martedì 29 luglio 2008

PER RISOLLEVARE L’ECONOMIA SERVE UNA RIFORMA DRASTICA DELLA GIUSTIZIA, L'Occidentale 29 luglio

Un procedimento di licenziamento in Italia richiede, mediamente, 700 giorni, rispetto ai 30 in Spagna ed ai 19 in Olanda. Non è il risultato di un’analisi dei soliti liberali estremisti sempre pronti a prendersela con i magistrati e con la macchina giudiziaria ma dell’Irsg-Cnr, ossia dall’istituto pubblico di ricerca preposto a questo tipo di indagini. La lentezza della giustizia – lo ammoniscono i numerosi ammonimenti del Consiglio d’Europa in Italia – svilisce la certezza del diritto e la prima causa della bassa stima che ha la magistratura nei sondaggi d’opinione. In altri Paesi, ci si è mossi in via normativa: in Norvegia, ad esempio, le cause civili devono essere definite in sei mesi, quelle penali in tre (termini che possono essere modificati soltanto in via eccezionale dal Ministro della Giustizia non da un organo corporativo d’autocontrollo). A Manchester le vertenze devono essere chiuse in 15 settimane se affidate alla “procedura rapida”, in 30 se a procedimenti più complessi. In Danimarca il 63% dei procedimenti penali devono essere definiti ed il 95% in sei. In Slovenia l’obiettivo è di chiudere qualsiasi forma di giudizio in 18 mesi. L’elenco potrebbe continuare: basta consultare il sito del Consiglio d’Europa per avere una casistica completa in cui l’Italia appare come la pecora nera.
Non sta ad un economista discettare di chi ha responsabilità: magistrati “fannulloni” ed “iperprotetti” (nel lessico brunettiano), un ordinamento eccessivamente complesso; o via discorrendo. Da economista, posso unicamente fare qualche ragionamento sulle conseguenze. In primo luogo la giustizia tartaruga, oltre che essere malagiustizia, è la prima determinante della bassa crescita dell’Italia. Lo dice la teoria dei costi di transazione. Ventidue anni fa, ne “Le istituzioni economico del capitalismo”, il giurista, ed economista, Oliver E. Williamson ha analizzato, in 700 pagine, come il funzionamento di un’economia di mercato, e le relative possibilità, di sviluppo dipendono dai costi per effettuare transazioni economiche tra individui, tra famiglie, tra imprese e tra i vari soggetti e lo Stato. Pochi anni dopo, Douglas C. North ottenne il Nobel per l’Economia per un libro di 150 pagine in cui dimostrava come dal 1500 ad oggi le aree economiche che più avevano abbattuto i costi di transazione erano proprio quelle che avevano avuto i maggiori tassi di sviluppo ed una migliore distribuzione dei redditi. La lentezza e la malagiustizia provocano, in Italia, i più alti costi di transazione nei Paesi Ocse. Lo conferma, per la giustizia amministrazione (che è solo un piccolo spicchio del problema), l’University of Chicago Public Law Working Paper n. 223 diramato in questi giorni, per rendersene conto. Una strada gradualistica ci allontanerebbe dal consesso Ocse; ormai serve una riforma drastica di procedure, carriere, promozioni, sanzioni nei confronti di chi ritarda i procedimenti e simili. I liberisti di Chicago e le anime pie del Consiglio d’Europa non sono i soli a dirlo. Sul sito dell’Università di Harvard (da sempre considerata più “lab” che “lib)) sottolinea che nei Paesi la cui tradizione è radicata nel diritto romano, non è necessario abbracciare il “common law”: si possono introdurre misure di netta separazione di carriere tra procuratori e giudici, di riduzione del numero dei distretti giudiziari, di riordino degli uffici sull’esempio di quelle adottate di recente da uno Stato federale come il Messico e che la Francia ha messo in atto quando ha dato vita alle Regioni. A tutto tondo, lo documenta una rassegna di circa 600 studi pubblicata nel fascicolo di Giugno 2008 del “Journal of Economic Literature”. Non sono certo studi “ad personam”. Il “Journal” è distinto e distante dalle nostre beghe; gli studi citati mettono in rilievo (anche con analisi econometriche” come la lentocrazia della malagiustizia condanna al declino. Di tutti. Pure dei magistrati.
Il dibattito è aperto.

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