Il Festival di Aix -en -Provence (che si estende sino a fine luglio ma i cui lavori sono prenotati per i prossimi due anni nei maggiori teatri europei ed americani) è iniziato male – una mozartiana “Zaide”, opera mediocre ed incompiuta (mai rappresentata con l’autore in vita), aggravata da una regia cervellotica e violenta di Peter Sellars e da un cast mal assortito. Agli applausi di cortesia del pubblico, hanno corrisposto recensioni al vetriolo.
Si è, però, ripreso subito con uno strepitoso “Siegfried”, terza opera della tetralogia wagneriana che Aix (dove si può vedere sino al 7 luglio) co-produce con il Festival di Salisburgo (dove arriverà tra alcuni mesi), giovandosi dell’apporto dei Berliner Philamoniker guidati da Simon Rattle e della regia, scene e costumi di Stéphane Braunschweig (chiamato ad inaugurare la Scala con il verdiano “Don Carlo”). Oltre cinque ore di spettacolo sono state seguite da circa 20 minuti di ovazioni da stadio.
“Siegfried” è un adolescente innocente, che non conosce paura. Forgia la spada invincibile che appartenne a suo padre. Uccide il drago Fafner e si impossessa dell’anello che dà il potere assoluto sul mondo. Avvisato da un uccello che il nano Mine vuole avvelenarlo per impossessarsi dell’anello, ne fa polpette. Spezza anche la lancia del Re degli Dei Wotan per poter varcare una cortina di fuoco, dietro la quale scopre la vergine Brunilde. Alla vista, per la prima volta, di una donna, viene attanagliato del terrore, sino a quando, in un duetto travolgente di 45 minuti, decidono di darsi l’uno all’altra.
Nel ruolo del protagonista, debutta, a 54 anni, il canadese Ben Heppner, il quale conferma di essere uno dei migliori tenori eroici su piazza e dimostra di essere un attore di razza. Vestito da ragazzone in camicia a scacchi, assomiglia più ad un bamboccione che ad un adolescenze, ma supera bene un ruolo che lo vede in scena per oltre tre ore e mezza; a volte, l’orchestra lo copre ed al termine del duetto finale è stremato dalla fatica. Katerina Dalayman è una Brunilde di fuoco; arriva fresca al duetto finale (entra in scena solo alle fine dell’opera) e canta come una forza della natura (sovrastando i Berliner). William White è un Wotan dolente che ormai brama il crepuscolo degli Dei, della cui imminenza lo avverte Anna Larsson (Erda, la madre terra). Una vera e propria scoperta Burkhard Urlich nel ruolo di Mine.
Naturalmente la bacchetta di Sir Simon Rattle dà un’impostazione sinfonica al lavoro, accelera i tempi per accentuare il ritmo, esaltare i momenti timbrici, fare respirare l’atmosfera della foresta; i fiati e gli strumenti a corda hanno un risalto analogo a quello che diede loro Georg Solti in una celebre edizione in studio degli Anni 60.
Veniamo, infine, alla regia. Braunschweig trasporta “Siegfried” in un’epoca imprecisata, simile all’attuale. Il protagonista sembra uno studente americano. Brunilde indossa un’elegante camicia bianca che invita nell’enorme letto che domina la scena finale. Wotan è avvolto in un lungo impermeabile, Mine assomiglia ad un artigiano e suo fratello Alberich ad un esattore. Una scena unica (tre immense pareti grigie) che, con un minimo di proiezioni e di attrezzeria astratta, rendono tutti gli effetti speciali (il viaggio nella foresta, la battaglia con il drago, la discesa al ventre della terra per interrogare Erda, il muro di fuoco a difesa della verginità di Brunilde). Un “teatro di regia” intelligente ed efficace.
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1 commento:
Ero ad Aix in agosto...
Buona giornata !
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