofiche (Sinopoli ne esaltava il lato schopenhauriano) a mitologiche (lo mettevano in rilievo Karajan e Fürtwangler), a erotico-sentimentali (Solti, Böhm, Chung), a decadentiste (Metha, Boulez, Ferro). Non basta un saggio unicamente per sfiorare i misteri del confronto tra Isolde wilde, minnige Maid (“selvaggiamente amante”) ed il casto Tristan. Mai prima di Tristan und Isolde (e raramente dopo) il teatro in musica è penetrato così a fondo nell’eros - ed in un eros dove c’è passione infinita ma non rapporto sessuale. C’era una determinante personale ed artistica specifica. Wagner aveva interrotto la partitura del Ring dopo la seconda scena del terzo atto di Siegfried. Non solamente temeva che il progetto non si sarebbe mai realizzato ma non riusciva a esprimere la carica erotica dei 45 minuti di amplesso e di orgasmo gioioso con cui si chiude Siegfried. Aveva bisogno di elevarsi alla gioia infinita di Die Meistersinger e di sceverare le profondità dell’eros di Tristan. Tuttavia, tra i due innamorati non c’è alcun rapporto sessuale (a Wagner non ne mancava l’esperienza di metterli in musica, visti vari momenti del Ring). Isolde è stata la donna di Morold ed è la sposa di Re Marke; Tristan non ha mai avuto una donna (per quel che ne sappiamo); nella lunga notte del secondo atto – la prima ed ultima volta che si vedono (quasi) da soli dopo l’improvviso innamoramento – invocano l’unione tra eros e thanatos ma, fisicamente, si sfiorano appena. Concettualizzano l’amore, anzi la lussuria sublime e completa (höchste Lust) considerata possibile unicamente nell’aldilà.
La concertazione di Chung è solo leggermente dilatata (rispetto a edizioni di riferimento come quella di Karajan). Non disponendo di una buca vasta come quella della Scala, Myung-Whun Chung fa economia di strumenti (ad esempio due arpe invece di sei), ma in una sala relativamente piccola come quella de La Fenice (1.030 spettatori compresi palchi e gallerie) rendono il suono morbido e rotondo. Ian Storey è cresciuto vocalmente e scenicamente rispetto all’edizione della Scala del 2007 quando debuttava nel ruolo: affronta quasi con spavalderia l’impervio terzo atto. La vera sorpresa è la giovane Brigitte Pinter, al debutto nel ruolo; una Isolde statuaria, con vocalità da soprano ‘assoluto’ e capacità di ascendere con facilità alle tonalità alte e discendere con pari ease a quelle gravi; nel pesantissimo primo atto (per le due protagoniste femminili), la affianca perfettamente la Brangania di Tuja Knithila. Richard Paul Fink è un Kurnewal atletico e pieno di energia. Attila Jun un Re Marco perfetto nella profonda vocalità ma relativamente poco espressivo nel tormento per il doppio tradimento (della giovane sposa e del nipote prediletto). Si sono fatti cenni alla drammaturgia: è un Tristan atemporale, pur se lo scozzese Paul Curran, il regista, ne esalta la dimensione nordica, con una “azione” interiore trasmessa, però, efficacemente dagli sguardi dei protagonisti. Belle le scene astratte di Robert Innes Hopkins (autore anche dei costumi atemporali). Efficaci le luci di David Jaxques. (ilVelino/AGV)
Ricordiamo in breve la vicenda. La principessa irlandese Isolde condotta dal giovane Tristano in sposa alla zio Marco (Re di Cornovaglia e Bretagna) vuole avvelenarlo in quanto il giovane (a cui ha salvato la vita) le ha ucciso il fidanzato, ma la sua ancella Brangania sostituisce il filtro della morte con quello dell’amore. Ne conseguono adulterio (solo intellettuale, non carnale) e tragedia; il desiderio degli amanti di annullarsi l’uno nell’altra viene interrotto dall’essere scoperti e da ferite mortali inferte in duello al giovane, pur se Re Marco ha compreso e tollerato. Sotto il profilo musicale Tristan ha cambiato la storia del modo di comporre ed iniziato quella che sarebbe diventata la grande musica contemporanea. Senza la carica innovativa, il cromatismo e la dissoluzione della scrittura tradizionale – caratteristiche di Tristan - non ci sarebbe la musica contemporanea, da Debussy (il cui Pelléas et Mélisande venne erroneamente presentato come “anti-Tristano”) alla dodecafonia di Zemlinski, Schoenberg, Malipiero e Dallapiccola. Con circa mezzo secolo d’anticipo, Tristan apre quella che sarebbe stata una delle scuole più importanti del Novecento (“la scuola di Vienna”), nonostante Wagner avesse studiato composizione per solo sei mesi e non sapesse suonare decentemente nessuno strumento (strimpellava il piano molto male)! La scrittura cromatica si giustappone quasi a quella diatonica di Die Meistersinger ed accentua la trasparenza di un lavoro la cui Aktion si svolge in gran misura di notte. La notte nebbiosa della Cornovaglia e della Bretagna. Ma che rivela l’amore che rispetto ed annullamento e la tolleranza.
