Giuseppe Pennisi
La “notte bianca” dei musei non è solamente un’occasione per fruire delle meraviglie che sono nei nostri musei ma anche per riflettere sul fatto che in Italia, ed in particolare a Roma, siamo seduti su una miniera della cui importanza non abbiamo esatta contezza. Le stime relative all’apporto dei beni culturali al benessere di un Paese, specialmente quelle attinenti al nostro, riguardano il flusso di fatturato e di valore aggiunto generato dal settore, non lo stock che, invece, costituisce la vera ricchezza rappresentata dal comparto. Sono, quindi, particolarmente riduttive per l’Italia dove per oltre un secolo la politica ha teso più alla tutela che alla valorizzazione. Di conseguenza, l’accento è stato sui “vincoli” per evitare il depauperamento dello stock (spesso a rischio di vera e propria spogliazione) piuttosto che l’utilizzazione dei beni e delle attività culturali per crearne valore sociale, ossia per tutta la collettività. Le stime di flusso (secondo una metodica armonizzata a livello europeo) pone il valore aggiunto e l’occupazione generati dai beni culturali al 2,3% del pil e del 2,1% dell’impiego totale (in linea con la media dell’Ue a 25). Mancano stime dello stock condivise e generalmente accettate. L’Italia, però, si colloca al primo posti per quantità di beni (40 su 679) classificati dall’Unesco come “patrimonio dell’umanità” . Inoltre proprio le stime Ue ci pongono tra i primi in classifica, tra i 25, in termini di indici di profittabilità del settore e ci individuano come il primo in termini di produttività annua (valore aggiunto/ costo del lavoro) . Questi ed altri indicatore fanno intuire che lo stock è molto ingente (probabilmente almeno 10 volte il pil). Di conseguenza, se la strategia della tutela aveva un significato in un determinato contesto storico, politico e sociale, adesso è giunto il momento di coniugarla con quella della valorizzazione: ossia di un uso mirato degli strumenti a disposizione delle politiche pubbliche per fare aumentare la resa dello stock , ed anche il suo accrescimento. Una caratteristica del capitale culturale (analoga a quella del capitale umano, ma differente da quelle del capitale fisico e finanziario) è che si accresce con un uso ben modulato e, di converso, si depaupera se abbandonato a se stesso.
I modi per valorizzare la miniera sono molteplici: da sgravi fiscali all’apporto dei privati nei limiti delle regole europee (non ad essi inferiori) ad una maggiore selettività degli interventi realizzabili con le risorse disponibili, dall’uso effettivo, efficiente ed efficace delle risorse (invece della loro accumulazione in residui) ad una sussidiarietà in base alla quale (come avviene anche in Paesi centralistici come la Francia) solamente un numero limitato di attività (ad esempio nel campo dei musei) hanno rilievo nazionali e per le altre si mobilitano le autonomie locali., dalla maggiore diffusione di servizi aggiuntivi (bookshops, caffetterie, ristoranti) all’avvio di circuiti integrati. La “notte bianca” ci porti consiglio su come meglio utilizzare la “cassetta degli attrezzi”.
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