«In un mondo dove tutti corrono, chi cammina sta fermo»; lo dice la regina di Picche in Alice nel Paese delle Meraviglie (non nel libro eponimo ma nel suo seguito Through the Looking Glass). È alla luce di questa massima che vogliamo esaminare la strategia della Fiat nell’acquisizione di una partecipazione potenzialmente di controllo della Chrysler e del possibile acquisto della Opel. Il tema è complesso e non tutti i dettagli della cinquantina di contratti e protocolli firmati la notte tra il 29 ed il 30 aprile sono noti. Questa analisi, forzatamente sintetica, si basa su quanto diramato sui siti di due delle principali parti in cause (l’azienda Usa e il sindacato United Auto Workers, Uaw, il primo maggio che, negli Stati Uniti, è un normale giorno lavorativo. Per facilitare il lettore utilizziamo la tecnica Swot (Strenghts, Wealnesses, Opportunities and Threats). Indicando, in primo luogo, i punti di forza e le opportunità e mostrando, poi, i punti di debolezza e le minacce.Iniziamo con i punti di forza e le opportunità. Se all’intesa con la Chrysler si aggiunge quella con l’Opel, la Fiat esce dalla posizione di “Cenerentola” nel mercato mondiale dell’auto: relativamente piccola e da sempre sostenuta dai contribuenti italiani (sia direttamente sia favorendo il trasposto su strada rispetto a quello su rotaia, specialmente per le merci) e passa da uno dei “campioni nazionali italiani” a un “global player” all’altezza degli altri giganti del settore. L’intesa con la Chrysler – e quella con l’Opel – ha un importante valore simbolico-politico, in quanto riconoscimento e affermazione dell’industria e del lavoro italiano nel mondo. In una fase come quella attuale l’Italia dimostra di saper cogliere le opportunità (in gergo le call options) che si presentano pure in tempi duri.
Sotto il profilo finanziario, ci sono differenze tra l’intesa con la Chrysler e quella potenziale con l’Opel. La prima è nell’immediato a costo zero (il futuro dirà se a regime i costi superanno i ricavi). Non è chiaro, invece, se la seconda possa comportare un aumento dell’indebitamento di Corso Marconi – non più ai livelli preoccupanti del 2005 ma ancora da tenere sotto controllo. Sotto il profilo delle opportunità di mercato, è errato pensare, come fa gran parte della stampa di questi giorni, che l’accordo con la Chrysler apra le porte al mercato americano. Senza dubbio il mercato Usa dell’auto è più promettente di quello europeo, ma il vero potenziale è nei paesi appena “emersi” o ancora emergenti. Lo scrivono a tutto tondo Marcos Chamon e Paulo Mauro del Fondo monetario in un lavoro con Yohei Okawa della Univesity of Virginia, in cui si tracciano proiezioni della domanda addizionali d’auto tra il 2005 ed il 2050: 23 miliardi di unità, di cui però 19 nei paesi emersi (specialmente India e Cina) ed emergenti. Se e in che misura, gli Usa potranno essere la testa di ponte verso questi mercati dipende in modo significativo dalla conclusione della Doha development agenda (Dda) che si sta trascinando dal novembre 2001 in seno all’Organizzazione mondiale del commercio (Omc). Le nuove modalità di governance di ciò che resterà della Chrysler rappresentano un’opportunità interessante di co-gestione con i sindacati, l’Uaw, che potrebbe essere estesa (se provata efficiente ed efficace) ad altri rami del global player in via di formazione. Passiamo, ora, ai punti di debolezza e ai rischi dell’operazione. I primi, dal nostro punto di vista, riguardano direttamente l’Italia. Nell’industria metalmeccanica italiana, il costo del lavoro per unità di prodotto è inferiore a quello degli Usa, non solamente a ragione della situazione attuale del tasso di cambio tra dollaro americano ed euro, ma anche a causa della più lunga settimana lavorativa e dei minori oneri sociali. Guardando gli Usa come ponte verso i nuovi grandi mercati dell’Asia e dell’America Latina, ci potrebbe essere la tentazione di rimettere mano alla geografia complessiva della produzione Fiat & associati, ridimensionando gli impianti in Italia in generale e nel Mezzogiorno in particolare. Come correttamente sottolineato dall’Economist, la complessa procedura di approvazione (negli Usa) del nuovo assetto per la Chrysler è solamente al punto di avvio. Se gli intoppi si rivelassero maggiori di quanto ora previsto, l’intera operazione potrebbe andare all’aria. Sarebbe stato forse più prudente non effettuare annunci sino a quanto il quadro interno americano non fosse stato più chiaro. Uno smacco, pur se involontario, verrebbe letto molto male dal mercato. L’operazione, infine, avviene in una fase in cui l’economia Usa è in recessione, nonostante il debito totale (di individui, famiglie, imprese e pubbliche amministrazioni) sia il 300% del Pil e l’offerta di moneta raddoppi ogni sei mesi. C’è la minaccia che si esca dalla recessione con una forte ondata d’inflazione e, quindi, con un aumento dei tassi d’interesse i cui effetti sarebbero negativi sia sulla domanda interna Usa sia sui conti dell’operazione intrapresa.
2 maggio 2009
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