Tristan und Isolde si presta a molteplici letture: da filosofiche (Sinopoli ne esaltava il lato schopenhauriano) a mitologiche (lo mettevano in rilievo Karajan e Fürtwangler), a erotico-sentimentali (Solti, Böhm, Chung), a decadentiste (Metha, Boulez, Ferro). Non basta un saggio unicamente per sfiorare i misteri del confronto tra Isolde wilde, minnige Maid (“selvaggiamente amante”) ed il casto Tristan. Mai prima di Tristan und Isolde (e raramente dopo) il teatro in musica è penetrato così a fondo nell’eros - ed in un eros dove c’è passione infinita ma non rapporto sessuale. C’era una determinante personale ed artistica specifica. Wagner aveva interrotto la partitura del Ring dopo la seconda scena del terzo atto di Siegfried. Non solamente temeva che il progetto non si sarebbe mai realizzato ma non riusciva a esprimere la carica erotica dei 45 minuti di amplesso e di orgasmo gioioso con cui si chiude Siegfried. Aveva bisogno di elevarsi alla gioia infinita di Die Meistersinger e di sceverare le profondità dell’eros di Tristan. Tuttavia, tra i due innamorati non c’è alcun rapporto sessuale (a Wagner non ne mancava l’esperienza di metterli in musica, visti vari momenti del Ring). Isolde è stata la donna di Morold ed è la sposa di Re Marke; Tristan non ha mai avuto una donna (per quel che ne sappiamo); nella lunga notte del secondo atto – la prima ed ultima volta che si vedono (quasi) da soli dopo l’improvviso innamoramento – invocano l’unione tra eros e thanatos ma, fisicamente, si sfiorano appena. Concettualizzano l’amore, anzi la lussuria sublime e completa (höchste Lust) considerata possibile unicamente nell’aldilà.
La concertazione di Chung è solo leggermente dilatata (rispetto a edizioni di riferimento come quella di Karajan). Non disponendo di una buca vasta come quella della Scala, Myung-Whun Chung fa economia di strumenti (ad esempio due arpe invece di sei), ma in una sala relativamente piccola come quella de La Fenice (1.030 spettatori compresi palchi e gallerie) rendono il suono morbido e rotondo. Ian Storey è cresciuto vocalmente e scenicamente rispetto all’edizione della Scala del 2007 quando debuttava nel ruolo: affronta quasi con spavalderia l’impervio terzo atto. La vera sorpresa è la giovane Brigitte Pinter, al debutto nel ruolo; una Isolde statuaria, con vocalità da soprano ‘assoluto’ e capacità di ascendere con facilità alle tonalità alte e discendere con pari ease a quelle gravi; nel pesantissimo primo atto (per le due protagoniste femminili), la affianca perfettamente la Brangania di Tuja Knithila. Richard Paul Fink è un Kurnewal atletico e pieno di energia. Attila Jun un Re Marco perfetto nella profonda vocalità ma relativamente poco espressivo nel tormento per il doppio tradimento (della giovane sposa e del nipote prediletto). Si sono fatti cenni alla drammaturgia: è un Tristan atemporale, pur se lo scozzese Paul Curran, il regista, ne esalta la dimensione nordica, con una “azione” interiore trasmessa, però, efficacemente dagli sguardi dei protagonisti. Belle le scene astratte di Robert Innes Hopkins (autore anche dei costumi atemporali). Efficaci le luci di David Jaxques. (ilVelino/AGV)
(Hans Sachs)
19 Novembre 2012 08:08
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