Sotto lo sguardo vigile di Benito Mussolini (immortalato nell’affresco di Mario Sironi nell’Aula Magna della Sapienza), i Rettori delle università statali di Roma hanno organizzato un’adunata (non proprio oceanica) per sferrare un attacco durissimo contro i loro colleghi (in accademia) Remato Brunetta e Giulio Tremonti. I capi d’accusa sono essenzialmente due: la riduzione di stanziamenti contemplata nel piano triennale (di riassetto della finanza pubblica) e la proposta di trasformare le università in fondazioni a cui potrebbero partecipare privati (fondazioni bancarie, imprese).
La minaccia: se Brunetta e Tremonti non faranno una rapida marcia indietro, le università metteranno in atto uno sciopero da filotranvieri. Non entro nel merito. I dati Ocse ed Unesco dicono che dopo la Federazione Russa e gli Usa, l’Italia ha il più alto numero di docenti nell’istruzione post-secondaria: in Italia, alcuni docenti universitari insegnano a canali di 500 allievi; altri a classi di cinque. Proliferano master d’ogni sorta, disciplina e qualità. Qualche problema di “governo” delle istituzioni pare, dunque, esserci. Oltre 20 anni fa con George Pscharopoulos della London School of Economics (distinto e distante dalle beghe nostrane) preparai una proposta per introdurre competizione all’interno del settore pubblico (allora in Italia le università private si contavano sulle dita di una mano) come ultima spiaggia per migliorare la qualità e non finire (come è avvenuto) tra gli ultimi nelle classifiche internazionali. Non se fece nulla poiché Palazzo Chigi temette la reazione della corporazione.
Adesso fiorisce, specialmente a Roma, una vasta area d’università private, molte delle quali (segnatamente quelle telematiche) “decretate” quando il centro-sinistra era al governo del Paese. Inoltre, gli accordi Ue di Lisbona prevedono riconoscimenti automatici dei titoli di studio. Se i privati portano con sé non solo risorse ma anche managerialità, le fondazioni possono essere uno strumento efficace per una sana competizione. “Cum petere” – ricordiamolo – vuol dire cercare insieme. Cercare le sinergie tra pubblico e privato e giungere all’eccellenza tecnologica ed organizzativa; come sottolineato su “Il Tempo” del 30 giugno, queste due determinanti rappresentano le leve su cui sviluppare il futuro di Roma. Se ci sono alternative più promettenti della trasformazione delle università statali in fondazione (come sono già le università private italiane e quelle, anche pubbliche, di gran parte del resto del mondo), auguro che tali alternative siano presentate e discusse. Non si può eludere il problema. Non lo si può certamente fare con assemblee analoghe a quelle descritte da Alexis de Tocqeville in “L’ancien régime et la révolution”. In un mondo che cambia, chi difende l’esistente perde sempre.
A fronte di geremiadi e minacce, avanti Maria Stella! Chi si ferma è perduto.
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