Se restano come sono, i giornali moriranno: questa è la risposta alla domanda posta da Giuseppe Romano sul “Dom” del 18 aprile. E saranno seguiti a ruota dall’informazione sulla televisioni generalista . Hanno ambedue il “morbo di Baumol” (dal nome dell’economista che lo ha teorizzato all’inizio degli Anni 60); la stampa scritta in forma violenta , quella televisiva in forma incipiente ma non meno pericolosa.. E’ la malattia di cui sono succubi tutti i settori economici a scarso progresso tecnologico. La stampa scritta ne ha fatto davvero poco da quando San Francesco di Sales (protettore dei giornalisti) distribuiva foglietti anti-Calvino nella Savoia di alcuni secoli fa. Con la tecnologia dell’informazione e della comunicazione ha ridotto drasticamente i costi poligrafici ma non quelli di acquisto della carta e della distribuzione. E l’informazione televisiva generalista? Aveva pensato di appropriarsi di una fonti di finanziamento della stampa su carta garantendosi una fetta importante del mercato pubblicitario: nel 2003, con Pasquale L. Scandizzo ed i ricercatori della Fondazione Bordoni dimostrammo che la bolla pubblicitaria stava per sgonfiarsi proprio mentre l’avvento del digitale terreste comportava la moltiplicazione dei canali. Il Ministro delle Comunicazioni dell’epoca prese la decisione, impopolare, ma necessaria, di posporre dal 31 dicembre 2006 al 31 dicembre 2012 il passaggio da televisione analogica a digitale terrestre al fine d’individuare altre fonti (come i servizi a pagamento della Pa, quali la “rete amica”). Nel contempo, però, l’informazione generalista, pure quella televisiva, si è trovata alle prese con una degenerazione, se vogliamo, del “morbo di Baumol”: l’utenza è stata abituata da Internet a farsi il proprio giornale ed il proprio palinsesto, incidendo negativamente, sulla difese immunitarie della stampa generalista, scritta e televisiva. E’ un’illusione pensare – lo afferma l’unico editore in forte attivo in Europa e negli Usa (Axel Springer)- che le redazioni web, quelle Tv e quelle della stampa scritta creino sinergie; alla prova dei fatti causano solo un aumento dei costi.
Ci si può difendere dal “morbo di Baumol”? Trasformare la natura economica dell’editoria in un comparto come le fondazioni non-profit (analogo alle università private) il cui stock di capitale sia fornito da filantropi (agevolati da esenzioni tributarie) e le cui finalità siano quelle di dare analisi (se si vuole pure di tendenza) ma svincolate dalle esigenze di breve periodo. Così come le università fanno pagare rette (direttamente proporzionali alla loro qualità e reputazione), i giornali andrebbero in edicola e farebbero a gara per gli abbonamenti ed il mercato pubblicitario. Ovviamente ciò comporta un drastico riassetto dell’informazione televisiva, sempre più in “canali all news” di proprietà di fondazioni.
a) Orientiamo il prodotto verso fasce fidelizzate di utenti pronti ad abbonarsi, contenendo in tal modo, i costi di distribuzione.
b) Concentriamo il contenuto su analisi e inchieste- ciò che l’informazione televisiva e Internet (con le sue propaggini su cellulari ed altro) sono meno adatti a fare.
c) Snelliamo, al tempo stesso, sia giornali sia telegiornali generalisti (risparmiando in costi e ricordandoci che il lettore ed il telespettatore il tempo è una risorsa preziosa).
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