Musica, trionfo fiorentino per il “Crepuscolo degli Dei”
Musica, trionfo fiorentino per il “Crepuscolo degli Dei”
Roma, 2 mag (Velino) - Questo primo scorcio di XXI secolo è caratterizzato da un rilancio del “Ring” di Richard Wagner, opera monumentale in un prologo e tre “giornate” che richiede uno sforzo produttivo tale (30 protagonisti per circa 15 ore di musica), che di recente è stata individuata tra le cause del dissesto di alcuni teatri anche italiani, quali Catania e Torino. Nuove edizioni vengono presentate, oltre che in numerosi teatri tedeschi, a Aix-en-Provence, Salisburgo, San Pietroburgo, Lisbona, Washington. Nuovi allestimenti sono stati annunciati al Metropolitan e alla Scala (in partnership con La Monnaie di Bruxelles). Ne era stato promesso uno anche al Teatro dell’Opera di Roma, ma per ora si è visto unicamente il prologo. Date le risorse richieste, molti allestimenti sono programmati e realizzati in co-produzione tra più teatri.
L’ultimo capitolo del “Ring”, cioè “Götterdämmerung”, ossia “Il Crepuscolo degli Dei”, è stato presentato il 29 aprile come spettacolo inaugurale del Maggio Musicale Fiorentino ed è frutto della collaborazione tra la fondazione della città del Giglio e il Palau de les Arts de la Reina Sofia di Valencia. La caratteristica principale è che la regia (Carlus Pedrissa), le scene (Roland Olbeter) e i costumi (Chu Uroz) sono affidati al gruppo d’avanguardia catalano di teatro totale “La Fura dels Baus”, mentre le immagini video sono di Franc Aleu. La direzione musicale è di Zubin Mehta (che ha compiuto il suo 73esimo compleanno proprio il 29 aprile) il quale già 30 anni fa circa aveva guidato un memorabile “Ring” a Firenze con la regia di Luca Ronconi e le scene e i costumi di Pier Luigi Pizzi. Lo spettacolo (inizio alle 18 e termine a mezzanotte con due intervalli) viene replicato a Firenze sino al 9 maggio. A giugno sarà a Valencia, dove a luglio verrà messo in scena l’intero “Ring” (prologo e tre “giornate”). La ripresa dell’intero capolavoro wagneriano è, per ora, programmata a Firenze per il 2013, in occasione del secondo centenario della nascita del compositore tedesco e per l’inaugurazione (forse) del nuovo, modernissimo, Parco della Musica del capoluogo toscano.
Il successo di “Götterdämmerung” è stato enorme: 15 minuti di applausi dopo 6 ore in teatro. Alcuni critici hanno scritto che il “Ring” di Firenze e Valencia è stato senza dubbio il migliore tra quelli allestiti in questi ultimi anni. Forse è meglio aspettare le messe in scena a Venezia-Colonia ed Aix-Salisburgo, i cui rispettivi “Götterdämmerung” debutteranno rispettivamente a fine giugno e a inizio luglio, prima di esprimere un giudizio comparativo. Senza dubbio, sotto il profilo dell’allestimento scenico e della regia, il “Ring” di Firenze e Valencia e in particolare il “Götterdämmerung” che ne ha segnato la conclusione, verranno ricordati come la Gesmtkunswerk (opera d’arte totale, nel lessico wagneriano) che segna, in teatro, la fine dello stupore. Mai cinematografia (anche a tre dimensioni), proiezioni computerizzate, mimi, azione coreografica in scena e sinfonismo continuo nel golfo mistico, sono stati utilizzati in un modo al tempo stesso così integrato e così efficace con effetti speciali che superano quelli dei più avanzati film di Hollywood. Soprattutto, sempre in equilibrio tra fantascienza e poesia, ciò rispecchia la visione che aveva Richard Wagner di creare, con il “Ring”, un’opera irrepetibile, lanciata verso il futuro e che avrebbe stupito tanto a tal punto che nessuno avrebbe tentato di replicarla.
Mehta offre un “Ring” marcatamente differente da quelli della tradizione “eroica” di metà Novecento o delle tensioni moderniste di una celebre edizione diretta da Pierre Boulez. “Götterdämmerung” è un’opera con lettura eminentemente lirica, con tratti intimisti e con tempi leggermente dilatati (molto dilatati rispetto a quelli di Boulez, anche se meno dilatati di quelli di Levine). E’ un “Götterdämmerung” che parla soprattutto d’amore nelle sua varie declinazioni, anche sessuali, e in cui gli archi e le arpe (due nel palco di proscenio) dominano sugli ottoni e sui fiati. Lo si avverte soprattutto nella marcia funebre del terzo atto, struggente non solennemente eroica. In questo quadro, Siegfried non è Leonid Zakhozhaev, un tenore eroico che, in autunno, nell’opera eponima aveva un po’ deluso nel ruolo impervio del protagonista. La parte è affidata a Lance Ryan, un “tenore assoluto”, dal timbro chiaro dall’acuto facile e soprattutto dal legato morbidissimo.
Ryan è anche un abile e atletico attore: riesce a cantare appeso per i piedi nel confronto-scontro del secondo atto e, nel secondo quadro del primo, mentre fa la doccia per darsi “una ripulita” una volta giunto alla reggia dei Ghibicunghi e agguanta la sexy Gutrune (Bernadette Flaitz) sul tavolo da pranzo per copulare gioiosamente con lei di fronte agli occhi di Gunther (Stefan Stoll) e di Hagen (Hans–Peter Köning). In effetti, si tratta di un “coito interrotto” a ragione del “wife swapping” proposto da Hagen che scatenerà il dramma tra gli uomini e la fine degli Dei. Lo affianca Jennifer Wilson nel ruolo di una Brunilde, anche essa più lirica che drammatica. Ammirevole come ha gestito la voce per giungere alla lunga tirata della scena finale. Buoni tutti gli altri, anche quelli non citati in questa nota. Eccellenti orchestra e coro del Maggio Musicale.
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