Fannulloni o stakanovisti? Nel solleone del 2004 scoppiò una polemica sulle ore di lavoro di lavoro effettivamente svolte da americani e da europei; i primi lavorerebbero il 50% di più dei secondi – e gli italiani sarebbero il fanalino di coda. Ciò spiegherebbe perché alla lepre Usa corrisponde la tartaruga Ue – e l’andamento rasoterra in Italia. L’ultimo lavoro di Richard Freeman dell’Università di Harvard getta nuova luce sul dibattito (tornato d’attualità). In termini d’ore effettivamente lavorate, l’italiano occupato batte quasi tutti: mediamente 1826 ore l’anno, rispetto alle 1809 dell’americano, 1799 dello spagnolo, 1555 del francese, 1442 del tedesco. Ci supera, per un soffio, il britannico con 1827 ore l’anno. L’Italia è, però, il Paese Ocse con il rapporto più basso tra coloro in età da lavoro e gli occupati (il 57,4% rispetto al 71,2% degli Usa, al 77-76% dei Paesi nordici, al 65% della Francia ed al 62% della Spagna). Da noi il 55% delle donne in età da lavoro resta in casa (rispetto al 35% delle americane ed al 51% delle spagnole); non lavora il 70% di coloro tra i 55 ed 64 anni d’età (rispetto al 40% negli Usa, al 30% in Scandinavia ed al 58% in Francia e Spagna).
Queste cifre spiegano eloquentemente il senso del “Libro Verde” sullo stato sociale presentato del Ministro del Welfare Maurizio Sacconi: la sfida per rimettere in ordine i conti della previdenza, della sanità e dell’assistenza consiste nel portare sul mercato del lavoro gran parte di quelle donne e dei quei 55enni oggi inoccupati.
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